Mi sentii gelare.
Nonostante fossero passati mesi, sentire un medico dire ad alta voce quello che avrei potuto subire mi fece tremare le mani.
Alla fine chiamarono me.
Quando l’uscere pronunciò il mio nome, mi si strinse lo stomaco.
Giurai di dire la verità, con la mano alzata. Mi sedetti sul banco dei testimoni. Vedevo Daniele di lato, le mani intrecciate; Andrea qualche fila più indietro; Roberto ancora più in fondo, di pietra.
Il PM fu gentile, ma preciso.
Mi chiese di raccontare com’era stato il rapporto con Carla dall’inizio: la freddezza, le critiche velate, i commenti sul mio lavoro e sulla mia famiglia, il tentativo di prendere il controllo dell’organizzazione del matrimonio.
«Le ha mai detto esplicitamente di non volere questo matrimonio?»
«No. Ma lo lasciava intendere in ogni modo.»
Poi mi chiese della sera del ricevimento.
Raccontai tutto.
Il nodo alla gola.
Lo sguardo di Carla da lontano.
Il momento in cui l’avevo vista davanti ai bicchieri.
La pastiglia.
Lo scambio.
Cercai di usare poche parole, chiare, senza lasciarmi trascinare dalle emozioni. La psicologa mi aveva preparata: «Non devi convincere nessuno con il pathos. Devi solo dire la verità con calma.»
Poi arrivò il momento che temevo: il controinterrogatorio dell’avvocato Gori.
Si alzò, si aggiustò la giacca, sorrise educato.
«Signora Laura,» iniziò, «lei ha detto di essersi sentita in pericolo quando ha visto sua suocera vicino al bicchiere, giusto?»
«Sì.»
«E ha agito in pochi secondi. Sotto forte stress. È corretto?»
«Sì.»
«Quindi riconosce che non era un momento in cui si potesse ragionare con lucidità assoluta.»
«Ero agitata, ma sapevo cosa stavo vedendo.»
«Lei ha assunto qualche farmaco quel giorno? Calmanti, gocce, qualcosa per l’ansia?»
«No.»
«Bevande alcoliche, prima del brindisi?»
«Un bicchiere di vino a pranzo, con la mia famiglia.»
Lui annuì, facendo finta di annotare.
«Dunque, in un contesto di fortissima emozione, con un po’ di alcol in corpo e tanta tensione addosso, lei si avvicina ai bicchieri e “vede” qualcosa cadere nel suo. È possibile che abbia interpretato male il gesto di sua suocera?»
«No,» risposi, guardandolo negli occhi. «Ho visto una pastiglia cadere nel bicchiere. Non un’ombra. Non un riflesso. Una pastiglia.»
«Potrebbe essere stata una pastiglia per lei stessa? Una compressa che Carla intendeva sciogliere nel suo bicchiere, forse per calmarla?»
Mi venne voglia di ridere per l’assurdità.
«Sciogliere un ansiolitico in un bicchiere di spumante in mezzo a trecento persone, senza dirmi niente? Non mi sembra un modo molto responsabile di “aiutarmi”.»
Qualcuno in aula trattenne una risatina. Il giudice mi lanciò uno sguardo severo, come a dire: calma.
Gori continuò:
«Comunque sia, lei ha deciso di scambiare i bicchieri, giusto?»
«Sì.»
«Senza dire niente a nessuno. Né a suo marito, né a sua madre, né a qualcuno del personale.»
«Sì.»
«Quindi ha scelto consapevolmente di lasciare che la signora Carla bevesse dal bicchiere che lei riteneva contenesse una sostanza pericolosa.»
Un mormorio attraversò l’aula.
«Ho scelto di non essere io a berla,» risposi. «È molto diverso.»
«Ma non l’ha impedito a lei. Se lei era convinta che fosse un farmaco, poteva avvisare, chiedere di sostituire tutti i bicchieri, rifiutare il brindisi. Invece ha preferito… osservare, diciamo così.»
Sentii il sangue salirmi alle guance.
«Ero scioccata. Ho reagito d’istinto. Non mi sono messa a ragionare come un avvocato, ho pensato solo a non bere quella cosa.»
«Capisco,» disse lui, con finta compassione. «Quindi possiamo dire che la sua reazione è stata, almeno in parte, guidata dalla paura, non dalla logica.»
«La paura è una forma di logica,» risposi. «Ti dice che qualcosa non va.»
Si irrigidì per un attimo.
«Nessun’altra domanda, Vostro Onore.»
Scivolai giù dal banco dei testimoni con le gambe che mi tremavano. Mentre tornavo al mio posto, Daniele mi sfiorò la schiena con la mano.
«Sei stata bravissima,» sussurrò.
Non mi sembrava.
Ma ero ancora in piedi. Ed era già qualcosa.
Alla fine toccò a Carla.
Quando l’uscere la chiamò, lei si alzò piano.
Sembrava più piccola, all’improvviso.
Si sedette, giurò di dire la verità, e guardò i giudici.
L’avvocato Gori la guidò dolcemente.
«Signora Rinaldi, ci può raccontare che tipo di rapporto aveva con sua nuora prima del matrimonio?»
«Normale,» rispose lei, con voce bassa ma chiara. «È una brava ragazza. Forse non la scelta che immaginavo per mio figlio, ma… una brava persona.»
Quelle parole mi punsero.
“Non la scelta che immaginavo.”
Neanche lì riusciva a nascondere del tutto il giudizio.
«Le ha mai detto che non approvava il matrimonio?» chiese Gori.
«No. Mai. Volevo che Daniele fosse felice.»
Poi venne la parte spinosa.
«Quel giorno, in sala ricevimenti, si è avvicinata ai bicchieri del brindisi?»
«Sì,» ammise. «Ero nervosa. Avevo una compressa che mi aveva dato mia sorella, qualcosa per calmarmi, e… mi sono confusa.»
Una piccola bugia, elegante.
Teresa non le aveva dato niente, e l’aveva detto chiaramente.
Ma adesso, davanti ai giudici, Carla dipingeva un’altra scena.
«Ha sbagliato bicchiere?»
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