“Fuori! E non farti più vedere qui dentro!”
La voce arrabbiata del responsabile del negozio rimbombò nell’aria fredda di fine ottobre, mentre Giulia Rossi, una bambina magra di dieci anni, inciampava fuori da un piccolo alimentari nel centro di Milano. Aveva gli occhi rossi per il pianto e stringeva al petto una giacchetta consumata. Poco prima, tra quelle mani, c’era stata una sola confezione di latte… finché qualcuno non gliel’aveva strappata via.
Giulia non era una ladra. Era solo disperata. A casa, i suoi due fratellini, Matteo e Luca, la stavano aspettando con la pancia vuota. Non mangiavano da ieri. La mamma era morta di una brutta polmonite due anni prima, e il papà, che un tempo lavorava in fabbrica, da allora combatteva con la tristezza e con la stanchezza di mille lavoretti presi qua e là. Quella mattina, Giulia aveva cercato monete ovunque in casa, ma aveva trovato solo polvere e cassetti vuoti.
Così fece l’impensabile.
Prese il latte.
Ma il responsabile, il signor Bianchi, la fermò prima che arrivasse alla porta. “Ah, vuoi rubare da me, eh?” ringhiò, afferrandole il braccio con forza. “Quelli come te non imparano mai.” Senza ascoltare la sua spiegazione tremante, la trascinò fuori e la spinse sul marciapiede.
La gente passò, guardò un attimo… e continuò a camminare. La confezione di latte, schiacciata, era lì vicino ai suoi piedi e perdeva lentamente sul pavimento. Giulia si accovacciò accanto a quel cartone rovinato e singhiozzò piano. Il vento gelido le entrava sotto il maglione leggero.
E poi… un uomo si fermò.
Alessandro Conti, un uomo alto, sui quarant’anni, con un cappotto nero elegante, usciva proprio in quel momento da un bar poco distante. Era un imprenditore molto conosciuto nel settore dei trasporti e della logistica. Ma in quell’istante non pensava né ai soldi né alle riunioni. Pensava solo a quello che aveva davanti: una bambina che piangeva per del latte rovesciato. Proprio così, letteralmente.
“Che cosa è successo?” chiese con voce calma, inginocchiandosi accanto a lei.
Il signor Bianchi uscì di nuovo dal negozio e incrociò le braccia. “Questa monella ha provato a rubarmi,” disse secco. “Voi ricchi fate i buoni, ma le regole sono regole.”
Alessandro lo guardò, e il suo sguardo diventò freddo. “Le ha almeno chiesto perché?”
“Non importa,” ribatté l’uomo. “Rubare è rubare.”
Alessandro tornò con gli occhi su Giulia. Le labbra le tremavano mentre sussurrava: “È per Matteo e Luca… hanno fame.”
Quelle parole gli arrivarono addosso come un colpo. Alessandro infilò la mano in tasca, tirò fuori una banconota, e la porse al responsabile, che rimase interdetto. “Per il latte,” disse. Poi aggiunse, senza alzare la voce ma con un tono che tagliava: “E anche per la mancanza di cuore.”
Poi si chinò, raccolse la confezione rovinata e tese la mano a Giulia. “Vieni con me,” disse piano. “Nessun bambino dovrebbe essere punito perché prova a sfamare la propria famiglia.”
Fu in quel momento che tutto cominciò a cambiare.
Camminarono insieme tra le strade trafficate di Milano, con il rumore delle auto che riempiva il silenzio tra loro. Alessandro guidò Giulia verso un piccolo locale all’angolo, caldo, con l’odore di pane appena sfornato. Ordinò una cioccolata calda, due panini e un’altra confezione di latte, nuova.
Giulia fissava il cibo come se fosse un sogno. Le tremavano le mani quando portò la tazza alle labbra. “Non deve… non deve comprarlo per me,” sussurrò.
“Lo so,” rispose Alessandro, tranquillo. “Ma voglio farlo. Raccontami della tua famiglia.”
Piano piano, la storia di Giulia uscì tutta: la morte della mamma, il papà che non riusciva più a rialzarsi, i due fratellini che la aspettavano in un appartamentino freddo, senza riscaldamento che funzionasse bene. Cercò perfino di sorridere quando parlò di loro, ma le lacrime le scesero lo stesso.
Alessandro ascoltò senza interrompere. Ogni parola lo riportava alla sua infanzia: una madre rimasta sola, due lavori, le sere in cui si andava a letto con lo stomaco vuoto. Si era promesso che, se un giorno fosse riuscito a uscire da quella vita, non avrebbe mai dimenticato da dove veniva.
“Dove abiti?” chiese.
“Via… una traversa vicino ai binari,” rispose Giulia con esitazione. “Nel palazzo con i vetri rotti.”
“Posso vederlo?” domandò lui.
Giulia esitò un attimo, ma c’era qualcosa nella calma di quell’uomo che le fece annuire. Camminarono fino a un complesso di case un po’ lasciato andare. Muri crepati, scale umide, odore di muffa nel corridoio. Da una porta vicina arrivava il suono di una tosse.
Dentro casa, due bambini sedevano per terra, avvolti in coperte leggere. Quando videro Giulia entrare con il cibo e uno sconosciuto, si bloccarono.
“Chi è?” chiese Matteo, guardingo.
Giulia fece un sorriso piccolo. “È… qualcuno che vuole aiutarci.”
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