Dopo tredici anni di silenzio, mia figlia è tornata per la mia eredità… e ha trovato un muro

Gloria sorrise appena.

— Vedremo — disse soltanto.

Chiuse la porta dietro di loro, appoggiò per un momento la schiena al legno, poi andò nello studio.

Aprì un vecchio quaderno dove, anni fa, aveva appuntato numeri, nomi e decisioni importanti. Cercò tra le pagine finché trovò un nome: Mara Conti.

Aveva usato quel nome una sola volta, quasi vent’anni prima, quando un impresario edile aveva cercato di imbrogliarla su dei lavori.

Prese il telefono, compose il numero che ricordava ancora a memoria.

Mara rispose al secondo squillo, la voce tranquilla, un po’ roca.

— Pronto?

— Mara, sono Gloria Bianchi.

Una breve pausa, poi un fischio basso.

— Gloria… se mi chiami tu, di solito significa che sta per succedere qualcosa di interessante.

— È già successo — rispose Gloria, con calma. — Mia figlia è tornata dopo tredici anni. Con il marito. E con le valigie.

La voce di Mara cambiò subito, diventò più concentrata.

— Capisco. Che cosa ti serve?

Gloria si sedette alla scrivania, guardò fuori verso il giardino, ormai immerso nel crepuscolo.

— Voglio sapere tutto di loro — disse piano. — Finanze, attività, debiti, società, guai. Degli ultimi quindici anni. E voglio che sia fatto in silenzio. Nessuno deve saperlo.

— Dammi quarantotto ore — rispose Mara. — Forse meno.

— Va bene.

— Gloria?

— Sì?

— Ti serve una mano perché hai paura?

Gloria guardò la propria mano sul tavolo, ferma.

— No. Perché non ho più voglia di farmi prendere in giro.

— Allora sarò molto scrupolosa.

Riattaccarono.

Gloria rimase qualche minuto immobile, ad ascoltare il tic tac dell’orologio nel corridoio.

Poi chiuse il quaderno.

Non avrebbe agito di impulso.

Avrebbe pianificato.


I due giorni successivi si muovevano piano, in apparenza tranquilli.

Vanessa e Adriano passavano “per caso” sempre più tempo in casa. All’inizio dicevano di essere venuti a pranzo “per non disturbare il ristorante”, poi restavano fino a sera.

Vanessa si sentì subito “a casa” in cucina. Aprì gli sportelli, spostò i barattoli delle spezie, commentò sul vecchio forno.

— Bisognerebbe rifare tutto — disse un pomeriggio, con aria competente. — Una cucina aperta, con un’isola centrale. Potrei usarla anche per i miei progetti, i video, le foto… Sai, ormai sui social si può fare molto.

Gloria asciugava i piatti, senza intervenire.

Adriano passava ore in giardino, con le mani in tasca, guardando il terreno.

— Se abbattiamo quella siepe — commentò a un certo punto — si potrebbe allargare il parcheggio. Un domani, se volessimo valorizzare la proprietà, avere più posti auto è una cosa che conta.

“Un domani.”

Sempre al plurale.

Gloria offriva caffè, ascoltava, annuiva ogni tanto, ma non si impegnava mai.

Dentro di sé, sentiva solo conferme.

Il terzo pomeriggio, come promesso, Mara arrivò.

Si presentò con il suo solito blazer scuro, i capelli raccolti male, una cartellina di cartone sotto il braccio.

Gloria la fece accomodare nello studio. Chiuse la porta.

L’aria cambiò, come quando si abbassa il volume del mondo esterno.

Mara aprì la cartellina e iniziò senza giri di parole.

— Da dove vuoi che cominci? — chiese.

— Dai soldi — rispose Gloria. — Sempre lì si capisce tutto.

Mara iniziò a sistemare fogli sulla scrivania, uno accanto all’altro.

— Adriano — disse, indicando una stampata con varie voci. — Negli ultimi dieci anni ha avuto quattro società. Tutte chiuse. Due sciolte per mancato pagamento di tasse e contributi, una finita male con una causa ancora in corso, l’ultima fallita di recente.

