Credeva di umiliarmi in tribunale, ma una sola lettera ha trasformato il mio divorzio in arresto

L’avvocato Ferri annuì soddisfatto.
«Grazie, signora Conti. Nessun’altra domanda.»

Il signor Petri si alzò per il controesame.
Era un uomo onesto, ma in quell’aula sembrava fuori posto.
La voce gli tremava appena.

«Signora Elena,» chiese, «non è vero che suo figlio ha sempre gestito in modo esclusivo le finanze della coppia?»

«Le ho già detto,» rispose lei, gelida, «Lorenzo ha la testa per i numeri. È normale che se ne occupasse lui. Chiara non ha mai mostrato interesse.»

«E… non è vero che lei conosceva la signorina Rossi da tempo?»

Gli occhi di Elena lampeggiarono.
«L’ho incontrata al circolo, come molte altre persone. Il resto sono insinuazioni.»

Petri esitò, poi si arrese.
«Nessun’altra domanda.»

Sapevo che non avrebbe ottenuto nulla da lei.
Non era lì per dire la verità.
Era lì per proteggere il figlio, costi quel che costi.

Poi toccò a Lorenzo.

Si avvicinò al banco dei testimoni con passo tranquillo, la cravatta perfetta, lo sguardo da uomo ferito ma dignitoso.
Se non lo avessi conosciuto, forse avrei creduto anche io a quell’interpretazione.

«Vostro Onore,» iniziò, la voce velata di tristezza, «ho amato Chiara. Ho fatto tutto il possibile per costruire una vita serena insieme. Ma lei non ha mai voluto crescere, né assumersi le proprie responsabilità.»

Parlava di me come se fossi una ragazzina pigra, che passa le giornate a fissare il soffitto.

«Ha speso senza criterio, non si è mai interessata alla mia attività, rifiutava ogni proposta di formazione. Io lavoravo dodici ore al giorno, e lei…» fece una pausa studiata, «lei sembrava contenta di vivere sulle mie spalle.»

Ferri lo guidava con domande precise, portandolo a ripetere la stessa storia da angolazioni diverse.
Ogni frase era una lama ben affilata:
io irresponsabile, lui generoso;
io ingrata, lui vittima.

«Sto chiedendo una soluzione equilibrata,» concluse Lorenzo. «Un modesto assegno mensile e il tempo perché Chiara possa trovare un lavoro, magari con un corso di formazione adeguato. Non le auguro alcun male, ma non posso continuare a sostenerla in eterno.»

In aula calò un silenzio pesante.

Perfino io, per un attimo, mi sentii piccola sulla mia sedia.
Se non avessi saputo la verità sui suoi conti, sui suoi affari, sulle valigette piene di contanti… forse mi sarei vergognata anch’io.

Quando fu il mio turno, feci esattamente ciò che avevamo deciso con l’ispettore De Luca e con la procuratrice Bianchi.

Non cercai di sembrare forte.
Non cercai di ribaltare la scena.

Raccontai la mia versione in modo semplice, quasi timido.
Disse che avevo lasciato il lavoro su richiesta di Lorenzo, che mi ero occupata della casa, delle cene, della vita sociale, che avevo provato a essere “la moglie giusta”.

Ma sapevo che sulle carte non c’era traccia di tutto questo.
E sapevo che Ferri avrebbe usato ogni debolezza contro di me.

Il controesame fu feroce.

«Signora Conti,» iniziò, «è vero o no che negli ultimi anni non ha dichiarato alcun reddito?»

«È vero,» risposi.

«È vero che non ha un conto corrente personale?»

«Sì.»

«Ha mai pagato una rata del mutuo? Una fattura dell’agenzia? Un’assicurazione?»

«No.»

Ogni “no” cadeva a terra come un sasso.

«Dunque, se capisco bene,» concluse, «lei pretende una parte significativa del patrimonio costruito dal signor Conti, pur non avendo portato un solo euro in casa?»

«Ho contribuito in altri modi…» provai a dire.

«Emotivi?» tagliò lui, sferzante. «Morali? Affettivi? Mi perdoni, signora, ma i mutui non si pagano con i sentimenti.»

Qualcuno tra il pubblico soffocò una risatina.

Sentii il viso bruciare.
Il signor Petri tentò di intervenire, ma era evidente che, sulla carta, la battaglia era persa.

Quando uscimmo dall’aula, quello stesso pomeriggio, gli avvocati di Lorenzo sorridevano già come uomini che hanno chiuso un buon affare.
Veronica aveva lo sguardo brillante di chi vede il futuro aprirsi davanti a sé.
Elena aveva l’aria di chi pensa: “Avevo ragione fin dal principio”.

Ma io non ero preoccupata.

Il giorno dopo, la giudice avrebbe letto la mia lettera.
E nulla sarebbe stato più come prima.


Ed è lì che la storia torna al punto in cui ero seduta sulla sedia di legno, con le mani intrecciate in grembo, mentre Lorenzo sussurrava: «Non toccherai mai più i miei soldi.»

Veronica lo chiamava “amore”.
Elena diceva che non meritavo nemmeno un centesimo.

Il signor Petri, con le mani che tremavano appena, tirò fuori la busta bianca.
Dentro c’erano due mesi della mia vita.
Due mesi di registrazioni, fotografie, documenti, accordi firmati con la procura.

«Vostro Onore, ho un’ultima prova da presentare a nome della mia assistita,» disse.

La busta passò dalle sue mani a quelle della giudice Ricci.
Lei la aprì, lesse, e alla fine rise.

Rideva ancora quando posò la lettera e si sistemò gli occhiali.

«Signor Conti,» disse infine, con una calma tagliente, «secondo questa lettera, sua moglie collabora con le autorità da circa due mesi. Ha fornito materiale dettagliato sulle sue operazioni finanziarie, incluse registrazioni, fotografie e copia di documenti bancari e societari.»

Lorenzo balzò in piedi.
«È impossibile! Lei non capisce nulla dei miei affari!»

«Si sieda, signor Conti,» lo fermò la giudice, con un tono che non ammetteva repliche.
Sfogliò di nuovo le pagine. «L’ispettore Antonio De Luca, della Guardia di Finanza, conferma che lei è indagato per riciclaggio, frode fiscale e altri reati economici.»

Un mormorio attraversò l’aula.

Gli avvocati di Lorenzo cominciarono a parlare tutti insieme, sussurrando freneticamente.
Veronica portò la mano alla bocca.

«Riciclaggio?» sussurrò. «Lorenzo, di cosa sta parlando?»

La giudice la guardò.
«Signorina Rossi, nella documentazione fornita si fa riferimento a gioielli, viaggi, cene e altri beni acquistati con fondi provenienti da attività illecite, successivamente “ripuliti” attraverso la società immobiliare del signor Conti. Accettare consapevolmente regali acquistati con denaro di provenienza criminale può configurare reato.»

«Io… io non sapevo niente,» balbettò Veronica. Il mascara cominciava a colarle sotto gli occhi.
«Pensavo fossero semplici spese di un imprenditore. Non sapevo…»

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