Il milionario torna a casa prima del solito… e non crede ai suoi occhi

Alessandro Rinaldi era abituato a rientrare a casa dopo le nove di sera, quando tutti dormivano già.
Quella sera però la riunione con gli investitori a Milano era finita prima del previsto, e lui aveva deciso di tornare direttamente alla villa ai Parioli, a Roma, senza avvisare nessuno.

Quando aprì la porta d’ingresso, si fermò.
Per qualche secondo non riuscì nemmeno a capire che cosa stava vedendo.

In mezzo al soggiorno, Lucia, la giovane colf di trent’anni, era in ginocchio sul pavimento bagnato, con uno straccio in mano.
Ma non era quello ad averlo paralizzato.

Era la scena accanto a lei.

Suo figlio, Matteo, quattro anni appena compiuti, era in piedi con le sue piccole stampelle viola, stringendo uno straccio da cucina e cercando di aiutare la ragazza a pulire il pavimento.

«Zia Lucia, io posso pulire proprio qui,» disse il bambino, biondino, allungando il braccino con fatica.

«Non ti preoccupare, Matteo, oggi mi hai già aiutata tantissimo. Perché non ti siedi un attimo sul divano mentre finisco?» rispose Lucia, con una voce dolce che Alessandro non le aveva mai sentito usare.

«Ma io voglio aiutare.»

«Dici sempre che siamo una squadra,» insistette il bambino, cercando di mantenere meglio l’equilibrio sulle stampelle.

Alessandro restò lì, sulla soglia, senza farsi notare, a osservare la scena.
C’era qualcosa in quell’interazione che lo colpiva in modo inspiegabile. Matteo sorrideva. E lui non lo vedeva sorridere così spesso, in casa.

«Va bene, mio piccolo aiutante, ma solo ancora un pochino,» cedette Lucia, accettando il suo aiuto.

Fu in quel momento che Matteo vide il padre fermo sulla porta.
Il suo viso si illuminò, ma nei suoi occhi azzurri c’era anche una sfumatura di sorpresa e timore.

«Papà, sei tornato presto!» esclamò cercando di girarsi troppo in fretta, rischiando di perdere l’equilibrio.

Lucia si alzò di scatto, lasciando cadere lo straccio a terra.
Si asciugò in fretta le mani sul grembiule e abbassò la testa.

«Buonasera, signor Alessandro. Non sapevo fosse rientrato,» balbettò. «Stavo solo finendo di pulire.»

Alessandro stava ancora cercando di elaborare quello che vedeva.
Guardò il figlio, che stringeva lo straccio come se fosse un trofeo, poi Lucia, che sembrava voler sprofondare nel pavimento.

«Matteo, che cosa stai facendo?» chiese, cercando di mantenere un tono calmo.

«Sto aiutando la zia Lucia, papà. Guarda!»
Matteo fece qualche passetto incerto verso di lui, appoggiandosi alle stampelle con orgoglio.
«Oggi sono riuscito a stare in piedi da solo quasi cinque minuti!»

Alessandro guardò Lucia, cercando una spiegazione.
Lei, con la testa ancora bassa, si torceva nervosamente le mani.

«Cinque minuti?» ripeté, incredulo. «Com’è possibile?»

«La zia Lucia mi fa fare gli esercizi tutti i giorni. Dice che se mi alleno tanto, un giorno potrò correre come gli altri bambini,» spiegò Matteo, con gli occhi che brillavano.

Calò il silenzio.
Alessandro sentì un miscuglio di emozioni che non riusciva a definire: rabbia, gratitudine, confusione.

«Esercizi?» domandò infine, fissando Lucia.

Lucia alzò finalmente lo sguardo. I suoi occhi castani erano pieni di paura.
«Signor Alessandro, stavo solo giocando con Matteo. Non volevo fare nulla di male. Se vuole, posso smettere subito. O… posso andarmene.»

«La zia Lucia è la migliore!» intervenne Matteo, spostandosi goffamente per mettersi in mezzo ai due adulti.
«Papà, la zia Lucia è la migliore. Non si arrende quando piango perché mi fa male. Dice che sono forte come un guerriero.»

