La riunione finì lì. Gloria raccolse i fascicoli, ringraziò Elena, sfiorò con la mano la spalla di Davide.
Lasciò Vanessa e Adriano seduti a fissare le carte che avevano appena distrutto le loro illusioni.
Quella sera, Adriano sembrava un leone in gabbia.
Camminava avanti e indietro in salotto, le mani tra i capelli.
— Non può farlo — ripeteva. — Non può tagliarci fuori così. È nostra madre!
Vanessa stava seduta sul divano, le braccia incrociate, lo sguardo perso.
— Lo ha già fatto — mormorò. — E l’ha fatto anni fa, senza dirci niente.
Adriano si fermò di colpo.
— Allora attaccheremo sul piano legale — dichiarò. — Troveremo un avvocato nostro. Una brava volpe. Vedrai che qualcosa salta fuori: influenza indebita, età, capacità di intendere…
Vanessa lo guardò, stanca.
— Non è vecchia e rimbambita, Adriano. È lucida. Più lucida di noi.
— Ci sarà una falla — insistette lui. — Ci deve essere. Non posso accettare che tutto dipenda dai suoi capricci.
Vanessa non rispose.
Dentro, una parte di lei sapeva che non erano capricci. Che quella struttura era nata proprio da anni di errori e ferite.
Ma era più facile aggrapparsi alla rabbia di Adriano che guardarsi allo specchio.
Il giorno dopo, Gloria li chiamò di nuovo in sala da pranzo.
Non c’erano fiori sulla tavola, solo una cartellina chiara al centro.
Vanessa entrò lentamente. Adriano la seguì, le spalle tese.
Davide era già seduto. Elena no: quel giorno non servivano avvocati.
— Oggi sarò molto più breve — disse Gloria, quando furono tutti a posto. — Vi ho mostrato quello che avete fatto e quello che io ho fatto di conseguenza. Adesso tocca a voi scegliere.
Aprì la cartellina e tirò fuori alcuni fogli.
— Avete due possibilità.
Li guardò uno per uno.
— La prima è semplice: fate le valigie e ve ne andate oggi stesso. Vi occupate dei vostri debiti, del vostro futuro, delle vostre scelte. Senza me in mezzo. Non vi aiuto economicamente, non vi ospito, non faccio da garante.
Vanessa impallidì appena.
Adriano irrigidì la schiena.
— La seconda — continuò Gloria — è questa.
Spinse i fogli verso di loro.
— Entrate in un programma di recupero che ho chiesto a Elena di preparare. Nessun euro passa da me a voi direttamente. Tutto viene gestito da un professionista. Avrete consulenza per sistemare i debiti, obbligo di cercare e mantenere un lavoro stabile, incontri con uno psicologo. Io contribuirò alle spese, ma non metterò mai i soldi in mano vostra. E non vivrete qui.
Adriano scosse la testa prima ancora di leggere.
— Ma è umiliante — sputò. — Vuoi farci passare come casi sociali.
— Volete i miei soldi — replicò Gloria, senza alzare il tono — ma non volete la mia condizione. Questo non esiste. O accettate il percorso, o fate da soli.
Vanessa guardava le pagine. C’erano orari, step, controlli, firme, obblighi.
— E se non ce la facciamo? — chiese, con un filo di voce.
— Allora non ce la fate — rispose Gloria. — Ma almeno ci avrete provato. Senza trascinarmi con voi.
Li fissò entrambi.
— Avete tempo fino a domani mattina per decidere. Se entro mezzogiorno non ho una risposta, considererò scelta la prima opzione. E vi chiederò di lasciare la casa quel giorno stesso.
Davide non disse nulla. Ma nei suoi occhi Vanessa vide che, per la prima volta dopo tanto tempo, lui stava guardando non la madre, ma lei.
Come a dire: adesso tocca a te, non a lei.
La notte fu lunga.
Adriano camminava in camera come un animale in gabbia.
— Non posso firmare una cosa del genere — ripeteva. — Consulenze, psicologi, controlli… è ridicolo.
— È una possibilità — mormorò Vanessa. — L’unica che abbiamo.
— Non è l’unica — ribatté lui. — Possiamo trovare un altro modo. Prestiti, un socio, un altro progetto…
Vanessa chiuse gli occhi. Il cuore le batteva forte.
Quante volte aveva già sentito quelle parole?
Un altro progetto.
Un altro rischio.
Un’altra caduta.
La mattina dopo, il cielo era coperto.
In sala da pranzo, Gloria stava in piedi vicino alla finestra. Davide era seduto, le braccia conserte.
Vanessa e Adriano entrarono insieme.
Non si tenevano per mano.
— Avete deciso? — chiese Gloria, voltandosi.
Adriano parlò per primo.
— Sì — disse, il mento alto. — Non accetto il tuo “programma”. Non sono un ragazzo da rieducare. Non sono un caso da assistente sociale. Ce la faremo da soli.
Gloria annuì, una sola volta.
— Va bene — disse. — Allora è la prima opzione.
Guardò Vanessa.
— E tu?
Vanessa esitò. Sentiva il peso dello sguardo di Adriano su di sé, duro.
Sentiva anche quello, diverso, di Davide e della madre.
Aprì la bocca, la richiuse.
— Vado con lui — disse infine. — Non posso… non posso lasciarlo da solo.
Quella frase le fece male mentre la pronunciava. Ma uscì lo stesso.
Gloria non la rimproverò.
— Allora fate le valigie — disse soltanto. — Avete tempo fino a stasera.
Adriano scosse la testa, irritato.
— Non ti preoccupare — sbottò. — Ce ne andiamo subito.
Mentre uscivano dalla stanza, Davide guardò la sorella.
C’era tristezza nei suoi occhi, non odio.
Vanessa lo vide. E fu peggio.
Nel pomeriggio, il rumore di cerniere, cassetti aperti, ante richiuse riempì il piano di sopra.
Gloria rimase al piano inferiore, in soggiorno, una tazza di tè ormai fredda tra le mani.
Quando finalmente sentì i passi scendere le scale, si alzò.
Adriano aveva una valigia in ogni mano. Il volto teso, gli occhi duri.
Vanessa ne portava una sola. Si fermò a metà del corridoio e guardò per un istante le foto appese: lei bambina col grembiule di scuola, lei e Davide sulle biciclette, Gloria più giovane con le mani sporche di vernice davanti a un appartamento appena ristrutturato.
Arrivarono alla porta.
Adriano si girò ancora una volta verso Gloria.
— Ti pentirai di questo — disse, freddo. — Quando sarai sola davvero, ti ricorderai che ci hai sbattuto fuori.
Gloria lo guardò senza tremare.
— Ho già passato anni da sola — rispose. — E sono vivi. Quello che non voglio più è essere circondata da chi mi vede solo come un bancomat.
Aprì la porta.
Adriano uscì senza voltarsi.
Vanessa rimase sulla soglia, con la valigia accanto.
La casa alle sue spalle profumava ancora di caffè e cera per mobili. Davanti, il vialetto di ghiaia, l’auto nera pronta.
Gloria la guardò negli occhi.
Non c’era trionfo nello sguardo, solo una tristezza lucida.
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