Come un cane d’assistenza riunisce due donne e fa rinascere un amore perduto

Mi ha guardata con una calma nuova, quella di chi ha visto il pericolo da vicino e ha deciso di non sprecarne il significato.

«Adesso l’ho visto» ha continuato.

«L’ho visto lavorare con lei.

L’ho visto salvarla e poi salvarmi.

Credo che non potrei immaginare un posto più giusto di questo.»

Ho sentito gli occhi bruciare.

«Ma un giorno…» ho iniziato.

«Un giorno sarà stanco» ha concluso lei, senza girarci intorno.

«E un giorno forse avrà un “successore”.

E lei si sentirà in colpa solo a pensarci.»

Ho abbassato lo sguardo.

Quel pensiero l’avevo nascosto in fondo a un cassetto mentale, dietro tutte le scorte di glucosio.

«Non sarà un tradimento» ha detto lei.

«Sarà il modo più grande per onorarlo.

Ogni cane che verrà dopo di lui porterà un pezzo del suo lavoro, del suo carattere, di quello che vi siete insegnati a vicenda.»

Ha fatto una piccola pausa, poi ha aggiunto:

«Io ho cresciuto un cucciolo e l’ho lasciato andare.

Pensavo di averlo perso.

Oggi scopro che quel cerchio si chiude sul mio letto d’ospedale.

L’amore che diamo a un cane non finisce.

Cambia solo indirizzo.»

Juno, come se avesse capito, si è alzato e ha poggiato di nuovo il muso sul bordo del letto.

Elena gli ha accarezzato la fronte con dita lente.

«Quando un giorno sarà il momento di lasciarlo riposare» ha sussurrato, parlando più a lui che a me,

«prometti che non cercherai un cane per sostituirlo.

Cercane uno da amare in un modo nuovo.

Il posto di Juno non si occuperà mai.

Si allargherà solo la casa del tuo cuore.»

Sono uscita dall’ospedale che era già buio.

L’aria sapeva di pioggia e di primavera in ritardo.

Juno camminava un po’ più lentamente, ma il suo passo aveva quella sicurezza che solo gli anni sanno dare.

Quella sera, tornando a casa, ho riguardato tutte le foto che avevo mandato a Elena in quei mesi.

Ho visto un cucciolo che non conoscevo, nelle sue parole.

Ho visto una donna che l’ha amato prima di me, che ha sofferto nel lasciarlo andare e che oggi, grazie a lui, rimane nel mio mondo.

Ho capito che la storia che raccontavo a me stessa era incompleta.

Non era solo la storia di una donna con il diabete e del suo cane d’allerta.

Era la storia di una linea invisibile che passa da una casa all’altra, da un parcheggio a un letto d’ospedale, da una foto della domenica a un valore sul glucometro.

I cani da assistenza non appartengono mai a una persona sola.

Portano addosso strati di vite, mani diverse che li hanno accarezzati, voci che li hanno chiamati con lo stesso nome in periodi diversi.

Ogni volta che Juno si sdraia ai miei piedi e sospira, adesso penso anche a lei.

Alla ragazza che era quando l’ha preso in braccio la prima volta.

Alla donna che è oggi, stanca ma viva anche grazie a lui.

E mi ripeto, come un promemoria silenzioso, che l’amore vero non finisce quando cambiano le case, le città o i ruoli.

L’amore vero si riconosce dal rumore delle unghie su un pavimento d’ospedale, da un muso appoggiato a una mano che trema, da una coda che si muove piano accanto al letto.

Le impronte di certe zampe, una volta entrate nella nostra vita, non se ne vanno più.

Si limitano a disegnare cerchi sempre più larghi, finché ci includono tutti.

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