Il gruppo ha ottenuto un piccolo finanziamento per allestire una stanza sensoriale: pannelli che riproducono suoni e vibrazioni delle moto, per i bambini che hanno paura dei motori veri.
Tuono è diventato quasi un nonno per Luca. Gli spiega come funzionano i motori, ma soprattutto gli parla di rispetto, di pazienza, di prendersi cura degli altri.
Luca ora riconosce le moto dal suono. Ha cominciato anche a disegnarle, un altro modo di comunicare che prima non aveva.
«Perché secondo te ha funzionato?» ho chiesto un giorno a Tuono, guardando Luca dirigere una “sinfonia” di sei moto.
«Per lo stesso motivo per cui funziona con noi» ha risposto. «A volte il mondo è troppo. Troppo rumore, troppa luce, troppe richieste.
Ma quando sei in moto, sei tu, il motore e la strada. Tutto il resto sfuma. Tuo figlio aveva bisogno di quella semplicità. Di quel tipo di controllo. Noi gli abbiamo solo messo in mano… le chiavi.»
«Ha otto anni. Niente chiavi, per ora» ho scherzato.
«Chiavi metaforiche» ha riso lui. «Ma si ricordi quello che le dico: un giorno quel bambino guiderà. E quando succederà, avrà un’intera colonna di moto dietro di lui.»
Un mese fa si è rifatto vivo il padre di Luca. Aveva visto la storia su internet. Voleva “ricostruire un rapporto” con suo figlio.
L’ho incontrato in un bar, da sola.
«Non è guarito» gli ho detto, prima che iniziasse con discorsi strani. «È sempre autistico. Ha ancora difficoltà. Solo che adesso ha un modo per farsi capire.»
«Attraverso le moto? È assurdo» ha sbuffato.
«Vuoi sapere cosa è assurdo?» ho risposto, calma. «Lasciare un bambino solo perché non è come te lo aspettavi. Quegli uomini, questi sconosciuti, hanno fatto per Luca in una notte più di quanto tu abbia fatto in tre anni.»
Ha minacciato di chiedere l’affidamento, ha detto che lo stavo esponendo a “cattive influenze”.
Ho riso. Sul serio, ho riso.
«Quelle “cattive influenze” hanno tirato tuo figlio fuori dal mezzo alla strada. Gli hanno salvato la vita. Poi, con pazienza, gli hanno ridato la voce. Portami pure in tribunale.
Io verrò con Rita, con i terapisti… e con la Compagnia del Tuono al completo. Vediamo a chi darà ascolto il giudice.»
Non mi ha più chiamata.
stasera guardo Luca dormire. Parla anche nel sonno, adesso – quasi sempre di moto, ma sono parole. Parole meravigliose, preziose.
Sulla parete sopra il letto ci sono le foto degli ultimi mesi. Lui con il gilet di “Piccolo Tuono”. Lui seduto sulla moto di Tuono (ferma, motore spento, ma per lui è come volare). Lui nel capannone, circondato da decine di motociclisti che danno gas mentre lui li dirige ridendo.
Ma la mia foto preferita è quella di quella prima notte. Qualcuno l’ha scattata col telefono: Luca al centro di quattordici moto, le mani alzate, la bocca spalancata in un suono che non si sente nella foto, ma io sì, ancora oggi.
E intorno a lui, un cerchio di angeli custodi in giubbotto di pelle, che lo proteggono, lo incoraggiano, gli restituiscono la voce un rombo alla volta.
I medici lo chiamano un miracolo.
Gli specialisti lo definiscono un caso particolare.
Loro lo chiamano semplicemente famiglia.
E Luca?
Quando gli chiedono perché le moto lo aiutano a parlare, ci pensa un attimo, arriccia il naso e poi dice:
«Moto parlano lingua di Luca. Luca parla lingua di moto. Uguale.»
Uguale, sì.
Domani è sabato. Luca ha già preparato il suo gilet, le cuffie per le orecchie e le sue carte di comunicazione, nel caso le parole dovessero mancargli. Ma ormai succede di rado.
«Andiamo da fratelli Tuono domani?» mi ha chiesto a cena.
«Sì, amore. Domani andiamo dai fratelli.»
«Luca felice. Mamma felice. Tuono felice. Tutti felici.»
«Tutti felici» ho ripetuto.
Ed è così. Felici. Ritrovati. Tutti a parlare la stessa lingua.
La lingua del tuono.