Alessandro sentì qualcosa stringergli il petto.
Quando era stata l’ultima volta che aveva visto suo figlio così entusiasta?
Quando era stata l’ultima volta che ci aveva parlato davvero per più di cinque minuti?

«Matteo, vai un attimo in camera tua. Devo parlare con la zia Lucia,» disse alla fine, cercando di essere fermo ma non troppo duro.

«Ma papà…»

«Adesso, Matteo.»

Il bambino guardò Lucia, che gli fece un piccolo sorriso incoraggiante e un cenno come a dire che andava tutto bene.
Matteo si allontanò zoppicando sulle stampelle, ma prima di salire le scale gridò:

«La zia Lucia è la persona migliore del mondo!»

Quando il bambino sparì al piano di sopra, rimasero solo Alessandro e Lucia in salotto.
Lui si avvicinò, notando per la prima volta che sui pantaloni di lei c’erano macchie di acqua sulle ginocchia e che le mani erano arrossate per lo strofinare del pavimento.

«Da quanto va avanti questa storia?» chiese. «Gli esercizi, intendo. Da quanto tempo li fai con Matteo?»

Lucia esitò un attimo prima di rispondere.
«Da quando ho iniziato a lavorare qui, signore. Più o meno sei mesi. Ma giuro che non ho mai smesso di fare il mio lavoro. Gli esercizi li facciamo nella pausa pranzo o quando ho finito tutto.»

«Non sei pagata per questo,» osservò Alessandro.

«No, signore, e non chiedo niente. Mi piace stare con Matteo. È un bambino speciale.»

«Speciale come?»

Lucia lo guardò, sorpresa dalla domanda.
«Come, scusi?»

«Hai detto che è speciale. In che senso?»

Per la prima volta, da quando lui era entrato, Lucia sorrise.
«È determinato, signore. Anche quando gli esercizi fanno male e sta per piangere, non molla. E ha un cuore enorme. Si preoccupa sempre se io sono stanca o triste. È un bambino molto affettuoso.»

Di nuovo quella pressione al petto.
Quando era stata l’ultima volta in cui Alessandro si era fermato a notare queste cose in suo figlio?

«E gli esercizi?» continuò. «Come fai a sapere cosa deve fare? Non sei fisioterapista.»

Lucia abbassò di nuovo la testa.
«Ho esperienza, signore.»

«Che tipo di esperienza?»

Ci fu una lunga pausa. Sembrava stesse lottando con se stessa.
«Mio fratello minore, Carlo, è nato con problemi alle gambe. Ho passato tutta l’infanzia a portarlo in fisioterapia, a imparare gli esercizi, ad aiutarlo a camminare. Quando ho visto Matteo… non riuscivo a stare ferma a guardarlo triste.»

«Triste?»

«Con tutto il rispetto, signore… Matteo è molto solo. La signora Giulia è sempre impegnata con le sue amiche, e lei lavora moltissimo. Ho pensato che forse… forse potevo fare qualcosa.»

Lucia si fermò, poi aggiunse piano:
«Se non vuole, smetto subito. Volevo solo…»

«Che cosa volevi, Lucia?»

Lei alzò di nuovo lo sguardo. Questa volta negli occhi non c’era solo paura, ma anche determinazione.

«Volevo vederlo sorridere di più, signore. Un bambino dovrebbe sorridere ogni giorno.»

Alessandro tacque.
Provò a ricordare l’ultima volta in cui Matteo aveva sorriso a lungo davanti a lui.
Non gli veniva in mente nulla.

«Dov’è Giulia?» chiese all’improvviso.

«La signora è uscita a cena con le amiche. Ha detto che sarebbe tornata tardi.»

«E tu sei rimasta qui con Matteo?»

«Sì, signore. Ha cenato, ha fatto il bagnetto, abbiamo fatto gli esercizi e poi stavo finendo di pulire perché ha rovesciato il succo in salotto. Lui ha voluto aiutarmi a pulire.»

Alessandro guardò meglio la stanza.
Tutto era perfettamente in ordine. Il pavimento brillava, i mobili erano lucidissimi, non c’era nemmeno un granello di polvere. Persino le piante sembravano più vive.

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