Il Mio Tradimento Perfetto: Un Giorno Rubato per Tornare Figlia, Non Fuggire

Oggi ho tradito mio marito. Non con un altro uomo, ma con l’unica donna che mi conosce da prima che io avessi un nome.

La notifica delle Risorse Umane ha illuminato il mio telefono ieri sera alle 19:00. Oggetto: Approvazione Permesso Retribuito.

Un giorno intero. Libero. Pagato. In quel momento, ho guardato Dario, mio marito. Era crollato sul divano, con una macchia di sugo sulla camicia, mentre cercava di convincere i nostri due figli a smettere di usare il soggiorno come un campo di battaglia. Ho sentito un brivido corrermi lungo la schiena, un mix proibito di desiderio di fuga e senso di colpa cattolico.

Ho cancellato la notifica. Non ho detto nulla.

Questa mattina, l’aria era frizzante, tipica di un autunno italiano. Alle 7:15 ero già pronta, vestita di tutto punto come se dovessi andare in ufficio.

— Vai già via, amore? — ha sussurrato Dario, con la voce impastata dal sonno, aprendo appena un occhio.

— Sì, ho quella riunione importante con i clienti di Milano, — ho mentito. La bugia è scivolata via facile come un espresso al bancone. — Non aspettarmi per cena, farò tardi.

Gli ho dato un bacio veloce sulla fronte e sono uscita di casa come una ladra, controllando nello specchietto retrovisore che nessuno mi seguisse. Ma invece di dirigermi verso la tangenziale e il traffico infernale, ho svoltato verso il vecchio quartiere, quello con i palazzi color ocra e i gerani ai balconi.

Mi sono fermata al forno storico, quello dove andavo da bambina. Ho comprato un vassoio di paste alla crema e al cioccolato, e ho guidato verso la mia destinazione segreta: la casa di Mamma.

Quando Mamma ha aperto la porta, indossava ancora la sua vestaglia a fiori. — Livia? Dio mio, è successo qualcosa ai bambini? A Dario? — No, Mamma, — ho sussurrato, entrando in quel corridoio che profumava di cera per pavimenti e ricordi. — Ho marinato il lavoro. Nessuno sa che sono qui.

Un sorriso complice le ha illuminato il viso, cancellando per un attimo le rughe. — Ah, sei tremenda, — ha riso, chiudendo la porta a doppia mandata, come per sigillare il nostro segreto.

Abbiamo passato la mattinata nel “dolce far niente”. Niente spa di lusso, niente shopping in centro. Solo noi due, nella sua cucina piccola ma accogliente. Mamma ha preparato il caffè con la moka — quel gorgoglio familiare che per me significa “casa” più di ogni altra cosa.

Abbiamo mangiato le paste senza preoccuparci della dieta. Abbiamo parlato di tutto: della vicina che spia tutti dalla finestra, del prezzo dell’olio d’oliva, dei miei ricordi delle scuole elementari.

— È meglio di qualsiasi vacanza, — ho sospirato, affondando nel vecchio divano del salotto. Ed è lì che l’ho notato. Il modo in cui le tremavano leggermente le mani mentre posava la tazzina. Il silenzio della casa. Un silenzio denso. A casa mia, il silenzio è un lusso che non esiste. È sempre rotto da urla, cartoni animati ad alto volume, chiamate di lavoro. Qui, il silenzio era l’unico coinquilino di mia madre.

— Non ti senti in colpa? — mi ha chiesto dolcemente.

— Neanche un po’. Avevo bisogno di questo. Avevo bisogno… di essere di nuovo tua figlia, solo per qualche ora. Lei mi ha accarezzato la mano. — E io avevo bisogno di sentirmi ancora madre, non solo una nonna che si visita la domenica per il pranzo di famiglia.

Alle 14:00, il mio telefono ha vibrato. Dario. Il cuore mi si è fermato. Mamma si è portata l’indice alla bocca, con gli occhi che brillavano di malizia.

— Pronto, tesoro? — ho risposto con la mia voce più professionale.

— Ciao, volevo solo sapere se tornavi presto. I bambini chiedono la pasta al forno.

— La riunione è un fiume in piena, — ho mentito spudoratamente.

— È un delirio qui. Faccio il prima possibile. Ti amo.

Quando ho riagganciato, siamo scoppiate a ridere. Una risata liberatoria, che ha sciolto la tensione nelle mie spalle meglio di un massaggio. Era una piccola bugia, sì. Ma era una bugia necessaria per sopravvivere.

Sono andata via verso le 16:30, per rientrare nel flusso del traffico del rientro. Quando ho varcato la soglia di casa, il caos abituale mi ha accolto.

Ma invece di urlare perché c’erano le scarpe in mezzo al corridoio, ho sorriso. Ho abbracciato Dario forte, l’ho baciato con passione, e poi mi sono messa a giocare con le costruzioni insieme ai bambini per un’ora, con una pazienza infinita.

Avevo ricaricato le batterie. Avevo bevuto alla fonte.

Quella sera, mentre tutti dormivano, il mio telefono si è illuminato. Un messaggio di Mamma: «Grazie per questo crimine perfetto, tesoro mio. La casa risuona ancora delle tue risate. Martedì prossimo, stessa ora?»

Ho guardato Dario dormire placidamente. Non sono una cattiva moglie. Sono solo una donna che ha capito che per prendersi cura degli altri, ogni tanto bisogna tornare a casa.

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