«Signore… le serve una domestica? So fare di tutto… mia sorellina ha fame.»
Quelle parole bloccarono Edoardo Riva, quarantasei anni, imprenditore diventato miliardario, proprio mentre stava per varcare il cancello della sua grande villa nei dintorni di Milano.
Si voltò.
Davanti a lui c’era una ragazza che non poteva avere più di diciott’anni. Il vestito era strappato, il viso sporco di polvere. Sulle spalle, avvolta stretta in un panno ormai scolorito, dormiva una neonata. Il suo respiro era così leggero che quasi non si sentiva.
La prima reazione di Edoardo fu diffidenza. Non era abituato a sconosciuti che lo fermavano così, senza paura. Ma prima ancora di parlare, i suoi occhi si posarono su un dettaglio che gli fece saltare il cuore in gola: una voglia a forma di mezzaluna, sul lato del collo della ragazza.
Per un istante gli mancò l’aria.
Quel segno era identico a quello di sua sorella, Margherita Elena. E Margherita era morta in un tragico incidente quasi vent’anni prima, lasciandogli addosso una ferita e domande a cui non aveva mai avuto il coraggio di rispondere.
«Tu… chi sei?» chiese, con una durezza che non voleva.
La ragazza sussultò e strinse la neonata come fosse un tesoro. «Mi chiamo Lina Caruso. La prego, signore… non abbiamo più nessuno. Pulisco, cucino, lavo i pavimenti, faccio qualunque cosa. Solo… non lasci che mia sorella resti senza mangiare.»
Edoardo sentì una forza strana tirarlo in due direzioni: da una parte lo scetticismo, dall’altra qualcosa di più profondo. Forse un riconoscimento. La voglia, la somiglianza nei lineamenti, la disperazione nella voce: tutto lo colpì come niente, nella sua vita piena di soldi e potere, era mai riuscito a fare.
Fece un gesto all’autista perché restasse indietro. Poi si abbassò appena, per guardarla negli occhi. «Quella voglia sul collo… da dove viene?»
Lina esitò. Le labbra tremavano. «Ce l’ho da quando sono nata. Mia madre diceva che… era “di famiglia”. Una volta mi ha detto… che aveva un fratello. Ma se n’era andato via da tanto, tanto tempo. Io non l’ho mai visto.»
Il cuore di Edoardo batteva forte, quasi doloroso.
Era possibile? Davvero possibile?
Dietro di lui la villa, enorme e silenziosa, sembrava un simbolo di ricchezza e distanza. Ma in quel momento non contava nulla. Davanti a lui c’era la possibilità di una verità che non aveva mai immaginato: la famiglia, quella vera, forse stava lì, davanti al suo cancello, sotto forma di una ragazza stanca e di una bambina affamata.
Edoardo capì, con un brivido, che la sua vita stava per cambiare per sempre.
Non fece entrare Lina subito. Prima chiamò il personale e disse soltanto: «Portate del pane, dell’acqua, qualcosa di caldo. Subito, qui al cancello.»
Quando arrivò il cibo, Lina mangiò con una fame che spaventava. Spezzava il pane in pezzetti minuscoli e, ogni volta che la neonata si muoveva, le portava un frammento alle labbra, con una delicatezza commovente.
Edoardo rimase lì a guardare, in silenzio, con il petto stretto.
Quando Lina riuscì finalmente a parlare senza ansimare, Edoardo le chiese piano: «Raccontami dei tuoi genitori.»
Gli occhi della ragazza si velarono di tristezza. «Mia madre si chiamava Elena Caruso. Ha fatto la sarta per tutta la vita. È morta lo scorso inverno… una malattia, ha detto il medico. Non parlava quasi mai della sua famiglia. Diceva solo che aveva un fratello diventato molto ricco, ma che… si era dimenticato di lei.»
A Edoardo mancò il terreno sotto i piedi.
Elena.
Il secondo nome di sua sorella era proprio quello. Margherita Elena Riva. Da giovane, quando aveva litigato con la famiglia e se n’era andata, spesso si faceva chiamare solo Elena, come se volesse tagliare il passato con un colpo netto.
Edoardo si sforzò di mantenere la voce ferma. «Tua madre… aveva una voglia come la tua?»
Lina annuì. «Sì. Qui, nello stesso punto. La copriva con le sciarpe.»
In quel momento non ci fu più spazio per i dubbi.
Quella ragazza… era sua nipote.
E quella neonata, addormentata sul suo corpo magro… era sangue del suo sangue.
«Perché non è mai venuta da me?» mormorò Edoardo, più a se stesso che a lei.
Lina abbassò lo sguardo. «Diceva che non le avrebbe creduto nessuno. E… diceva che lei non contava più per lei. Che le persone con i soldi… non si voltano indietro.»
Quelle parole entrarono in Edoardo come coltelli.
Per anni aveva costruito aziende, comprato case, riempito giornali con il suo nome. E in tutto quel tempo non aveva mai cercato davvero sua sorella dopo il loro litigio. Aveva pensato: “Se n’è andata. Ha scelto così.” E aveva chiuso la porta, convinto che fosse la cosa più semplice.
Ora pagava il prezzo di quella scelta.
Sua nipote era per strada, a chiedere un lavoro solo per non far morire di fame una neonata.
Edoardo inspirò, e la voce gli si spezzò. «Vieni dentro. Tu e la bambina. Non siete estranee per me. Siete… famiglia.»
Per la prima volta, la maschera dura di Lina si incrinò. I suoi occhi si riempirono di lacrime che cercò di trattenere, come se piangere fosse un lusso. Non si aspettava gentilezza. Si aspettava solo di sopravvivere.
E invece, in quelle parole, sentì qualcosa che non provava da troppo tempo: speranza.
Clicca il pulsante qui sotto per leggere la prossima parte della storia. ⏬⏬






