Matteo, che ora aveva sei anni, correva tra una stanza e l’altra.
«Zia Lucia, ce l’hai fatta!» gridò abbracciandola. «Adesso aiuterai un sacco di bambini come me.»
«Noi ce l’abbiamo fatta,» lo corresse lei. «Tu sei la mia prova vivente che i miracoli succedono un passo alla volta.»
Quel giorno la struttura era piena.
C’erano genitori, medici, insegnanti. Alessandro tenne un discorso breve.
«Questo centro è nato da una storia semplice,» disse. «La storia di un bambino che aveva paura di cadere, di un padre assente che aveva paura di fermarsi, e di una giovane donna che ha creduto in loro prima di loro stessi. Senza Lucia, senza Matteo, senza Giulia, oggi non saremmo qui.»
Qualche mese dopo l’inaugurazione, Alessandro ricevette una telefonata inaspettata.
Era di nuovo Enrico Guidi.
«Rinaldi, devo parlarti,» disse con tono meno sicuro del solito.
«Dimmi.»
«Mio nipote viene da qualche mese al tuo centro. Mia nuora ha insistito. Volevo dirti che… è successo qualcosa. Il bambino sta facendo progressi che non avevamo mai visto.»
Alessandro sorrise.
«Ne sono felice. Lucia e la sua squadra sanno quello che fanno.»
«È qualcosa di più. Il bambino torna a casa sorridendo. Non ho visto quel sorriso da quando ha avuto l’incidente. E volevo… volevo scusarmi.»
«Scusarti di che cosa?» chiese Alessandro, sorpreso.
«Per quando ho cercato di portarti via Lucia. Allora vedevo solo una brava dipendente. Non avevo capito che lei era nel posto giusto e con le persone giuste. Se avessi insistito e tu avessi accettato, forse lei non sarebbe diventata quello che è oggi. E mio nipote non starebbe meglio come adesso.»
«La vita è strana,» rispose Alessandro. «A volte la scelta più difficile è quella che salva tutti.»
Dopo aver chiuso la telefonata, si affacciò alla finestra del suo ufficio.
Dal cortile del centro vedeva i bambini che ridevano, inciampavano, si rialzavano, guidati da Lucia e dalla sua squadra.
Quel pomeriggio, quando Matteo tornò da scuola, lo trovò nel giardino di casa, proprio dove anni prima aveva mosso i primi passi senza stampelle.
«Papà, oggi sei tornato presto?» chiese, gettando lo zaino sulla panchina.
«Sì. Volevo parlare un po’ con te,» rispose Alessandro, indicando lo spazio di prato davanti alla villa.
«Di cosa?»
«Ti ricordi il giorno in cui ti ho visto per la prima volta fare gli esercizi con Lucia in salotto?» chiese Alessandro.
Matteo, che ora era più alto e più sicuro, sorrise.
«Quello dello straccio sul pavimento? Certo che me lo ricordo. Tu eri stranissimo, stavi sulla porta e non dicevi niente.»
«Sapessi cosa avevo dentro quel giorno,» sospirò Alessandro. «Ti vedevo con le stampelle, con quel viso concentrato e testardo, e nello stesso tempo ti vedevo come se fosse la prima volta. Mi sono reso conto, in un secondo, di quanto poco ti conoscevo.»
«Per me è stato il giorno in cui ho capito che forse cominciavi a vedermi davvero,» disse Matteo piano. «Non come un problema da risolvere, ma come un bambino.»
«Hai ragione,» ammise Alessandro. «E da quel giorno la nostra vita è cambiata.»
Rimasero un momento in silenzio, guardando il prato che ricordava tante cadute e altrettante ripartenze.
«Papà,» chiese a un certo punto Matteo. «Secondo te tutte le famiglie hanno una Lucia?»
«Che cosa intendi?»
«Una persona che arriva quando nessuno se l’aspetta e cambia tutto. Che ti aiuta a diventare migliore.»
Alessandro ci pensò un momento.