Scorse con il dito alcuni numeri.

— Tra banche, fornitori e privati, siamo intorno al mezzo milione di euro di debiti.

Gloria non sfarfallò le ciglia. Guardava solo i fogli.

— Vanessa? — chiese.

Mara spostò un altro foglio.

— Tre carte di credito al limite, due prestiti personali in sofferenza, un mutuo su un appartamento che hanno rischiato di perdere: sono riusciti a fare una surroga all’ultimo. Hanno vissuto molto al di sopra delle loro possibilità per anni. Contatti, serate, viaggi, immagine.

Prese un altro foglio, questa volta pieno di righe evidenziate.

— Negli ultimi sei mesi hanno ricominciato a mandare messaggi a parenti che non sentivano da tempo. Lettere, mail. Tutte con lo stesso tono: “ricostruiamo i legami”, “la famiglia è importante”. Nel frattempo, Adriano ha cercato di ottenere un prestito usando il tuo nome come garanzia. Rifiutato, perché la banca chiedeva la tua firma.

Gloria sollevò appena lo sguardo.

— Quindi non è stato un impulso — disse. — Ci giravano intorno da un po’.

Mara annuì.

— Esatto. Da quando si è sparsa la voce della vendita dei tuoi appartamenti, si sono messi in moto.

— Non sono tornati per me.

— No — disse Mara, semplice. — Sono tornati perché stanno affondando.

Gloria fece un respiro lungo, posò le mani in grembo.

Non era sorpresa.

Solo, adesso, il sospetto aveva un volto chiaro, nero su bianco.

— Grazie, Mara — disse. — Era proprio quello che mi serviva.

Mara raccolse le sue copie, ma lasciò quelle per Gloria.

— Continuerò a tenere gli occhi aperti — aggiunse. — E, Gloria… stai attenta. Quando la gente è disperata, fa sciocchezze.

— Lo so — rispose lei. — È per questo che io non reagirò. Pianificherò.

Quando Mara se ne fu andata, Gloria rimase sola nello studio.

Guardò i fogli, li raccolse, li mise in un raccoglitore.

Poi prese il telefono e chiamò un altro numero che conosceva bene.

— Pronto?

— Elena? Sono Gloria.

Elena Rossi, la sua avvocata di fiducia, arrivò quella stessa sera, ancora con il tailleur scuro e la borsa piena di fascicoli. Ascoltò in silenzio mentre Gloria le raccontava tutto.

Quando finì, Elena si appoggiò allo schienale della sedia, tamburellando piano con la penna sul blocco appunti.

— È un pasticcio — disse alla fine. — Ma è anche un’occasione.

Gloria inarcò un sopracciglio.

— Un’occasione?

— Se reagisci d’istinto, con la pancia — spiegò Elena — loro comanderanno la storia: “la madre cattiva che non aiuta i figli”. Se pianifichi, comandi tu. E io sono qui per aiutarti a pianificare.

La luce della lampada da tavolo creava un cerchio caldo sulle carte.

— Che cosa vuoi davvero, Gloria? — chiese Elena. — Difenderti? Allontanarli? Mettere condizioni?

Gloria rimase in silenzio qualche secondo.

Poi parlò piano, ma ogni parola era netta.

— Voglio che sia chiaro, per sempre, che quello che ho costruito non è un banco a cui ci si siede e si pesca a caso. Voglio che non possano vendere o impegnare la mia casa, adesso e nemmeno dopo che non ci sarò più. E se un domani vorranno far parte di quello che lascerò, dovranno dimostrare di meritarlo.

Elena annuì lentamente.

— Bene. Allora cominciamo.

Passarono la serata a disegnare scenari: testamento, atti, vincoli, deleghe. Elena spiegava con parole semplici, Gloria chiedeva chiarimenti, prendeva appunti, non scappava dai dettagli.

Non piansero.

Non litigarono.

Due donne sedute a un tavolo, che smettevano di subire e sceglievano.

Quando Elena richiuse finalmente la borsa, Gloria non sentiva rabbia.

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