Al mio matrimonio ho visto mia suocera drogare il mio bicchiere: ho scambiato lo spumante e la mia vita

«Perché lo aveva preparato per me!» urlai. «Io non ho fatto altro che restituirle quello che intendeva farmi!»

«Basta!» ruggì Roberto. «Non permetterò che tu infanghi il nome di mia moglie mentre lei è là dentro su un letto d’ospedale!»

Il medico si schiarì la voce, visibilmente a disagio. «Forse sarebbe meglio parlarne con calma. Se pensate che ci sia stato un gesto intenzionale, dovreste informare la polizia.»

Polizia.
La parola mi fece venire i brividi.

«Non ce n’è bisogno,» tagliò corto Roberto. «È stato un malinteso.»

Ma Daniele continuava a fissarmi con qualcosa che non avevo mai visto nei suoi occhi: dubbio.
Sospetto.

«L’hai vista davvero?» chiese piano.

«Sì,» risposi. «Daniele, ti giuro che non me lo sto inventando.»

Mi guardò a lungo. Dentro di lui si combattevano il figlio e il marito. Sua madre e sua moglie.
Infine distolse lo sguardo.

«Ho bisogno di pensare,» disse piano. «Non posso… non posso fare questo adesso.»

Si allontanò lungo il corridoio dell’ospedale, lasciandomi lì, in abito bianco, seduta su una sedia di plastica, più sola di quanto mi fossi mai sentita.


Quella notte non dormii.

Giulia mi riportò nel mio appartamento, quello che avrei dovuto lasciare da lì a qualche giorno per trasferirmi da Daniele. Mi misi una tuta e una vecchia maglietta sua, rimasta nell’armadio dopo una delle tante notti insieme.

Il telefono continuava a vibrare.
I video erano già finiti ovunque.

«Suocera dello sposo dà di matto al ricevimento: torta distrutta e bagno di crema»
«Matrimonio di lusso finisce all’ospedale: la protagonista è la madre dello sposo»

Guardai una volta sola il video più condiviso. Vidi Carla che ballava come una pazza, che rovesciava la torta, che crollava a terra. Mi venne la nausea.

Nei commenti, centinaia di sconosciuti si divertivano, giudicavano, inventavano teorie.
Nessuno immaginava la verità.

Daniele non chiamò.
Non un messaggio.
Silenzio totale.

Giulia mi sedeva accanto, con un braccio sulle mie spalle. «Si calmerà,» mormorò. «Quando avrà tempo per pensare, capirà che hai detto la verità.»

«E se non ci riuscisse?» domandai, con la voce spezzata. «E se non mi credesse mai?»

«Allora affronterai anche quello.» Si voltò verso di me. «Ma, Laura… sei proprio sicura di quello che hai visto? Era una giornata piena, eri agitata…»

Mi girai di scatto.
«Non sono pazza, Giulia. L’ho vista. Carla ha messo qualcosa nel mio spumante. Ha cercato di drogarmi.»

Giulia annuì piano. «Va bene. Io ti credo. Allora dobbiamo solo capire cosa fare.»

«Non lo so.»

La risposta arrivò la mattina dopo, quando qualcuno bussò alla porta.

Aprii con gli occhi gonfi. Davanti a me c’era una donna sui quarant’anni, capelli scuri raccolti in una coda, giacca di pelle e jeans, un tesserino in mano.

«Signora Laura… Rinaldi?» esitò un secondo su quel cognome nuovo. «Sono l’ispettore Lisa Martini, Polizia di Stato. Posso entrare?»

Mi si gelò il sangue. «È successo qualcosa? Carla sta bene?»

«È fuori pericolo,» disse lei, entrando. «Ma l’ospedale è tenuto per legge a segnalare certi casi. Una possibile intossicazione da farmaco in un luogo pubblico rientra tra questi.»

Si sedette al tavolo della mia cucina, tirò fuori un taccuino.
«Mi è stato riferito che ieri sera lei ha dichiarato che sua suocera ha tentato di alterare il suo drink. Vorrei che mi raccontasse esattamente cosa ha visto.»

Glielo raccontai.
Ogni dettaglio.
La mano, la pastiglia, lo scambio dei bicchieri.

L’ispettore ascoltò in silenzio, prendendo appunti.

«C’era qualcun altro che poteva vedere la scena?» chiese.

«Non mi pare. Sembrava che si fosse proprio assicurata di essere sola.»

Annuii verso il telefono sul tavolo. «Ma la tenuta ha delle telecamere, credo. È un posto elegante, di solito i locali così hanno la videosorveglianza, no?»

Lisa Martini accennò un sorriso.
«Infatti. Il ricevimento si è tenuto alla Tenuta dei Glicini, giusto?»

«Sì.»

«Avranno sicuramente telecamere in sala, soprattutto vicino al tavolo d’onore. Chiederò subito le registrazioni.»

Il cuore mi fece un salto. «Quindi… potrebbero esserci le immagini di Carla che butta la pastiglia nel bicchiere?»

«Se è successo come dice lei, sì.» Si alzò, infilando il taccuino nella borsa. «Le dico una cosa sola, signora Rinaldi: fare dichiarazioni false è grave. Se non sta raccontando la verità, finirà nei guai lei.»

La guardai dritta negli occhi. «Sto dicendo la verità.»

Annui. «Allora le telecamere la confermeranno.»

E in quel momento capii che non si trattava più solo di una suocera gelosa, di una festa rovinata, di un matrimonio iniziato nel peggiore dei modi.

Quella era diventata una storia di reato.
Di prove.
Di giustizia.

E di una verità che, una volta uscita allo scoperto, avrebbe distrutto per sempre la famiglia in cui ero appena entrata.

Dopo che l’ispettrice Martini se ne fu andata, rimasi seduta al tavolo della cucina a fissare il muro.

Mi sembrava assurdo: fino al giorno prima stavo controllando i segnaposto, i centrotavola, la musica per il taglio della torta. Adesso parlavo con la polizia di tentato avvelenamento.

Il telefono squillò.
Saltai sulla sedia.

«Pronto?»

«Laura.»
La voce di Daniele era piatta, stanca.

«Come sta tua madre?» chiesi subito.

«Fuori pericolo. La tengono in osservazione.» Una pausa. «La polizia è venuta anche da noi. Hanno fatto domande. Hanno parlato con lei.»

Inghiottii. «Che cosa ha detto?»

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