«Non credo che tutte le famiglie abbiano la fortuna di incontrare una Lucia. Ma credo che ogni famiglia possa diventare una Lucia per qualcun altro.»
«Cioè?»
«Possiamo essere noi quella persona che crede in qualcuno quando nessuno ci crede. Possiamo essere noi quelli che dicono: io vedo quanto vali, anche se tu ancora non lo vedi.»
Matteo annuì piano.
«È quello che facciamo al centro, vero?»
«Esatto. È quello che fate tu, Lucia, tutti voi. Aiutate altre famiglie a scoprire quello che noi abbiamo scoperto in questo giardino.»
In quel momento il cancello si aprì.
Lucia rientrava dal centro, stanca ma con quello sguardo sereno che aveva quando una giornata era andata bene.
«Zia Lucia!» gridò Matteo correndole incontro. «Com’è andata oggi?»
«Benissimo, mio guerriero,» rispose lei, poggiando la borsa. «Una bambina ha fatto i suoi primi quattro passi da sola. Indovina a chi ha detto di voler assomigliare?»
«A te,» disse Matteo ridendo.
«No,» rispose lei. «A un certo Matteo che non ha mollato mai.»
Matteo si fece rosso.
«Vedi?» disse Alessandro. «Adesso sei tu l’esempio per gli altri.»
Più tardi, seduti tutti e tre sul prato, arrivò anche Giulia con tre tazze di tè.
«Sapete che cosa penso, guardandovi?» disse la donna, osservando il figlio e Lucia che ridevano insieme, come sempre.
«Che cosa?» chiese Matteo.
«Che se anni fa non fossi tornato a casa in anticipo, Alessandro, forse non avremmo mai scoperto chi era davvero Lucia. E tu, Matteo, non saresti diventato il ragazzo che sei oggi,» disse Giulia.
«E io non avrei scoperto qual è il mio posto nel mondo,» aggiunse Lucia, guardandoli.
«Qual è il tuo posto, secondo te?» le chiese Alessandro.
«Qui,» rispose lei senza esitare. «Con voi. E al centro. Ad aiutare i bambini e le famiglie a trovare la propria forza.»
Matteo li guardò uno per uno, poi sorrise.
«Sapete qual è la cosa migliore?» chiese.
«Quale?» domandarono in coro.
«Che la nostra storia non è finita. È solo l’inizio. Perché tu, papà, hai imparato a fermarti. La mamma ha imparato a chiedere aiuto. La zia Lucia ha trovato il suo sogno. E io… io ho capito che non sono “quello con le stampelle”, ma uno che può aiutare gli altri a camminare.»
Alessandro sentì gli occhi inumidirsi.
«Hai più saggezza tu adesso di quanta ne avessi io a quarant’anni,» disse ridendo.
Lucia posò una mano sulla spalla di Matteo.
«Quando sono arrivata qui volevo solo dare una mano alla mia famiglia,» disse. «Non avrei mai immaginato di trovare una seconda famiglia e di aprire un centro dove ogni giorno vedo piccoli miracoli.»
«E io pensavo di assumere solo una colf,» aggiunse Alessandro. «Invece ho assunto un angelo in jeans e grembiule.»
Matteo rise.
«Gli angeli non hanno bisogno delle ali se hanno un cuore così,» disse indicandola.
Il sole stava tramontando sul giardino della villa ai Parioli.
Quattro persone, che un tempo erano solo un datore di lavoro, una dipendente, una moglie stanca e un bambino spaventato, si ritrovavano sedute sull’erba come una famiglia vera.
Alessandro guardò suo figlio, sua moglie, Lucia, e pensò che a volte le lezioni più importanti arrivano in una forma banale: uno straccio bagnato sul pavimento, un paio di piccole stampelle colorate, una giovane donna che si inginocchia e dice a un bambino «tu puoi farcela».
E capì che quel giorno, in cui era tornato a casa prima del solito e non aveva creduto ai suoi occhi, non era stato un semplice imprevisto di agenda.
Era stato l’inizio della loro vera vita.






