«Chiunque poteva prendere quelle pastiglie,» insisté Roberto, disperato. «Sono scomparse dal blister di sua sorella, no? Poteva essere l’inserviente, un invitato, chiunque…»
L’ispettrice aprì il taccuino. «Abbiamo parlato con la sorella di sua moglie. Ha confermato che il farmaco era nella sua borsa da viaggio, lasciata in casa vostra. Nessun estraneo vi è entrato nei giorni precedenti il matrimonio. E nessun altro, in famiglia, ha una prescrizione per quel principio attivo. Il quadro è piuttosto chiaro.»
Roberto si sedette di colpo, come se le gambe lo avessero tradito.
Andrea guardava il tavolo, le mani intrecciate così forte che le nocche erano bianche.
«Che cosa succede adesso?» chiesi, con un filo di voce.
L’ispettrice Martini chiuse il fascicolo. «Apriremo un’indagine per tentato avvelenamento e procurato pericolo. L’evento ha avuto luogo in un contesto pubblico, con centinaia di presenti. La signora Carla dovrà rispondere delle sue azioni.»
Tradotto: sarebbe stata indagata.
Processata.
Forse condannata.
Mia suocera.
La madre dell’uomo che amavo.
Più tardi, fuori dal commissariato, Daniele venne verso di me.
Aveva gli occhi rossi.
Mi si fermò davanti, senza parlare.
«Hai visto,» dissi piano. «Non mi sono inventata niente.»
Lui annuì, il mento che gli tremava.
«Avevi ragione tu,» mormorò. «Dio, Laura… mia madre…»
Si coprì il viso con le mani. Lì, sul marciapiede.
Non era solo lo shock per il gesto di Carla. Era lo scontro tra l’immagine che aveva di lei da una vita e la donna che aveva appena visto sullo schermo.
Gli misi una mano sul braccio. Esitò un secondo, poi praticamente crollò contro di me, stringendomi forte.
«Mi dispiace,» sussurrò. «Mi dispiace di non averti creduta subito. Ti ho trattata come se fossi tu quella sbagliata. E invece…»
«Non avevi prove,» risposi. «Era tua madre. È umano difenderla.»
«Non è umano voltare le spalle alla persona con cui ti sei appena sposato,» ribatté lui, con amarezza. «Ti ho lasciata sola. Nel giorno del nostro matrimonio.»
Gli accarezzai la nuca. «Adesso lo sai. Questo è quello che conta.»
Lui si staccò un po’, abbastanza da guardarmi negli occhi. «Se tu non avessi visto… se non avessi scambiato i bicchieri…»
Non finì la frase. Non ce n’era bisogno.
Se io non avessi agito, quella scena alla festa avrebbe avuto come protagonista me.
Io che ballavo come una pazza.
Io che distruggevo la torta.
Io che finivo sui video, sui commenti, nelle chiacchiere dei vicini.
Io che perdevo la reputazione, il lavoro, forse lo stesso Daniele.
Il pensiero mi diede la nausea.
Il giorno dopo, la notizia era ovunque.
«Donna benestante indagata per aver drogato la nuora al matrimonio del figlio.»
«Le telecamere incastrano la “signora perfetta”.»
Ovviamente i giornali non usavano i nostri veri cognomi, ma chi ci conosceva capiva benissimo di chi si parlava.
Carla si consegnò spontaneamente alla polizia, accompagnata da un avvocato dall’aria molto sicura di sé. I telegiornali mostrarono le immagini del suo arrivo in commissariato: tailleur blu, trucco leggero, sguardo basso ma composto.
«Carla Rinaldi, conosciuta per il suo impegno nel volontariato e nelle associazioni locali, si è presentata questa mattina alle autorità in merito alle indagini su un presunto tentativo di avvelenamento avvenuto durante il matrimonio del figlio,» diceva il cronista. «Secondo le prime ricostruzioni, la donna avrebbe inserito un ansiolitico nel bicchiere di spumante della nuora.»
Mostravano uno spezzone del video virale della torta distrutta, sfocando i volti di chi le stava vicino.
Poi la nostra foto di fidanzamento: io e Daniele, abbracciati, ignari di tutto.
Daniele guardava il servizio seduto sul divano del mio appartamento. Era tornato da me il giorno stesso in cui avevamo visto il video delle telecamere. Si era presentato con la valigia in mano e gli occhi lucidi.
«Se vuoi, me ne vado,» aveva detto sulla porta. «Ma io voglio stare qui. Con te.»
Non aveva più nominato il viaggio di nozze che avremmo dovuto fare. Né la casa che avevamo quasi finito di arredare. Quella casa, in quel momento, sembrava appartenere a un’altra vita.
Alla televisione, l’avvocato di Carla stava parlando.
«La mia assistita è una madre devota, senza precedenti penali, molto stimata in città,» diceva con voce calma. «La situazione è stata ingigantita da filmati virali e commenti sui social. Chiederemo che venga rispettata la presunzione di innocenza. Le immagini delle telecamere possono essere lette in modi diversi, e c’è motivo di credere che si sia trattato di un malinteso, aggravato da un forte stress emotivo.»
Spensi la TV di colpo.
«“Malinteso”,» ripetei amaramente. «Certo. Come no.»
«Fa il suo lavoro,» sospirò Daniele. «È pagato per difenderla.»
«E per farmi passare per la bugiarda interessata che vuole rovinare la suocera,» ribattei. «Lo so già.»
E infatti fu così.
Nel giro di pochi giorni, la mia vita privata non fu più privata.
Giornalisti cominciarono a chiamare sul telefono fisso dei miei. Alcuni provarono a rintracciarmi all’uscita della scuola dove insegnavo italiano. C’era chi voleva un’intervista “per sentire anche la voce della nuora”, chi insisteva sul diritto di cronaca.
La preside mi convocò nel suo ufficio.
«Laura, lo sai quanto ti stimo come insegnante,» disse con sincerità. «Ma in questo momento hai addosso una visibilità enorme. Ci sono genitori che hanno chiamato preoccupati. Non perché pensino male di te, ma perché temono che la scuola venga disturbata dai media.»
«Che cosa significa?» chiesi, anche se lo avevo già intuito.
«Ufficialmente è un congedo retribuito per motivi personali,» rispose. «Ti chiedo di prenderti qualche settimana. Finché la situazione non si chiarisce.»
Tradotto: ero a casa.
Pagata, sì. Ma fuori dal mio lavoro.
Per qualcosa che non avevo scelto.
«La tua salute viene prima,» dixit mia madre quella sera, mentre mi portava una lasagna “per tirarti su”. «E poi tornerai a scuola. Quando tutto sarà finito.»
Ma io non vedevo nessuna fine, in quel momento. Solo processi, avvocati, articoli, sguardi curiosi.
Intanto, dall’altra parte, l’avvocato di Carla aveva già iniziato la sua strategia.
In un’intervista a un giornale locale, disse:
«La signora Rinaldi ha avuto un malore importante. È vittima, non colpevole. La giovane nuora, comprensibilmente scossa dall’accaduto, potrebbe aver interpretato male alcuni dettagli. Tutti possono sbagliare.»
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