La pausa prima di “felice” era carica di qualcosa che solo io sembravo sentire.
Sollevò il bicchiere.
«Agli sposi!»
«Agli sposi!» ripeterono tutti in coro.
Alzai anch’io il calice, le mani che tremavano. Daniele lo alzò, raggiante.
Carla portò il bicchiere alle labbra e bevve un sorso lungo.
La guardai ingoiare una volta… due…
Lo appoggiò sul tavolo con quel suo sorrisetto soddisfatto.
Per un attimo pensai di aver sbagliato tutto.
Magari non era niente.
Magari era solo una compressa di magnesio, un integratore, una stupidaggine.
Poi Carla strizzò gli occhi. Come se qualcosa l’avesse sorpresa.
Daniele si alzò per il suo brindisi. Parlò di quando ci eravamo conosciuti, di come aveva capito che io ero “la persona giusta”, di una vita da costruire insieme. La sala era piena di “ohh” e sorrisi.
Io non ascoltavo.
Guardavo sua madre.
Aveva una mano sulla fronte, premeva leggermente. Si dondolava appena, come se faticasse a stare in equilibrio. Roberto le toccò il gomito.
«Carla?» sussurrò.
«Sto bene,» rispose lei. Ma la voce era impastata.
Daniele finì il brindisi. Gli invitati bevettero ancora. Io portai il flute alle labbra solo per bagnarmi la bocca, senza mandare giù niente.
La musica riprese, le conversazioni anche. Dopo pochi minuti era chiaro che qualcosa in Carla non andava.
Gli occhi avevano un velo strano.
Il sorriso era troppo largo, troppo sciolto.
«Carla, forse è meglio se ti siedi,» mormorò Roberto.
«No,» disse lei ad alta voce, scrollandolo via. «Sto benissimo!»
Rise.
Non la sua solita risata contenuta. Ma qualcosa di acuto, quasi isterico.
Daniele aggrottò le sopracciglia. «Mamma?»
«Daniele!» esclamò lei, alzandosi di scatto, barcollando e aggrappandosi allo schienale della sedia. «Mio bellissimo ragazzo, te l’ho mai detto quanto sono orgogliosa di te?»
«L’hai appena detto, mamma. Nel brindisi.»
«Davvero?» Rise di nuovo. «Beh, te lo ridico. Sono… così, così orgogliosa.»
Parlava sempre più forte. Gli sguardi si voltavano verso di lei. Roberto, in piedi, era paonazzo.
«Carla, basta. Andiamo a prendere un po’ d’aria.»
«Non mi serve l’aria!» annunciò lei a tutta la sala. «Mi serve… ballare!»
Si tolse le scarpe con un gesto goffo e corse – sì, corse – sulla pista da ballo.
Il DJ stava passando una canzone lenta.
Lei iniziò a ballare come in una discoteca, le braccia in alto, i fianchi che si muovevano scomposti, totalmente fuori tempo.
La sala si zittì.
Restavano solo la musica e le risate di Carla.
«Mio Dio,» sussurrò Daniele accanto a me.
Io non riuscivo a muovermi. Guardavo la donna che fino a quel momento aveva vissuto per le apparenze trasformarsi nello spettacolo che avrebbe odiato più di qualsiasi altra cosa: il ridicolo pubblico.
«Tutti a ballare!» urlò, girando su se stessa. Le forcine cominciavano a scappare dai capelli perfetti.
Andrea apparve al nostro tavolo, il viso pallido.
«Che cosa ha la mamma?» balbettò.
«Non lo so,» disse Daniele, alzandosi. «Vado a prenderla.»
Si avvicinò alla pista, ma Carla lo vide e scappò verso la parte opposta, ridendo come una bambina.
«Prendimi se ci riesci!» gridò.
Sempre più cellulari venivano tirati fuori. Videos, flash, storie sui social. Sentivo il fruscio dei messaggi, le risate soffocate.
Daniele alla fine l’acchiappò, le prese il braccio con delicatezza.
«Mamma, basta. Non stai bene. Vieni a sederti.»
«Mi sento benissimo!» insisté lei, ma le parole adesso erano slavate. «Meglio di così… mai!»
Gli sfuggì e inciampò verso il tavolo dei dolci. Proprio dove troneggiava la nostra torta nuziale: cinque piani, fiori di zucchero, il tutto costato più di quanto avessimo speso per la mia prima auto.
«Mamma, no!» gridò Daniele.
Ma Carla era già lì. Si fermò davanti alla torta, oscillando.
«Che bella,» mormorò. Poi allungò la mano e affondò le dita nel primo piano.
«Mamma!» urlò Daniele.
Si ficcò l’enorme pezzo di torta in bocca, spalmandosi crema sul viso. Poi rise ancora, e con la mano piena di panna la lanciò in direzione degli invitati.
Un pezzo di torta centrò in pieno una signora seduta in prima fila.
Qualcuno gridò.
E fu il caos totale.
Roberto e Daniele corsero verso di lei per allontanarla dalla torta, ma Carla si divincolava, ridendo, afferrando nuove manciate di pan di Spagna e crema e tirandole in giro.
Alcuni invitati cercavano di aiutarli, altri si scostavano indignati, altri ancora continuavano a filmare.
«Qualcuno chiami il 118!» sentii urlare mia madre.
La stanza girava.
Mi aggrappai al bordo del tavolo.
Stavo guardando la conseguenza di quello che avevo fatto.
Carla crollò infine in ginocchio in mezzo alla torta distrutta, il tailleur imbrattato, i capelli disfatti. Rideva ancora, ma la voce era flebile, gli occhi si rovesciavano all’indietro.
«Carla!» Roberto si inginocchiò accanto a lei, le mani che gli tremavano. «Che cos’hai? Che cosa hai preso?»
«Niente…» mormorò lei. «Non ho… preso niente…»
Daniele si voltò verso di me, coperto di crema, il viso pieno di paura.
I nostri sguardi si incrociarono sopra la rovina della nostra torta.
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