«Che non ha fatto niente. Che non metterebbe mai una medicina nel bicchiere di qualcun altro. Che non si ricorda nemmeno di essere andata al tavolo dei brindisi.»
Chiusi gli occhi. Me l’aspettavo.
«Daniele, io…»
«Lei dice che stai esagerando. Che eri agitata, che hai frainteso, che ti sei confusa.»
Per un attimo mi mancò il fiato. «Pensi che mi sia inventata tutto?»
Dall’altra parte sentii solo il suo respiro.
«Penso che la situazione sia assurda,» disse finalmente. «Mia madre è in ospedale, il nostro matrimonio è finito nei video che girano ovunque, e mia moglie dice che mia madre voleva drogarla. Non so cosa pensare.»
«Ci sono le telecamere,» dissi piano. «La polizia ha preso le registrazioni dalla tenuta. L’ispettore ha detto che le controlleranno.»
«Bene,» rispose lui. «Così sapremo chi dice la verità.»
«E tu?»
«Io… non riesco a schierarmi adesso. Ho bisogno di tempo. Sto dormendo da Tommaso per qualche giorno.»
Quelle parole mi fecero male come un pugno.
«Capisco,» mentii.
«Ti richiamo quando so qualcosa sulle riprese,» disse. «Adesso non riesco a parlare di più. Salutami i tuoi.»
Riagganciò.
Rimasi con il telefono in mano, in silenzio, mentre il mondo che avevo immaginato – casa nuova, viaggio di nozze, foto felici da incorniciare – mi crollava addosso come un castello di carte.
Passarono tre giorni.
Tre giorni in cui non misi quasi il naso fuori di casa.
Ogni volta che aprivo un social, il mio volto e quello di Carla comparivano in qualche video condiviso, con titoli sempre più esagerati.
«Suocera distrugge il matrimonio del figlio in diretta.»
«La festa di nozze più disastrosa dell’anno.»
«Esagerazione da alcol o qualcosa di peggio?»
Alcuni ridevano, altri giudicavano, qualcuno ipotizzava problemi psicologici. Nessuno parlava di farmaci nello spumante. Quella parte la conoscevamo solo noi.
Quando il campanello suonò di nuovo, quasi rovesciai la tazza di tè.
Era ancora l’ispettrice Martini. Questa volta non era sola: con lei c’era un uomo con una cartella, che si presentò come tecnico incaricato di analizzare i filmati della tenuta.
«Signora Laura, avremmo bisogno che venisse in commissariato,» disse l’ispettrice. «Abbiamo esaminato le registrazioni. Vorremmo mostrarle qualcosa in vostra presenza. A lei, a suo marito e alla famiglia di lui.»
Mi si seccò la bocca. «Quindi… avete trovato qualcosa?»
«È meglio se lo vede con i suoi occhi.»
La stanza del commissariato era piccola, con un tavolo al centro e una grande schermata sulla parete.
Quando entrai, Daniele era già lì. Sembrava più magro, gli occhi cerchiati. Accanto a lui Roberto, rigido come sempre, e Andrea, seduto in un angolo, con lo sguardo basso.
Non vidi Carla.
Ovviamente.
«Grazie per essere venuti,» disse l’ispettrice Martini, sedendosi. Il tecnico attaccò un portatile al grande schermo.
«Abbiamo recuperato le immagini della sala ricevimenti della Tenuta dei Glicini,» spiegò lei. «Questa telecamera in particolare inquadra il tavolo d’onore.»
Partì il video.
La sala, dall’alto, sembrava più fredda. I tavoli bianchi, la pista, il tavolo degli sposi in primo piano. Si vedevano le sedie vuote, la fila di flute allineati.
Sul lato dello schermo compariva l’orario. Mancavano circa dieci minuti all’inizio dei brindisi.
Nel video, Carla entrò in campo.
Non potevo sbagliarmi: il tailleur chiaro, il raccolto perfetto.
La vedemmo avvicinarsi al tavolo, guardarsi attorno, esattamente come ricordavo.
Poi tirò fuori qualcosa dalla borsetta. Era piccolo, bianco. Nel filmato non si vedeva il dettaglio, ma la forma era inconfondibile.
Si chinò sui bicchieri.
Si vedeva chiaramente che leggeva i segnaposto.
Il tecnico fermò l’immagine.
Ingrandì.
Sul terzo flute da sinistra si vedeva, sfocato ma leggibile, il cartoncino con scritto: Laura.
Fece ripartire.
La mano di Carla restò sospesa un istante proprio sopra quel bicchiere.
Le dita si aprirono.
Qualcosa cadde dentro al flute.
Poi lei si raddrizzò, guardò di nuovo intorno e si allontanò veloce.
La stanza del commissariato era silenziosissima.
Dopo un paio di minuti, nel video, apparivo io. Mi avvicinavo al tavolo, guardavo i bicchieri, restavo ferma un attimo.
Poi, lentamente, prendevo il terzo da sinistra e lo scambiavo con quello davanti al segnaposto Carla.
Posavo il bicchiere “pulito” davanti al mio nome.
E me ne andavo.
Il tecnico fermò tutto.
«Come vede,» disse l’ispettrice, calma, «le due sequenze confermano entrambe le versioni: la sua, signora Laura, e il fatto che sua suocera abbia inserito un oggetto nel bicchiere con il suo nome.»
Sentii Daniele inspirare bruscamente.
Roberto, invece, scattò.
«Potrebbe essere qualsiasi cosa!» sbottò. «Una pastiglia di integratori, una medicina sua! Mia moglie ha problemi di ansia, potrebbe essersi confusa sul bicchiere!»
L’ispettrice mantenne il tono professionale.
«Signor Rinaldi, abbiamo anche il referto tossicologico dell’ospedale. Nella circolazione sanguigna di sua moglie c’era una dose significativa di un ansiolitico da prescrizione. La stessa sostanza che abbiamo trovato nella compressa recuperata dal fondo del bicchiere che lei ha bevuto.»
Andrea, bianco in volto: «Quindi… è vero. Qualcuno gliel’ha messa davvero nel bicchiere.»
«Sì,» disse l’ispettrice. «E le immagini mostrano chiaramente chi.»
Daniele si alzò di scatto, andò in un angolo, dando le spalle a tutti. Le spalle gli tremavano.
Avrei voluto raggiungerlo, ma non osavo. Per mesi avevo cercato di piacere a quella famiglia. Ora era come se fossi io stessa ad averla fatta a pezzi, anche se la verità era un’altra.
Clicca il pulsante qui sotto per leggere la prossima parte della storia. ⏬⏬






