E quel signore, che da giorni parlava a monosillabi, sussurrò un «Ciao, vecchio mio» mentre quel gatto tigrato si sistemava accanto a lui, facendo le fusa così forte che sembrava un motore.
In quel momento capii una cosa che forse avrei dovuto capire da tempo.
Noi parliamo sempre di “qualità della vita”, di “dignità della morte”, di “supporto emotivo”.
Poi a volte dimentichiamo che, per qualcuno, tutta questa teoria si traduce in una coda che scodinzola, in un muso bagnato, in due occhi che ti hanno visto nei tuoi giorni peggiori e non ti hanno mai giudicato.
Una sera, uscendo dall’ospedale dopo un turno lungo, trovai un biglietto infilato sotto il tergicristallo della mia auto.
Era una piccola carta bianca, con una calligrafia incerta.
«Grazie per aver permesso a mia madre di salutare Toto.
Ogni volta che lui dorme ai piedi del mio letto, io so che lei non è davvero andata via.
Laura.»
Rimasi seduto in macchina per qualche minuto, il biglietto tra le dita.
Fuori, il parcheggio dell’ospedale era lo stesso di sempre: lampioni giallastri, rumore lontano della strada, qualche infermiere che finiva il turno.
Dentro, però, qualcosa era cambiato.
Ripensai a quelle ultime ore con la signora Martina.
A quel momento in cui tutti noi, in quella stanza, avevamo smesso di ragionare come “personale sanitario” e avevamo iniziato, semplicemente, a essere umani.
Oggi, ogni volta che entro in una stanza dove qualcuno sta per andarsene, mi guardo intorno con occhi diversi.
Non vedo solo flebo, monitor, numeri che salgono e scendono.
Mi chiedo chi aspetta quella persona a casa.
Se c’è un cane che guarda la porta, un gatto che dorme sulla poltrona, un uccellino che canticchia nel salotto.
Perché ho imparato che, a volte, il vero confine tra una morte piena di paura e una morte piena di pace non è una medicina più forte.
È una presenza.
Una mano che ti tiene la mano.
O una zampa che resta appoggiata sul tuo petto fino all’ultimo respiro.
E se stai leggendo queste righe e hai ancora la fortuna di avere accanto un animale che ti aspetta, che ti guarda come se fossi il suo intero universo…
non dare mai per scontato quel sguardo.
Per noi, sono “solo” pezzi della nostra vita.
Per loro, noi siamo la vita intera.






