Ha provato a prendere in mano l’organizzazione: voleva il suo catering, la sua fiorista, il suo fotografo, la sua idea di matrimonio “come si deve”. Ad un certo punto aveva persino suggerito di rimandare tutto di un anno per “organizzare qualcosa all’altezza dell’immagine della famiglia”.
Io avevo tenuto il punto.
«È il nostro matrimonio,» avevo detto a Daniele. «Io e te decidiamo. Non tua madre.»
Carla aveva sorriso, stringendo la borsa con le dita sottili.
«Ma certo, cara. Come preferisci tu.»
Solo che negli occhi non aveva sorriso per niente.
Adesso, mentre la osservavo muoversi tra i tavoli con il suo abito firmato, la piega perfetta, la postura impeccabile, sentivo quella sensazione spiacevole crescere come un’ombra.
«Tra poco si fa il brindisi,» disse Elisa, sbucando dal nulla con un nuovo flute in mano. «Pronta?»
Presi il bicchiere, il cristallo freddo tra le dita.
«Pronta… più o meno.»
I calici per il brindisi ufficiale erano già stati allineati sul tavolo d’onore dallo staff del catering: uno per me, uno per Daniele, uno per ogni membro della famiglia e dei testimoni, ognuno con il proprio segnaposto. Io appoggiai il mio nuovo bicchiere nel posto segnato con “Laura” e andai in bagno con Giulia a sistemarmi il trucco.
Quando siamo tornate in sala, circa un quarto d’ora dopo, il DJ annunciava che i brindisi sarebbero cominciati a breve. Gli invitati cercavano i loro posti, il brusio si abbassava piano piano.
E fu allora che la vidi.
Carla era in piedi, da sola, davanti al tavolo d’onore.
Io ero a metà sala, ridendo per qualcosa che stava dicendo Giulia, ma il mio sguardo si agganciò alla sua figura come a un magnete. La vedevo di spalle, ma il suo braccio era teso. La mano era sopra la fila di flute.
Mi fermai.
Il cuore cominciò a battere troppo forte.
Lei si guardò attorno, a sinistra, a destra. Si assicurò che nessuno la stesse osservando.
Poi le dita si aprirono.
Qualcosa di piccolo e bianco cadde dentro uno dei bicchieri.
Potevo riconoscere la posizione a colpo d’occhio: terzo da sinistra. Esattamente dove avevo appoggiato il mio.
La pastiglia si sciolse quasi subito nelle bollicine, invisibile.
Carla ritirò la mano, lisciò istintivamente la giacca, poi si voltò e tornò al suo tavolo con passo rapido e sicuro.
Mi sentii ghiacciare.
Giulia parlava ancora, ignara. «…e tuo padre che piangeva sembrava una scena di film, giuro…»
«Aspetta un attimo,» la interruppi, con una voce che non mi sembrava la mia.
Mi avviai verso il tavolo d’onore. Ogni passo mi sembrava attutito, come se stessi camminando sott’acqua. Continuavo a ripetermi: Magari hai visto male. Magari non era quello che pensi. Magari è caduta una caramellina…
Ma la scena che avevo appena visto era chiara.
Le occhiate furtive.
Il gesto rapido.
La fuga.
Lei aveva messo qualcosa nel mio bicchiere.
Perché?
Per farmi dormire? Per farmi sentire male davanti a tutti? O qualcosa di peggio?
Le mani mi tremavano mentre mi avvicinavo ai bicchieri allineati come soldatini.
Quale era il mio?
Il terzo da sinistra.
Quello con il segnaposto “Laura”.
Mi guardai attorno. Nessuno stava prestando attenzione a me. Il DJ stava parlando con un cameriere, gli invitati chiacchieravano, Daniele era dall’altra parte della sala con un ex compagno di università.
Avevo forse trenta secondi.
Allungai la mano. Presi il terzo bicchiere da sinistra.
Poi mi spostai dalla parte del tavolo dove avrebbe dovuto stare Carla per il suo brindisi. Il suo bicchiere era lì, perfettamente intatto, con il suo nome accanto.
Scambiai i due flute.
Il mio, quello con la pastiglia, al posto di Carla.
Il suo, pulito, davanti al mio segnaposto.
Il cuore mi batteva così forte che avevo paura di sentirmelo in gola.
Che cosa stai facendo, Laura?
Sei impazzita?
«Signore e signori, vi chiedo di prendere posto!» annunciò il DJ. «È il momento dei brindisi!»
Sobbalzai, per poco non rovesciai lo spumante.
Tornai al mio posto con le gambe di gomma. Giulia mi afferrò la mano.
«Dai, è il tuo momento,» sorrise.
Mi sedetti. Daniele si accomodò accanto a me, mi strinse la mano sotto il tavolo.
«Pronta?» mi sussurrò.
Io riuscii solo ad annuire.
Mio padre fu il primo a parlare.
Con il foglietto che gli tremava tra le dita, raccontò di quando ero bambina, di quanto era fiero di me, e concluse, mezzo ridendo e mezzo piangendo, che se Daniele non mi avesse trattata bene avrebbe dovuto vedersela con lui. Tutti risero, io cercai di sorridere. Ma continuavo a fissare il bicchiere davanti al posto di Carla.
Mia madre parlò dopo, con le lacrime agli occhi, di amore, di rispetto, di compromesso. Non sentii quasi niente.
Tommaso fece lo spiritoso, raccontò aneddoti imbarazzanti su Daniele, strappò altre risate. Il calice della suocera restava lì, tranquillo, in attesa.
Finalmente, Carla si alzò.
Era elegante, perfetta, il calice in una mano, l’espressione dolce dipinta sul viso.
«Grazie a tutti per essere qui,» iniziò, con la voce sicura. «Oggi non celebriamo solo un matrimonio, ma l’unione di due famiglie.»
La gola mi si seccò.
«Daniele è sempre stato il mio orgoglio,» continuò. «Il mio primo figlio. Così intelligente, così brillante…» Lo guardò con un affetto così sincero che per un istante mi domandai se non mi fossi immaginata tutto.
Poi i suoi occhi passarono su di me.
Quel lampo gelido tornò.
Solo per un secondo. Ma io lo vidi.
«Laura,» disse, e il mio nome nella sua bocca suonava strano. «Benvenuta nella nostra famiglia. Spero che sarai… molto felice.»
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