Mi alzai, con le gambe che non reggevano.
Giulia comparve al mio fianco. «Laura, che succede? Sta avendo un ictus?»
«Non lo so,» sussurrai.
Ma lo sapevo.
Carla stava vivendo esattamente quello che aveva preparato per me.
L’ambulanza arrivò in pochi minuti.
Carla venne caricata sulla barella, quasi incosciente. Roberto salì con lei. Daniele rimase in mezzo alla sala devastata, piena di torta spalmata ovunque, con lo sguardo perso.
Gli invitati se ne andavano a piccoli gruppi, parlottando sottovoce, con i telefoni ancora in mano. Qualcuno rideva ancora incredulo. Qualcuno scuoteva la testa.
La mia “giornata perfetta” era finita.
«Andiamo in ospedale,» dissi piano a Daniele.
Lui annuì, come in trance.
La sala d’attesa del pronto soccorso sapeva di disinfettante e caffè bruciato.
Ero seduta accanto a Daniele, ancora nel mio abito da sposa. Il pizzo mi sembrava improvvisamente ridicolo, fuori posto. Mia madre era dall’altra parte, che mi stringeva la mano. Mio padre faceva avanti e indietro come un leone in gabbia. Giulia era andata a casa a prendermi dei vestiti.
Daniele, nel suo abito ormai macchiato di torta e vino, teneva la testa tra le mani. Non parlava da quasi un’ora. Andrea era di fronte a noi, bianco in volto. Roberto era sparito dietro la porta delle visite.
Non smettevo di ripassare nella mente la scena dei bicchieri. La mano di Carla. La pastiglia. Il mio gesto.
Devo dirlo a qualcuno.
Devo dirlo a Daniele.
Ogni volta che aprivo la bocca, la paura mi chiudeva la gola.
E se non mi credesse?
E se pensasse che l’avevo fatto apposta per vendicarmi?
E se fosse la fine del nostro matrimonio dopo appena qualche ora?
La porta si aprì.
Un medico con il camice e un tesserino si avvicinò. «Familiari della signora Carla Rinaldi?»
Ci alzammo tutti.
Roberto comparve da un corridoio, stravolto.
«Come sta?» chiese lui.
«È stabile, ma devo farvi alcune domande,» disse il medico, consultando la cartella. «Ha assunto farmaci oggi? Qualcosa fuori dall’ordinario?»
«No,» rispose Roberto. «Niente. Prende solo qualche vitamina.»
«Beve alcol regolarmente?»
«Quasi mai. Un bicchiere di vino la domenica.»
Il medico annuì. «Abbiamo fatto gli esami tossicologici. Nel sangue della signora Rinaldi c’è una quantità significativa di diazepam. È un ansiolitico, un sedativo. In Italia è venduto con vari nomi commerciali. Sapete se aveva una prescrizione?»
«Diaze… che cosa?» Roberto lo guardava come se parlasse arabo. «No. Non prende cose del genere.»
«Eppure ne ha assunto una dose importante, direi almeno una compressa da dieci milligrammi, forse di più.»
Daniele parlò per la prima volta, con la voce roca: «È possibile che qualcuno gliel’abbia dato? Magari… nel bicchiere?»
Il mio cuore si fermò.
Il medico aggrottò la fronte. «È una possibilità. Dobbiamo capire come sia arrivato nel suo organismo. Avete qualche sospetto?»
«No,» disse subito Roberto.
Ma Daniele si voltò verso di me. Mi guardò davvero, per la prima volta da quando eravamo arrivati.
«Laura,» disse piano. «Tu eri nei pressi del tavolo d’onore. Hai visto qualcuno avvicinarsi al bicchiere di mamma?»
La sala d’attesa sembrò stringersi attorno a me.
Tutti mi fissavano.
Quello era il momento.
O tacevo per sempre, o dicevo la verità.
«In realtà…» sentii dire alla mia stessa voce. «Io ho visto Carla vicino al mio bicchiere.»
Il silenzio calò pesante.
«Che cosa?» fece Daniele, alzandosi in piedi. «Che cosa stai dicendo?»
Le mani mi sudavano, ma continuai: «Prima dei brindisi. L’ho vista davanti al tavolo d’onore. Era china sui flute.»
Roberto arrossì. «Che cosa stai insinuando?»
«Non sto insinuando niente. Vi sto dicendo quello che ho visto.»
«Stai dicendo che Carla si è drogata da sola?» La voce di Roberto si alzava. «Che si è avvelenata da sola? Assurdo!»
«No.» Inspirai profondamente.
«Sto dicendo che ha messo qualcosa nel mio bicchiere. E che io ho scambiato i calici.»
Il silenzio successivo fu ancora più assordante.
«Hai… fatto che cosa?» sussurrò Daniele.
«Ho visto cadere una pastiglia bianca nel flute con il mio nome. Lei si è guardata attorno, ha sorriso e se n’è andata. Non sapevo che cosa fosse, ma sapevo che non era lì per caso. Così, quando nessuno guardava, ho spostato i bicchieri. Lei ha bevuto dal mio. Io dal suo.»
«Ridicolo!» esplose Roberto. «Mia moglie non farebbe mai una cosa simile!»
«Lo farebbe,» dissi piano, ma più sicura. «Mi ha detestata dal primo giorno. Non ha mai voluto questo matrimonio. È il suo modo di fermarlo.»
Andrea, con la voce tremante: «Per drogarti al tuo matrimonio? È folle.»
«Davvero vi sembra così impossibile?» chiesi. «Pensate a cosa sarebbe successo se avessi bevuto io quel bicchiere. Avrei fatto esattamente quello che ha fatto lei: mi sarei comportata in modo assurdo, avrei rovinato la festa, umiliato Daniele davanti a tutti. Forse qualcuno avrebbe pensato che ero ubriaca, che avevo problemi, che non ero adatta a lui. Al minimo, il nostro matrimonio sarebbe stato macchiato per sempre. Al massimo…» Non finii la frase.
Daniele scuoteva la testa, gli occhi lucidi. «No. No, mia madre non è così. Ti sbagli.»
«So quello che ho visto.»
«Hai visto mia madre vicino a dei bicchieri, questo è tutto. Da qui a dire che voleva avvelenarti ce ne passa.»
«L’ho vista lasciare cadere una pastiglia nel bicchiere con il mio nome!» La voce mi si spezzò in un grido. «L’ho vista controllare che nessuno la guardasse. L’ho vista andarsene soddisfatta.»
«Stai mentendo,» sussurrò Daniele. «Lo stai dicendo perché ti senti in colpa per quello che le è successo.»
Quelle parole furono come uno schiaffo.
«In colpa di cosa? Io ho solo cercato di proteggermi!»
«Hai ammesso di aver scambiato i bicchieri. Se quello che dici fosse vero, sapendo che c’era qualcosa dentro, hai lasciato che fosse lei a berlo.»
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