Il Mio Tradimento Perfetto: Un Giorno Rubato per Tornare Figlia, Non Fuggire

Eppure mi è venuta addosso un’immagine: Dario sul divano con la macchia di sugo, i bambini che urlano, lui che regge il mondo mentre io mi prendo una fuga. E la voce di mamma: “manutenzione”.

Ho chiuso gli occhi.

— Sono da mamma.

Silenzio. Un silenzio diverso, dall’altra parte della linea. Non quello della casa di mamma, ma quello di un uomo che sta ricalcolando tutto.

— Da tua madre? — ha ripetuto lui, come se assaggiasse le parole.

— Sì. — Ho inspirato. — Ho preso un permesso. Non te l’ho detto. Ho mentito. — Ho sentito la vergogna salirmi fino alle orecchie. — Non c’è un altro. C’è solo… lei. E io.

Mamma si è portata una mano alla bocca, come se avesse sentito un colpo. Io l’ho stretta con l’altra mano, forte, come a dirle “non sei un errore”.

Dario ha parlato dopo qualche secondo.

— Perché non me l’hai detto?

Quella domanda non era gelosia. Era ferita. Ed era, forse, anche stanchezza.

— Perché avevo paura che mi dicessi di no, — ho confessato. — O che mi facessi sentire egoista. O che… non capissi.

Dario ha riso, ma senza allegria.

— Livia, io capisco più cose di quante tu creda. — Ha fatto una pausa. — Quello che non capisco è perché devo scoprirlo come si scopre un tradimento.

Quel colpo di parola mi ha fatto male, perché era vero. Avevo chiamato “crimine perfetto” una cosa tenera, e nel farlo l’avevo resa sporca.

— Hai ragione. — La mia voce si è rotta. — Scusami.

Dall’altra parte, ho sentito un rumore: come se avesse preso le chiavi.

— Dove sei esattamente? — ha chiesto.

Mi si è gelato il sangue.

— Dario…

— Non vengo per controllarti. — Ha parlato più deciso. — Vengo perché… mi sento escluso. E perché se tu stai crollando e io non lo vedo, allora sono io il problema.

Ho guardato mamma. Lei aveva gli occhi lucidi e le guance un po’ più rosa, come una bambina sorpresa a rubare le caramelle.

— Siamo qui, — ho detto piano. — Nel vecchio quartiere. Da lei.

— Arrivo. — E ha chiuso.

Per dieci minuti ho camminato avanti e indietro nel corridoio che profumava di cera e ricordi. Mamma è rimasta seduta sul divano, immobile, come se si stesse preparando a un giudizio.

— Mamma, — ho detto, inginocchiandomi davanti a lei. — Non è colpa tua.

Lei ha scosso la testa.

— Io non volevo portarti via. — La voce le tremava. — Io volevo solo… sentire la casa viva.

Mi si è spezzato qualcosa.

— La casa è viva perché ci sei tu. — Ho appoggiato la fronte alla sua mano. — E io sono stata una stupida a trasformarlo in un segreto.

Quando il campanello ha suonato, mi è venuto un sobbalzo. Mamma si è alzata lentamente, con un gesto quasi solenne, e ha aperto. Sul pianerottolo c’era Dario, con i bambini dietro, spettinati e curiosi, e una teglia in mano coperta da un canovaccio.

— Abbiamo fatto la pasta al forno, — ha detto lui, e l’ha alzata come una bandiera bianca. — Poi ho pensato: se dovevi essere da qualche parte, almeno mangiamo insieme.

I bambini sono entrati come un’ondata.

— Nonna! — hanno urlato, e il silenzio della casa si è rotto in mille pezzi, non violentemente, ma come si rompe un incantesimo.

Mamma ha portato le mani al viso, e ho visto le sue dita tremare, sì, ma anche sorridere.

— Venite qui, banditi, — ha detto con quella voce che non usava da tempo.

Dario mi ha guardata in cucina, mentre io cercavo di respirare.

— Sei arrabbiato? — ho chiesto.

Lui ha appoggiato la teglia sul tavolo e si è passato una mano tra i capelli.

— Sono stanco, Livia. — Ha sorriso appena. — E sono arrabbiato perché ti amo e non voglio che tu debba scappare di nascosto per sentirti bene.

Io ho abbassato lo sguardo.

— Non volevo ferirti.

— Lo so. — Ha fatto un passo verso di me. — Ma mi hai fatto paura. Quando mi hanno detto che non eri in ufficio, ho immaginato tutto. Tutto. — Ha deglutito. — E poi ho pensato: “magari è qualcosa di molto più semplice e molto più triste”. E avevo ragione.

Mi sono morsa il labbro, e mi è scesa una lacrima senza chiedere permesso.

— Non sono una cattiva moglie.

Dario mi ha preso il viso tra le mani.

— Sei una donna che si è dimenticata che anche lei ha diritto a respirare. — Poi ha guardato verso il salotto, dove mamma rideva mentre uno dei bambini le metteva una costruzione in testa come una corona. — E lei… ha diritto a sentire rumore.

Abbiamo mangiato tutti insieme, stretti nella cucina piccola, con i gomiti che si toccavano e i bicchieri che rischiavano di rovesciarsi. La pasta al forno di Dario era un po’ bruciacchiata sopra, ma era perfetta lo stesso. Mamma continuava a dire “mangiate, mangiate” come se il cibo potesse tenere insieme le persone con la colla.

A un certo punto, Dario ha guardato me e mamma.

— Allora. Questo “crimine”… — ha detto, e ho visto un lampo di ironia tornargli negli occhi. — Possiamo farlo in modo legale?

Mamma ha alzato un sopracciglio, finta severa.

— Cosa intendi?

— Intendo che se Livia ha bisogno di venire qui ogni tanto, viene. — Dario ha indicato i bambini. — E magari qualche volta veniamo anche noi. E magari qualche volta io mi prendo un giorno e mi faccio un giro da solo, senza sentirmi un criminale. — Mi ha guardata. — Però, Livia, basta segreti.

Ho annuito. Mi sentivo svuotata e, allo stesso tempo, più leggera.

— Basta segreti.

Mamma ha sospirato, e il suo viso si è disteso in un’espressione che non vedevo da anni: la pace di chi non deve elemosinare presenza.

— Martedì prossimo, — ha detto, guardando Dario, — faccio i ravioli. Così almeno capiamo se le riunioni di Milano valgono la pena.

Dario ha riso, finalmente una risata vera.

— Affare fatto.

Quando siamo usciti, più tardi, il sole era basso e l’aria sapeva di foglie e di sera. In macchina, i bambini si sono addormentati quasi subito, sazi e stanchi. Dario guidava con una mano sul volante e l’altra sulla mia, e io guardavo le luci della città accendersi una a una, come se qualcuno stesse riaccendendo anche me.

A casa, il caos era sempre lo stesso: scarpe in mezzo al corridoio, zaini per terra, una tazza dimenticata sul tavolo. Ma c’era una differenza: adesso quel disordine non mi sembrava un nemico. Mi sembrava vita.

Quella notte, prima di addormentarmi, ho ricevuto un messaggio di mamma. «Il crimine di oggi è stato bellissimo. La casa ha cantato. E grazie… per non avermi lasciata essere solo una domenica.»

Ho guardato Dario nel buio e ho pensato che, forse, tradire non è sempre scappare. A volte è tornare indietro di un passo per non perdersi davanti.

Ho chiuso gli occhi e mi sono detta la verità più semplice, quella che non fa rumore: non devo scegliere tra essere moglie, madre e figlia. Devo solo smettere di fare tutto da sola, e smettere di chiedere permesso per respirare.

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