Al funerale di mio nonno mi hanno riso in faccia: loro milioni, io solo una busta misteriosa

«Avete ragione. Con lo stipendio da maestra non sarebbe mai stato possibile. Infatti l’ho comprata con i soldi del mio trust.»

«Del tuo… cosa?» chiese papà.

Presi la cartellina che avevo preparato: copie dell’estratto conto, il documento istitutivo del trust, alcune lettere della banca.

Li guardai uno per uno.

«Ricordate la busta del nonno?» domandai piano. «Quella con il biglietto per Monaco, che vi faceva così ridere?»

Mamma arrossì appena.
Papà si irrigidì.

«Dentro non c’era solo un biglietto» continuai. «C’era la prova che nonno aveva creato un trust a mio nome. Dal mio sedicesimo compleanno. Ha investito per dieci anni. Il risultato… è questo.»

Allungai gli estratti conto a papà.
Li prese con mani tremanti, iniziò a leggerli riga per riga.

Più scorrevano i suoi occhi, più il suo viso perdeva colore.

«Trecentoquarantasette milioni…» mormorò. «E questo è solo un estratto parziale?»

«Sì. Il patrimonio complessivo vale di più. Molto di più.»

Mamma mi fissava come se stessi parlando di un’altra persona.

«Vuoi dire che sei… ricca?»

Sorrisi amaramente.

«Diciamo che non devo preoccuparmi dell’affitto, sì.»

Papà alzò lo sguardo.

«Perché non ce l’hai detto subito?»

Le parole mi uscirono quasi da sole.

«Quando, esattamente? Durante la lettura del testamento, mentre ridevate della mia busta? Quando mamma ha detto che forse il nonno non mi amava così tanto? O quando Luca ha fatto la battuta sui soldi del Monopoli?»

Mamma abbassò gli occhi.

«Non volevamo ferirti» mormorò.

«Eppure ci siete riusciti benissimo.»

Restammo in silenzio per alcuni secondi.

Poi decisi di finire il discorso.

«C’è un’altra cosa che dovete sapere» dissi. «La società MareBlu che ha comprato l’azienda… è una delle mie società.»

Papà si irrigidì.

«Come sarebbe a dire “una delle tue società”?»

«Vuol dire che l’azienda che hai venduto venerdì adesso è mia. Io sono il proprietario finale di Conti Trasporti Marittimi.»

La frase cadde in mezzo a noi come una pietra.

Papà si alzò in piedi di scatto.

«Hai comprato la mia azienda alle mie spalle?»

«Ho comprato un’azienda in difficoltà da un venditore consapevole che ha firmato di sua volontà» risposi, senza alzare la voce. «A un prezzo molto generoso. Con clausole a tutela dei dipendenti. Proprio quello che nonno avrebbe voluto.»

«Ridammela» disse lui, improvvisamente. «Rivendimela. Non puoi tenerla tu.»

Scossi la testa.

«Non è in vendita» dissi piano. «Non adesso.»

«È la mia vita!» alzò la voce. «L’ho costruita con le mie mani!»

«E l’hai venduta» replicai. «Senza neanche chiederti se qualcuno in famiglia poteva essere interessato a rilevarla. Senza nemmeno pensare a me.»

Lo vidi aprire la bocca per ribattere, poi richiuderla.

La verità, quando è semplice, fa male.

«Perché, Chiara?» sussurrò mamma. «Perché tutto questo?»

«Perché avete passato una vita a vedermi come la figlia “brava ma normale”, quella che aiuta tutti ma non decide niente» risposi. «Perché al funerale di nonno vi siete comportati come se il valore di una persona si misurasse in milioni ereditati. E io, per voi, ero quella con la busta ridicola.»

Mi alzai anche io.

«Non ho fatto tutto questo per vendetta» continuai. «L’ho fatto perché posso proteggere meglio il lavoro di nonno e tuo, papà, di quanto possiate farlo voi. E perché il nonno mi ha lasciato un messaggio chiarissimo: “Adesso decidi tu”.»

Mamma prese fiato.

«E noi? Che posto abbiamo nella tua vita, adesso?»

La domanda era sincera, per la prima volta da tanto.

«Dipende» dissi. «Se volete continuare a vedermi come la Chiara invisibile che aiuta con i documenti e lava i piatti dopo pranzo… allora nessuno. Se siete pronti a vedere chi sono davvero, possiamo ricominciare. Ma alle mie condizioni.»

«Che condizioni?» chiese papà, stanco.

«La prima è che oggi andiate a casa. Vi servirà tempo per digerire tutto questo. La seconda… ve la dirò quando sarete pronti ad ascoltare, non solo a parlare.»

Li accompagnai alla porta.

Mamma si voltò un attimo, con gli occhi lucidi.

«La casa… è bellissima» sussurrò. «Tu… sei diversa.»

«No, mamma» risposi. «Sono sempre stata così. Solo che adesso non posso più nascondermi.»


Nei giorni successivi, il telefono non smise di suonare.

Prima fu Luca.

«Ma sei impazzita?» urlò. «Sei miliardaria e non ci hai detto niente? Hai comprato l’azienda di papà come se fosse un giocattolo?!»

«Ho comprato un’azienda in difficoltà per salvarla» risposi. «Se l’avesse comprata qualcun altro, magari avrebbe licenziato metà personale.»

«Potevi dircelo!»

«Quando vi interessava ascoltarmi?» chiesi. «Quando ridevate della mia busta?»

Riattaccò.

Poi chiamò Francesca.

Il tono era meno aggressivo, ma pieno di curiosità.

«È vero che hai una casa da diciotto milioni?» chiese. «E davvero possiedi cose a Monaco e in America?»

«Perché ti interessa?»

«Per sapere se… possiamo ancora essere… vicine.»

Sorrisi amaramente, anche se lei non poteva vedermi.

«Possiamo, se impari a parlare con me anche quando non si tratta di soldi» risposi. «Il resto verrà da sé.»


Dopo qualche giorno di silenzio, una sera il citofono della villa suonò.

Guardai il monitor: davanti al cancello c’erano mamma, papà, Luca e Francesca. Tutti insieme.

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