Alla veglia del papà, Sofia resta incollata alla bara: poi, nel silenzio della notte, succede l’impensabile

Alla veglia del papà, Sofia resta incollata alla bara: poi, nel silenzio della notte, succede l’impensabile

«Mamma…?»

Laura si asciugò le lacrime in fretta. «Sono qui, amore. Sono qui.»

Sofia parlò con un filo di voce. «Papà era freddo… Io volevo scaldarlo. Non volevo che restasse da solo.»

Laura si spezzò. La strinse forte, forte, come se potesse proteggerla da tutto. «Non hai fatto niente di sbagliato, vita mia. Papà lo sapeva che tu lo amavi.»

Sofia appoggiò il viso sulla spalla della madre. «Mi ha detto… che gli dispiaceva,» mormorò, già mezza addormentata.

Laura si irrigidì. «Che cosa hai detto?»

Sofia sbatté lentamente le palpebre, esausta. «Ha detto “scusa”… e che adesso devo dormire.»

Non era qualcosa di misterioso o spaventoso. Era il modo di una bambina di cercare pace, di dare un senso al dolore. Ma a Laura colpì il cuore come un lampo.

Per la prima volta dalla morte di Marco, sentì quel peso soffocante alleggerirsi—anche solo un poco.

Le baciò la fronte. «Riposa, tesoro. Domani andiamo da papà insieme… e lo salutiamo come si deve.»

Quella notte, mentre la casa si svuotava e le luci restavano basse, Laura rimase seduta vicino alla bara fino all’alba, con quel biglietto tra le mani.

La verità era venuta a galla: quelle parole non erano solo per Sofia. Erano anche per lei.

La mattina dopo, un sole tenue entrò attraverso le tende del salotto, illuminando i fiori intorno alla bara. L’aria non sembrava più pesante. Solo silenziosa. Quasi calma.

Sofia si svegliò tra le braccia della nonna. La sua prima frase fu piccola ma decisa:

«Posso dire ciao a papà adesso?»

Laura annuì, con la gola stretta. «Sì, amore. Lo facciamo insieme.»

La vestirono con un vestitino bianco che Marco le aveva comprato per il compleanno. Un vestito che Sofia non aveva mai fatto in tempo a indossare.

Quando si avvicinò alla bara, questa volta non tremò. Non pianse. Si mise in punta di piedi, appoggiò entrambe le mani sul legno lucido e sorrise appena.

«Ciao, papà,» sussurrò. «Grazie perché mi hai detto di non avere paura.»

Nella stanza cadde un silenzio totale. Laura sentì gli occhi bruciare. Nella voce di Sofia non c’era terrore. C’era solo calore. Quella calma che arriva quando, finalmente, il cuore accetta ciò che la testa non voleva capire.

Quando arrivò il momento di portare la bara fuori, Sofia strinse forte la mano di sua madre. Camminarono dietro, passo dopo passo, mentre il piccolo corteo si muoveva verso il cimitero del paese, dove Marco sarebbe stato sepolto.

Al cimitero, il sacerdote parlò con semplicità. Laura ascoltò poco. Nella mente rivedeva anni di risate, di stanchezza, di discussioni, di abbracci. Tutto insieme, come un film che non si riesce a fermare.

Quando toccò a Sofia, la bambina posò un fiore sopra la bara. Un girasole, grande e luminoso.

«Questo è da parte di tutte e due,» disse piano.

Laura lasciò scendere le lacrime senza più trattenerle. Poi, con le mani che tremavano, tirò fuori dalla tasca il biglietto di Marco—quello trovato la notte prima. Lo posò dentro, prima che la bara venisse calata.

Si chinò appena e sussurrò: «Lo sa, Sofia. Lo sa che lo perdoniamo.»

La cerimonia finì. Le persone se ne andarono lentamente, con parole gentili e abbracci stretti. Restarono solo Laura e Sofia.

Si sedettero un po’ sull’erba, guardando da lontano gli uomini che sistemavano la terra.

Dopo un lungo silenzio, Sofia guardò sua madre.

«Mamma… sei ancora triste?»

Laura annuì. «Un po’. Ma penso che papà vorrebbe vederci stare bene.»

Sofia fece un sorriso piccolo. «Allora… starò bene anche io.»

Laura le mise un braccio attorno alle spalle, sentendo il battito regolare del suo cuore vicino al proprio. Per la prima volta dopo la morte di Marco, non sentì solo il dolore. Sentì anche l’amore. E una certezza quieta: la vita, in qualche modo, sarebbe andata avanti.

Quella sera, quando Laura mise Sofia a letto, la bambina sussurrò:

«Ho sognato papà. Sorrideva.»

Laura le baciò la fronte. «Allora forse vuol dire che è in pace.»

Sofia la guardò. «E anche noi… vero?»

Laura sorrise tra le lacrime. «Sì, amore mio. Anche noi.»

E quando la luce si spense, la casa non sembrò più piena di assenza. Sembrò piena di una memoria dolce: quella di un uomo che aveva amato tanto, aveva lavorato troppo, e che—attraverso l’innocenza di una bambina—era stato finalmente perdonato.

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