Quando entrai nell’aula, con il mio avvocato accanto, sentii le gambe farsi molli.
In fondo, un gruppetto di giornalisti.
Qualche volto noto del giro di Carla, seduto nelle ultime file, osservava con aria curiosa.
Davanti, i banchi: il Pubblico Ministero, il collegio dei giudici, il banco della difesa.
E poi lei.
Carla. Seduta accanto al suo avvocato, un uomo distinto, completi perfetti e sorriso calibrato: l’avvocato Gori.
Lei indossava un tailleur chiaro, niente gioielli appariscenti, il trucco sobrio. Dimagrata, un po’ più grigia.
Sembrava fragile.
Sembrava qualsiasi cosa, tranne la donna che avevo visto buttare una pastiglia nel mio bicchiere.
Mi vide. I nostri sguardi si incrociarono per un secondo.
Abbassò gli occhi.
Daniele era seduto dietro di me, nei banchi del pubblico. Mi sfiorò la spalla con le dita, come per dirmi “sono qui”.
L’udienza cominciò.
Il Pubblico Ministero espose brevemente i capi d’accusa:
tentato avvelenamento, lesioni personali colpose aggravate dal contesto pubblico.
Parole che, se non riguardano te, sembrano astratte.
Quando sei tu quella che ha guardato una pastiglia dissolversi nelle bollicine del proprio bicchiere, diventano pesanti come pietre.
L’avvocato Gori, nella sua dichiarazione iniziale, dipinse un quadro del tutto diverso.
Parlò di “una donna stressata”,
di “un fraintendimento ingigantito dai social”,
di “una nuora emotivamente provata, che avrebbe letto male gesti innocenti”.
«La mia assistita,» concluse, «ha dedicato anni al volontariato e alla famiglia. Non è una criminale. È una madre che ha commesso degli errori, forse, ma che non ha mai voluto fare del male a nessuno.»
Sentii Daniele irrigidirsi dietro di me.
Cominciarono a chiamare i testimoni.
Il DJ, il responsabile del catering, alcuni invitati che avevano assistito alla scena della torta e del “ballo”.
Ognuno raccontava quello che aveva visto: Carla che rideva, che parlava in modo strano, che distruggeva la torta, che cadeva.
Poi chiamarono la sorella di Carla, la zia di Daniele: Teresa.
Si sedette sul banco dei testimoni, visibilmente a disagio.
Il PM fu diretto:
«Signora, ci conferma di avere una prescrizione per il diazepam?»
«Sì,» mormorò lei. «Per l’ansia.»
«Dove teneva il farmaco nei giorni precedenti il matrimonio?»
«Nella mia borsa. Stavo a casa di Carla, avevo le mie cose nel bagno della camera degli ospiti.»
«Ha notato se mancavano compresse?»
Teresa deglutì. «Quando la polizia mi ha chiesto di controllare, ho contato e sì… mancavano cinque pastiglie.»
«Le ha prese lei?»
«No.»
«Le ha date a qualcuno?»
«No.»
L’avvocato Gori cercò di smontare la sua testimonianza, facendo leva sulla memoria, sull’età, sullo stress.
«È sicura di non aver sbagliato il conto? Devo ricordarle che stiamo parlando di un periodo emotivamente molto intenso.»
Ma Teresa, pur imbarazzata, non si mosse.
«Sono abituata a controllare le medicine. Faccio attenzione. No, non ho sbagliato.»
Poi toccò al tecnico che aveva analizzato i filmati.
Il video delle telecamere venne proiettato su un grande monitor, proprio come al commissariato.
Questa volta, però, c’erano i giudici, il PM, l’avvocato di Carla, i giornalisti.
Tutti guardavano.
Carla che si avvicina al tavolo.
Carla che legge i segnaposto.
La mano che si apre sopra il flute con scritto Laura.
Qualcosa cade nel bicchiere.
Poi io, qualche minuto dopo.
Mi avvicino.
Guardo i bicchieri.
Esito.
Scambio i calici.
Silenzio assoluto in aula.
«Nel suo parere tecnico,» chiese il PM, «questi gesti appaiono casuali o deliberati?»
«Deliberati,» rispose il tecnico. «La signora si china per leggere i nomi. Sceglie il bicchiere specifico. E lascia cadere un oggetto proprio lì.»
L’avvocato Gori cercò il punto debole.
«La qualità del filmato non permette di identificare con certezza cosa sia quell’oggetto, giusto?»
«No, non si può dire con certezza se sia una pillola, una caramella, un pezzo di carta. Si può solo dire che è piccolo, bianco e che provoca una rapida effervescenza nel liquido.»
«Quindi potrebbe essere qualsiasi cosa.»
«Potrebbe,» ammise l’uomo. «Ma incrociando questo con l’esame tossicologico e con la compressa recuperata dal bicchiere… il quadro si fa piuttosto coerente.»
Poi fu il turno del medico dell’ospedale.
Spiegò nel dettaglio che cosa avesse trovato negli esami del sangue di Carla:
una quantità di diazepam sufficiente a provocare alterazioni del comportamento, perdita di controllo, problemi di equilibrio.
Descrisse sintomi che coincidevano in modo impressionante con la scena del ricevimento:
risa immotivate, comportamenti disinibiti, crollo.
Quando il PM gli chiese quale sarebbe stato l’effetto su una persona più minuta di Carla – cioè su di me – il medico fu chiaro:
«Gli effetti sarebbero potuti essere anche più intensi. Potenziale pericolo per la sicurezza propria e altrui, forte rischio di cadute, di incidenti. In un contesto affollato e pieno di oggetti fragili e taglienti, non è uno scherzo.»
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