Sorrisi, ma la voce mi uscì gelida.
«Voleva vedere se crollavo?
Ingegnere, ho passato tre mesi a dormire in un box e a rovistare tra i rifiuti per mangiare.
Lei che corrompe un file non rientra nemmeno nella categoria “problema”.
Quello che sì rientra nella categoria “problema” è sabotare un progetto dello studio per difendere il proprio ego.»
Mi alzai in piedi.
«Ecco cosa succede adesso. Lei si dimette, con effetto immediato. In cambio, lo studio rileverà le sue quote al valore di mercato e lei firmerà un accordo di non diffamazione.
Oppure io avvierò un’azione legale per sabotaggio e danno all’immagine dell’azienda.
Ha tempo fino a domani sera per decidere.»
Quando uscì, la tensione nella stanza si allentò.
Alcuni membri del consiglio evitarono il mio sguardo, altri mi fissavano con una nuova considerazione.
Dopo la riunione, Jacopo mi trovò affacciata alla finestra.
«È stata la scelta giusta» disse piano. «Ha tolto di mezzo una minaccia senza umiliarlo pubblicamente. Questo è leadership.»
«Una parte di me voleva solo cacciarlo a calci fuori dalla porta» ammisi. «Ma Teodoro non avrebbe voluto vendette spettacolari. Solo ordine.»
Jacopo sorrise di lato.
«Teodoro avrebbe commentato che hai trovato un ottimo equilibrio tra fermezza e pragmatismo. E poi avrebbe brontolato sul fatto che ci è voluto tutto questo per farti credere in te stessa.»
Due settimane dopo, Margherita bussò alla porta del mio studio con qualcosa stretto al petto.
«Signorina Sofia, credo che questo sia per lei» disse, porgendomi un diario rilegato in pelle. «L’ho trovato nascosto dietro i libri di architettura di suo zio. L’ha tenuto per quindici anni. Parla molto di lei.»
Mi ci vollero ore per leggerlo.
Le prime pagine raccontavano i miei primi mesi da lui, a quindici anni: la timidezza, il dolore per i miei genitori, le prime tavole che lui fingeva di “dimenticare” sul tavolo per stuzzicare la mia curiosità.
Poi arrivava il capitolo del matrimonio.
«15 marzo, dieci anni fa.
Oggi Sofia si sposa con Riccardo.
Mi rifiuto di andare. Margherita dice che sono testardo e crudele. Forse.
Ma non posso guardare qualcuno che ho cresciuto entrare in una gabbia a occhi aperti.
Gli ho detto che quell’uomo è controllante. Lei lo sposa lo stesso.
Tutto quello che posso fare adesso è aspettare e sperare che trovi la strada di ritorno.»
Più avanti:
«8 dicembre, nove anni fa.
Ho saputo da conoscenti che Sofia non lavora. Riccardo non glielo permette.
La mia ragazza brillante si sta spegnendo nel silenzio di una villetta di periferia.
Voglio chiamarla.
Margherita dice di no. Dice che se intervengo adesso lei si chiuderà ancora di più.
Odio il fatto che abbia ragione.»
«22 luglio, otto anni fa.
Ho iniziato i lavori per trasformare il quinto piano in uno studio per lei.
Margherita pensa che sia folle preparare uno spazio per qualcuno che forse non tornerà mai.
Ma io ho bisogno di credere che tornerà.
Lo studio è il mio atto di fede.»
«4 aprile, cinque anni fa.
Ho visto Sofia a una serata di beneficenza.
Riccardo teneva la mano sulla sua schiena tutta la sera, come se la guidasse.
Lei era magra, stanca, il sorriso rigido.
Volevo dirle qualcosa, ma lei ha evitato il mio sguardo.
Non credo si renda nemmeno conto di quanto si sia ristretta.»
«30 gennaio, tre anni fa.
Ho saputo che Riccardo ha un’amante.
Lo sanno tutti tranne lei.
Una parte di me vuole dirglielo.
Ma se lo faccio, temo che Sofia si aggrapperà ancora di più al matrimonio, per orgoglio.
Deve essere lei a vedere, a indignarsi, a fuggire.»
«11 novembre, due anni fa.
Ho rivisto il testamento.
Tutto resta a Sofia, a patto che diriga lo studio almeno per un anno.
Jacopo pensa che sia manipolatorio.
Forse lo è.
Ma questo studio è sempre stato destinato a lei, fin da quando l’ho vista studiare le mie tavole a quindici anni.
Ha un dono. Deve solo ricordarsene.»
«4 settembre, un anno fa.
Il medico dice che mi restano forse sei mesi.
Ho fatto pace con l’idea di morire.
Quello con cui non riesco a fare pace è la possibilità che Sofia passi la vita in quella prigione.
Posso solo lasciarle gli strumenti perché, quando cadrà, possa ricostruirsi.»
«20 dicembre, sei mesi fa.
Sofia ha chiesto il divorzio.
Grazie a Dio.
Sarà una guerra, ma è più forte di quanto creda.»
«8 marzo, otto settimane fa.
Sto peggiorando più in fretta del previsto. Il dolore è forte, ma sono sereno.
Vittoria sa cosa fare quando non ci sarò più.
Il resto spetta a lei. Prenderà la sfida o troverà un’altra strada.
In ogni caso, sarà finalmente libera.
È tutto quello che ho sempre voluto.
Con amore,
Teodoro.»
Chiusi il diario con le mani che tremavano.
Mi sentivo vista fino in fondo, in tutte le volte in cui non mi ero voluta vedere da sola.
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