Al funerale di mio nonno mi hanno riso in faccia: loro milioni, io solo una busta misteriosa

Era un modo storto e imperfetto per proteggere il lavoro di due generazioni… e, allo stesso tempo, mettere a posto una ferita che mi bruciava da anni.

«Grazie, Sarah» dissi. «Adesso ho un’altra cosa da decidere.»

«Che cosa?»

Guardai fuori dalla finestra.
Si vedevano solo palazzi normali, balconi con panni stesi.

«Dove voglio vivere, adesso.»


Pochi giorni dopo ero seduta sul sedile posteriore di un’auto elegante, accanto a Patrizia Rinaldi, una delle agenti immobiliari più famose della città.

«Mi diceva che cerca una casa… importante» disse, scorrendo l’agenda sul tablet. «Budget?»

Le indicai una cifra.
Il suo sguardo cambiò. Non era più cortesia generica. Era attenzione vera.

«Capisco. Allora le mostrerò le nostre proprietà di punta. Ville in collina, vista mare, giardini grandi. Tutte con privacy e… un certo effetto “wow”.»

Ne vedemmo diverse:

  • una villa moderna, fredda come un museo;
  • una casa antica bellissima, ma troppo buia;
  • un’altra con un giardino splendido, ma senza vista.

Alla fine, salimmo su per una strada di collina, sopra la città.
L’auto si fermò davanti a un cancello imponente.

«Questa è la Villa Belpoggio» disse Patrizia. «Diciotto milioni richiesti. Terreno, piscina, vista su tutta la città e sul porto. È la nostra proprietà più prestigiosa in zona.»

Quando entrammo nel vialetto, mi si mozzò il fiato.

La casa era luminosa, con grandi vetrate.
Dal terrazzo principale si vedevano i tetti, il mare… e, più in basso, il quartiere dove abitavano i miei.

Mi appoggiai alla ringhiera.

Potevo quasi immaginare la scena: la loro macchina che saliva fino al cancello, gli sguardi increduli, la domanda inevitabile: «Chiara, cosa ci fai qui?»

«La prendo» dissi, quasi senza rendermene conto.

Patrizia sgranò gli occhi.

«Le consiglio di pensarci almeno una notte… parlare con la banca per il mutuo…»

«Contanti» la interruppi. «Niente mutuo.»

«Signorina Conti, questa casa costa diciotto milioni…»

«Lo so. Può contare le cifre, se vuole» dissi, con un mezzo sorriso.

Qualche ora dopo, in uno studio notarile silenzioso, firmai altri fogli.
Il mio consulente collegato da remoto confermò al notaio l’avvenuto bonifico.

Diciotto milioni.
Quanto una vita intera di lavoro di qualcuno.
Per me, una percentuale di un numero che ancora faticavo a sentire “mio”.


Il giorno del trasloco, camion pieni di mobili arrivarono uno dopo l’altro.
Avevo comprato quasi tutto nuovo: volevo che quella casa fosse l’inizio di un’altra vita.

Sul tavolo dell’enorme cucina brillava il mio telefono.
Presi fiato e chiamai mamma.

«Ciao, mamma. Oggi mi trasferisco» dissi.

«Ah, finalmente hai trovato un appartamento un po’ più grande!» rispose lei, allegra. «Dove?»

Le dettai l’indirizzo.

All’inizio rimase in silenzio.

«Chiara… sei sicura? Forse hai sbagliato numero civico. Quella è…»

«La villa in collina, sì. Venite a vederla quando avete tempo. Mi farebbe piacere.»

«Con tuo padre abbiamo una mezz’ora libera. Passiamo» mormorò, ancora confusa.

Chiusi e andai sul terrazzo.

Dall’alto, la strada sembrava un modellino.
Ogni macchina era un puntino colorato.

Dopo una ventina di minuti, vidi una piccola utilitaria fermarsi davanti al cancello.
Riconobbi subito la nostra.

Il telefono squillò.

«Chiara…» la voce di papà era strana. «Siamo davanti al cancello della Villa Belpoggio. Sei sicura che sia qui?»

Mi uscì un sorriso che lui, dall’altra parte, non poteva vedere.

«Sì, papà. Non sono davanti alla villa. Sono dentro

Silenzio.

«Questa casa l’ha appena comprata qualcuno con tanti, tanti soldi» disse lui, come se parlasse a sé stesso. «Non puoi…»

«Aprirò il cancello» lo interruppi. «Salite. Ve la faccio vedere.»

Premetti il pulsante sul citofono e vidi il cancello aprirsi lentamente, come una tenda che si alza a teatro.

La loro macchina entrò pian piano nel vialetto.

Io rimasi sulla soglia della porta principale, ad aspettarli.

Il cuore mi batteva forte.
Non solo per quello che avevo fatto.
Ma per quello che stavo per dire.

Era arrivato il momento in cui la “Chiara invisibile” e la Chiara miliardaria sarebbero state, finalmente, la stessa persona.

E la mia famiglia, per la prima volta, non avrebbe potuto far finta di non vederlo.

Mamma e papà scesero lentamente dall’auto, con lo sguardo perso tra il cancello, il vialetto, la facciata della villa.

Sembravano due persone capitate per sbaglio in un film che non avevano pagato per vedere.

Aprii la porta d’ingresso prima che potessero suonare.

«Ciao» dissi, cercando di mantenere la voce ferma. «Benvenuti a casa mia.»

Mamma guardava il pavimento di marmo, la scala che saliva al piano superiore, il lampadario di cristallo.

«Chiara… questa casa non può essere tua» sussurrò. «È impossibile.»

Papà entrò un passo, come se avesse paura di rovinare qualcosa.

«Come l’hai comprata?» chiese, con un filo di voce. «Dimmi che è uno scherzo.»

Li feci accomodare in salotto.
Le poltrone, il grande divano chiaro, le vetrate che si aprivano sulla città e sul mare.

Io mi sedetti di fronte a loro.

«Non è uno scherzo» dissi. «L’ho comprata in contanti.»

Mamma quasi sobbalzò.

«Chiara, tu sei una maestra. Non è possibile comprare una villa del genere con lo stipendio di una maestra.»

Inspirai a fondo.

Clicca il pulsante qui sotto per leggere la prossima parte della storia. ⏬⏬

Scroll to Top