«Quando ci siamo conosciuti era nessuno. Una studentessa senza peso, senza contatti. Le ho dato tutto.»
«La casa, la vita che ha, l’immagine dell’azienda. E così mi ringrazia?»
Davide lo osservò in silenzio. Aveva già visto altri uomini potenti crollare, ma quello era diverso. In Lorenzo c’era qualcosa di più della rabbia: c’era panico, paura di perdere il controllo.
Il campanello suonò. Una domestica aprì e tornò poco dopo con due agenti in divisa.
«Signor Grimaldi,» disse uno di loro, con tono cortese ma fermo. «Siamo qui per notificarle un ordine di allontanamento richiesto dalla signora Chiara Grimaldi. Le è vietato avvicinarsi a lei, di persona o per telefono, con effetto immediato.»
Lorenzo rise, incredulo. «Un ordine di allontanamento? Contro il marito?»
«Sì, signore,» rispose l’agente. «Firmato stamattina dalla giudice Elena Rinaldi.»
La risata gli morì in gola. La mano gli tremò, ma la tenne abbassata. «Bene. Che si nasconda pure dietro la toga di sua madre. Non è finita.»
Quando gli agenti se ne furono andati, Davide parlò con voce più bassa. «È finita, Lorenzo. A meno che tu non inizi a capire quello che hai fatto.»
Lorenzo lo ignorò. Afferrò il telefono. «Lo sistemerò io.»
Aprì una diretta sui social. Lo schermo si riempì subito di spettatori.
Il suo ufficio stampa gli aveva vietato di farlo, ma lui non riusciva a resistere. Aveva bisogno di riprendere in mano il racconto.
Sistemò la cravatta, si forzò a un’espressione calma e cominciò. «Buongiorno a tutti. So che avete visto il video e voglio chiarire quello che è successo. Quello che è accaduto in tribunale è stato spiacevole, ma è stato completamente fuori contesto.»
«Mia moglie sta attraversando un periodo difficile della gravidanza e io ho reagito male. Amo la mia famiglia. Non farei mai del male intenzionalmente a Chiara o a nostro figlio.»
Davide lo guardava con gli occhi sbarrati. Lorenzo proseguiva, scavandosi la fossa frase dopo frase.
«È sotto forte stress,» continuò, con la voce più sicura. «È stata manipolata da persone che non mi vogliono bene, compresa sua madre. L’hanno messa contro di me per motivi che non posso discutere pubblicamente.»
Nel giro di pochi secondi, i commenti esplosero. «Sta dando la colpa a una donna incinta?» – «Sta gaslighting in diretta.» – «È finito.»
La diretta durò cinque minuti. Ma bastarono.
I filmati della sua dichiarazione furono ricaricati ovunque. Le sue parole divennero una nuova prova di arroganza e negazione.
Davide si massaggiò le tempie. «È stata la cosa peggiore che potessi fare.»
Lorenzo sbatté il telefono sul tavolo. «Non capisci. La gente dimentica. Dimenticano sempre. Devo solo ricordare loro chi sono.»
La voce di Davide si fece fredda. «Lo sanno già chi sei. Ed è questo il problema.»
Qualche ora dopo, Lorenzo entrò nella sala del consiglio di amministrazione. Il lungo tavolo in legno lucido brillava sotto le luci. I membri del consiglio, che fino a pochi mesi prima pendavano dalle sue labbra, ora evitavano il suo sguardo.
Il suo posto in capotavola era vuoto.
Il presidente del consiglio schiarì la voce. «Signor Grimaldi, abbiamo esaminato i filmati e ascoltato la sua dichiarazione pubblica. L’azienda non può sopravvivere a questo tipo di esposizione. Con effetto immediato, è sospeso da tutte le cariche esecutive, in attesa di ulteriori accertamenti.»
La bocca di Lorenzo si seccò. «Non potete farlo.»
«Questa è la mia azienda.»
«Lo era,» rispose il presidente, con calma. «Finché le sue azioni non l’hanno messa in pericolo.»
La riunione finì senza applausi, senza strette di mano, senza un’ombra di solidarietà.
Lorenzo uscì nel corridoio pieno di telecamere. I giornalisti lo assalirono con le domande. «È vero che ha picchiato sua moglie?» «È vero che la giudice ha firmato l’ordine di allontanamento?» «Si dimetterà definitivamente?»
Non rispose. Per una volta, non ebbe parole da usare come scudo. I microfoni lo seguirono finché le porte dell’ascensore si chiusero.
Mentre scendeva, le pareti a specchio gli rimandavano il riflesso di un uomo con gli occhi vuoti. Cercò di convincersi che la colpa non fosse sua, che Chiara lo avesse provocato, incastrato. Ma neppure la sua immagine gli credette.
Al dodicesimo piano del tribunale, Chiara sedeva in una stanza di attesa con la madre e l’avvocato, mentre dava la sua deposizione alle autorità. La voce era ormai più stabile. Ogni parola che Lorenzo usava per giustificare la violenza, lei la trasformava in qualcosa di concreto, con peso e forma.
Questa volta, era la sua storia a reggere la scena, non quella di lui.
Quando l’incontro finì, uscì nel corridoio. Il pavimento di marmo rifletteva la luce del pomeriggio. La madre la aspettava vicino alla finestra, parlando a bassa voce con un usciere.
Appena i loro sguardi si incrociarono, Chiara sentì le forze vacillare di nuovo. Elena le andò incontro. «Sei stata chiara,» disse piano. «Hai parlato bene. E sei rimasta calma.»
Chiara annuì. «Non mi sembra abbastanza.»
Elena le posò una mano sulla spalla. «La giustizia non arriva in un solo attimo. Si costruisce, pezzo dopo pezzo. E adesso la verità sta finalmente facendo più rumore delle sue bugie.»
Prima che Chiara potesse rispondere, dal fondo del corridoio arrivò il rumore confuso dei giornalisti che cercavano un varco. Le voci, le domande, i flash. Le guardie correvano a bloccarli.
«Signora Grimaldi, presenterà altre denunce?» «È vero che sua madre ha firmato l’ordine?» «Si pente di aver sposato Lorenzo Grimaldi?»
Riccardo si mise subito tra lei e la folla. «Nessuna domanda, per favore. La signora oggi non rilascia dichiarazioni.»
Tra quel caos, una voce diversa si fece sentire. Più ferma, più bassa. «Fate spazio, per favore. Quest’area è riservata.»
Chiara si voltò e lo vide.
Un uomo alto, in divisa blu scuro, avanzava lungo il corridoio. Il solo modo in cui camminava bastava a zittire metà dei presenti. Il distintivo dorato sul petto rifletteva la luce della finestra.
«Capitano Luca Bianchi, Polizia Metropolitana,» si presentò agli agenti del tribunale. «Sono qui per parlare con la giudice Rinaldi in merito ai filmati.»
Elena gli tese la mano. «Capitano Bianchi, grazie di essere venuto.»
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