Lucia era già lì, che preparava la colazione.
«Buongiorno, Lucia,» disse lui, facendola sobbalzare.
«Buongiorno, signor Alessandro. È… è già in piedi?»
«Già. Dov’è Matteo?»
«Sta ancora dormendo, signore. Di solito si sveglia verso le sette e mezza.»
«E a che ora fate gli esercizi?»
«Alle otto, signore. Dopo la colazione.»
Alessandro guardò l’orologio. Le sette e un quarto.
«Posso aiutarti in qualcosa?» chiese, quasi stupendo se stesso.
Lucia lo guardò, perplessa.
«In che senso, signore?»
«La colazione. Posso aiutare a prepararla?»
«Certo, se vuole… Matteo il lunedì chiede sempre le sue frittelle preferite,» disse lei, un po’ imbarazzata.
«Frittelle?» Alessandro sorrise. «Non lo sapevo.»
«Dice che gli servono energia extra per iniziare la settimana con gli esercizi,» spiegò Lucia.
Mentre la ragazza preparava la pastella, Alessandro osservò con attenzione.
Ogni gesto era pieno di cura. Non stava solo preparando del cibo: stava preparando qualcosa di speciale per suo figlio.
«Lucia, perché ti importa così tanto di Matteo?» chiese all’improvviso.
Lucia si fermò un istante a pensare.
«Quando ero piccola, vedevo mio fratello Carlo essere escluso dagli altri bambini per le sue difficoltà. Ho visto la tristezza nei suoi occhi quando voleva giocare ma non riusciva a stare al passo. Quando guardo Matteo, rivedo quello sguardo.»
«E che cosa hai fatto per tuo fratello?»
«Sono stata la sua migliore amica. Inventavo giochi che poteva fare anche lui. Lo incoraggiavo a provare cose nuove. Festeggiavo ogni piccolo progresso come se fosse la conquista più grande del mondo.»
«E ha funzionato?»
Lucia sorrise, con un orgoglio quieto.
«Ha funzionato. Oggi Carlo è al secondo anno di superiore. Lavora, aiuta la famiglia ed è una delle persone più determinate che conosca. Ha ancora dei limiti, certo, ma non lascia che lo fermino.»
«E vuoi lo stesso per Matteo?»
«Voglio che sia felice, signore. Voglio che creda di poter realizzare quello che sogna. Con le possibilità che ha, con tutto l’amore e il sostegno che potrebbe ricevere, potrà andare molto più lontano di quanto mio fratello abbia mai osato immaginare.»
Di nuovo quella miscela di ammirazione e vergogna punse Alessandro.
Aveva dato a suo figlio ogni comfort materiale, ma non il tempo, né la presenza.
In quel momento Matteo apparve in cucina, in pigiama, con le stampelle.
«Papà!» gridò sorpreso. «Non sei andato al lavoro?»
«Buongiorno, campione. Oggi resto qui per vedere i tuoi esercizi, ti ricordi?»
Matteo sorrise da un orecchio all’altro.
«Davvero? Così vedi quanto sono forte!»
«Certo che lo voglio vedere. Ma prima, colazione. Lucia ti ha preparato le frittelle speciali del lunedì.»
Durante la colazione, Alessandro osservò l’intimità tra Matteo e Lucia.
Parlavano come vecchi amici, ridevano di scherzi che lui non capiva, facevano piani per gli esercizi del giorno. Matteo era raggiante, parlava senza fermarsi.
«Papà, lo sapevi che riesco già a salire tre gradini senza stampelle?»
«Tre gradini? È incredibile!»
«E so fare gli stretching come i grandi.»
«Quali stretching?»
«Me li ha insegnati la zia Lucia. Dice che è importante preparare i muscoli prima di fare esercizi.»
Alessandro guardò Lucia, stupito.
Sapeva quello che stava facendo, non era solo “gioco”.
Alle otto in punto uscirono in giardino.
