Funerale di un padre disprezzato che rivela un segreto nascosto per quindici anni da tutta la famiglia

Ho richiamato Luca.

«Suo padre ha molti amici che vorrebbero organizzare una cerimonia…»

«Ho già detto di no. Cremazione e basta.»

«Sono disposti a coprire tutte le spese…»

«Non mi interessa. È morto, finalmente. Niente funerale, niente annuncio sui giornali. Ho io il diritto legale. Fine della storia.»

Ha riattaccato.

Ma io avevo già fatto delle fotocopie.
Tutto quello che avevo trovato nel box:
le lettere, le foto, perfino una specie di necrologio che Giovanni aveva scritto di suo pugno e mai spedito a nessun giornale.

In quel testo, chiedeva scusa per gli errori del passato e ringraziava, uno per uno, coloro che avevano reso sopportabili i suoi anni di sobrietà.

Ho preso il coraggio a due mani e ho inviato quel necrologio a più redazioni locali.

Il titolo che hanno scelto il giorno dopo è stato più o meno questo:
«Muore solo in un monolocale, ma per quindici anni ha salvato decine di persone dalla dipendenza».

La storia è rimbalzata dappertutto.
Le persone che Giovanni aveva aiutato hanno iniziato a raccontare, sui social, la propria versione.

Foto di lui alle lauree, ai battesimi, alle feste di compleanno dei figli dei suoi “ragazzi”.
L’uomo che il figlio descriveva come un relitto è apparso per quello che era davvero:
un alcolista pentito, che aveva trasformato la propria vergogna in servizio.

La pagina dello studio dentistico di Luca è stata sommersa di commenti indignati.
Screenshot del suo «Finalmente libero» accostati a testimonianze di riconoscenza verso Giovanni.
Le recensioni online sono precipitate.

Tre giorni dopo, Luca è entrato nella mia agenzia con il volto stravolto.

«Ha distrutto la mia reputazione!» ha gridato.

«Io ho detto solo la verità» ho risposto.

«Era un ubriacone che ha abbandonato la famiglia!»

«Era un alcolista che ha smesso di bere e ha passato quindici anni a cercare di rimediare. È stato lei a non permetterglielo.»

«Lei non sa cosa abbiamo vissuto noi!»

«No, ha ragione. Non so niente di prima.
Ma so cosa ha fatto lui dopo

Ho allargato sul tavolo le foto del box.
Giovanni ai gruppi di recupero.
Giovanni che accompagna qualcuno alla prima udienza con il giudice.
Giovanni con bambini che non erano i suoi, ma lo abbracciavano come un nonno.

Luca è impallidito davanti alle stampe delle foto di Chiara.

«Lui… la guardava crescere?»

«Da lontano. Perché lei non gli ha permesso di avvicinarsi.
È morto con una sua foto in mano.»

La corazza di Luca si è incrinata.

«Non sapevo che fosse malato.»

«Perché ha bloccato il suo numero. Ha fatto rimandare indietro tutte le lettere.
Ha raccontato alla sua famiglia che Giovanni era “morto” già da anni.»

Gli ho consegnato il pacchetto destinato a Chiara.
Le mani di Luca tremavano mentre leggeva il biglietto.

«Dio mio… che cosa ho fatto?»

«Ora ha due scelte» gli ho detto.
«Permettere agli amici di suo padre di organizzare una cerimonia.

Oppure io renderò pubblici tutti i tentativi che Giovanni ha fatto per chiederle perdono.
Ogni lettera rimandata indietro.

Ogni messaggio senza risposta.
Ogni prova che lui è morto cercando di rimediare, mentre lei festeggiava la sua assenza.»

Il funerale si è tenuto il sabato.

La sala principale non bastava.
Abbiamo dovuto aprire altre stanze e mettere altoparlanti anche fuori, sul marciapiede.
Più di cinquecento persone sono venute a salutare Giovanni.

Luca si è seduto in fondo, cercando di rendersi invisibile.

Ma uno dopo l’altro, i presenti si sono alzati a parlare.

Marco, il ragazzo del primo quaderno, adesso uomo, sposato e con due figli, dieci anni sobrio:

«Giovanni mi ha fatto capire che il passato ti segna, ma non ti condanna per sempre.
Quando io non credevo in me stesso, lui ha creduto al posto mio.»

Elena, la donna della lettera:

«Mi accompagnava in ospedale tutte le settimane per le terapie. Lui stava peggio di me, ma non parlava mai della propria malattia.
Diceva che la sua missione era “esserci”.»

Sergio, l’ex collega:

«Giovanni avrebbe potuto morire ubriaco quindici anni fa, in qualche fossato.
Invece ha scelto di vivere sobrio e di dare tutto agli altri.
Questo non cancella gli errori, ma è la definizione stessa di redenzione.»

Poi si è alzata Chiara, la nipote, ormai diciottenne.
Aveva letto gli articoli, aveva visto le foto, aveva scoperto che il nonno “mostro” di cui si parlava in casa era un uomo molto diverso.

«Per tutta la vita mi hanno detto che mio nonno era uno che preferiva l’alcol alla famiglia» ha detto, con la voce che le tremava.
«Ora scopro che il giorno in cui sono nata ha scelto di smettere di bere.
Non ha potuto essere il mio nonno come avrebbe voluto, ma ha fatto da padre e nonno a decine di persone che non avevano nessuno.»

Ha sollevato la medaglia al valor militare.

«Questa è la storia di tre generazioni» ha continuato.

«Un bisnonno che ha servito il Paese in guerra.
Un nonno che ha combattuto contro la dipendenza e la vergogna aiutando altri a rialzarsi.
Entrambi hanno combattuto. Entrambi hanno salvato vite.
Tutti e due meritavano più rispetto dalla loro famiglia.»

Gli occhi di Luca si sono riempiti di lacrime.
La facciata sicura di sé, del professionista impeccabile, è crollata.

Dopo la cerimonia, i volontari hanno formato un corridoio d’onore.
Le vecchie divise, le giacche arancioni, i caschi lucidati alla meglio.
Qualche sirena breve, non per spettacolo, ma come saluto.

Il carro funebre con il feretro di Giovanni è uscito lentamente.
Dietro, una processione di auto, furgoni e moto.
Una lunga scia di persone che non potevano accettare che quell’uomo se ne andasse nel silenzio.

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