Anche Giulia era scesa e li osservava da una finestra della cucina.
Alessandro si accorse che la moglie li guardava, curiosa e un po’ diffidente: forse non credeva davvero che lui sarebbe rimasto.
«Allora, Matteo,» disse Lucia, stendendo un tappetino sull’erba. «Cominciamo con gli stretching.»
«Sì! Papà, siediti qui vicino a me a guardare.»
Alessandro si sedette sull’erba.
Non ricordava l’ultima volta che si era seduto in giardino senza il telefono in mano.
Matteo si sdraiò sul tappetino e iniziò a fare movimenti di stretching, precisi e seri, che stupirono il padre.
«Molto bene, Matteo. Adesso lavoriamo sull’equilibrio,» disse Lucia.
Lo aiutò ad alzarsi e posò le stampelle accanto a lui.
«Ti ricordi quello che abbiamo fatto l’altro giorno? Proviamo a stare in piedi senza stampelle per trenta secondi. Se ci riesci, domani puntiamo a quarantacinque.»
«Posso provare direttamente un minuto intero?» chiese Matteo.
«Andiamo per gradi. Trenta secondi sono già tantissimi.»
Matteo lasciò andare le stampelle e rimase in piedi da solo.
Alessandro trattenne il fiato.
Il bambino tremava un po’, lo sforzo era evidente, ma restava in posizione.
«Quindici secondi,» contò Lucia. «Perfetto.»
«Papà, mi stai guardando?» chiese Matteo, senza distogliere gli occhi da un punto fisso davanti a sé.
«Ti sto guardando, tesoro. Sei incredibile.»
«Venticinque… ventisei… ventisette… ventott… trenta!» concluse Lucia.
Matteo esultò, e proprio in quell’istante perse l’equilibrio.
Lucia lo afferrò al volo, evitando la caduta.
«Ce l’ho fatta! Sono arrivato a trenta secondi!» gridò il bambino, tutto rosso ma felice.
Ad Alessandro vennero gli occhi lucidi.
Si alzò e abbracciò il figlio.
«Matteo, è stato fantastico. Sono fiero di te.»
«Ora capisci perché mi piacciono così tanto gli esercizi con la zia Lucia?»
«Lo capisco benissimo.»
Proseguirono ancora per mezz’ora.
Camminate con le stampelle, esercizi per rinforzare le gambe, piccoli giochi di equilibrio.
Lucia era paziente, precisa, incoraggiante.
Alessandro non riusciva a staccarle gli occhi di dosso: ogni gesto, ogni parola erano pensati per dare coraggio al bambino.
Quando terminarono, Matteo era stanco ma felice.
«Domani possiamo provare quarantacinque secondi senza stampelle?» chiese ansimando.
«Certo, ma adesso andiamo a fare il bagnetto e poi le lezioni online,» rispose Lucia.
«Papà, domani sarai qui anche tu?» insistette Matteo.
Alessandro guardò prima lui, poi Lucia.
«Sì, ci sarò. Anzi, stavo pensando… e se rimanessi qui tutte le mattine per vedere i tuoi esercizi?»
Matteo lo abbracciò così forte che quasi lo fece cadere.
«Davvero? Tutti i giorni?»
«Tutti i giorni.»
Se questa storia, mentre la leggi, ti fa pensare a qualcuno che ami, conservala nel cuore e continua a seguirla.
Perché la parte più importante deve ancora arrivare.
Quell pomeriggio, dopo le lezioni di Matteo, Alessandro chiamò Lucia nel suo studio.
«Lucia, vorrei farti una proposta,» esordì, seduto alla scrivania.
Lei rimase in piedi, con le mani intrecciate.
«Che tipo di proposta, signore?»
«Vorrei che diventassi la compagna terapeutica ufficiale di Matteo.»
Gli occhi di Lucia si spalancarono.
«Signore, io… non ho un diploma.»
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