Il mistero del cestino vuoto: ritrovare l’umanità perduta tra le corsie silenziose del turno di notte.

Dario mi mise una mano sulla spalla. Quella mano era forte, calda, sicura. Era la mano di un uomo che aveva ricostruito se stesso mattone dopo mattone.

«Non preoccuparti, nonno,» disse. E quel “nonno”, detto da lui, valeva più di mille stipendi. «Ho un piano. Tu torna in corsia. Fatti vedere dalle telecamere mentre lavori. Pulisci, sposta scatole, sii il dipendente modello. A Elena penso io.»

«Cosa farai?»

«Faccio il mio lavoro,» mi fece l’occhiolino. «Riparazioni urgenti.»

Tornai in reparto. Per due ore lavorai come un mulo, sotto l’occhio rosso delle telecamere. Il cuore mi batteva all’impazzata. Ogni volta che sentivo un rumore dal magazzino, temevo il peggio.

Alle 6:30, mezz’ora prima della fine del turno, arrivò il Dottor Bianchi. Era in anticipo. Entrò con l’aria di chi cerca sangue.

«Ho ricevuto una segnalazione notturna,» disse senza nemmeno salutarmi. «Intrusione nel reparto detersivi. Dov’è la persona? Hai chiamato il 112 come da procedura?»

Deglutii. «Dottore, io…»

«Direttore!» Una voce squillante ci interruppe.

Dal retro spuntò Dario. Indossava la sua tuta da lavoro e teneva in mano una cassetta degli attrezzi. Sembrava perfettamente a suo agio, come se fosse il proprietario dell’edificio.

Bianchi lo guardò confuso. «E lei chi è? Cosa ci fa nel mio magazzino?»

«Dario, della Termoidraulica D.R.,» disse lui porgendo un biglietto da visita con una professionalità impeccabile. «Siamo i manutentori esterni per l’impianto antincendio. Ho ricevuto un alert di pressione bassa alle tre di notte. Sono intervenuto subito per evitare che vi si allagasse il negozio.»

Mentiva con una naturalezza disarmante.

«Ah,» fece Bianchi, preso in contropiede. «Beh… grazie. Ma la segnalazione dell’intruso?»

«Ah, quello!» rise Dario. «Ero io. Sono passato dal reparto detersivi per controllare le tubature che passano nel controsoffitto. Mi scusi, non volevo far scattare l’allarme, ma era un’emergenza. Il suo dipendente qui,» mi indicò, «mi ha assistito e mi ha indicato i punti critici. Molto efficiente.»

Bianchi guardò me, poi Dario, poi di nuovo me. La parola “efficiente” fu magica. Si sgonfiò come un palloncino bucato.

«Bene. Molto bene. Assicuratevi di mandare la fattura in sede.»

«Certamente,» disse Dario. «Ah, un’ultima cosa. Uscendo ho incrociato una signora anziana confusa nel parcheggio. L’ho fatta salire sul mio furgone al caldo e ho chiamato suo figlio. Sta arrivando a prenderla fuori. Tutto risolto. Niente polizia, niente verbali, niente cattiva pubblicità per il supermercato. Giusto?»

Bianchi annuì, quasi annoiato. «Ottimo. Niente polizia nel parcheggio è meglio per l’immagine. Buon lavoro.» E si chiuse nel suo ufficio.

Quando la porta si chiuse, io e Dario ci guardammo. Lui espirò rumorosamente.

«Sei un attore nato,» sussurrai, tremando ancora un po’.

«Ho imparato dal migliore,» rispose lui. «Ho chiamato il figlio di Elena. È fuori che aspetta. Sta piangendo dalla gioia.»

Uscimmo insieme nel parcheggio. La pioggia era cessata e l’alba stava tingendo il cielo di un viola livido. Un’auto si fermò sgommando e un uomo corse verso il furgone di Dario, abbracciando la vecchia signora che mangiava ancora un pezzo di focaccia.

Guardai la scena. Poi guardai Dario.

«Hai rischiato grosso,» gli dissi. «Potevano denunciarti per violazione di domicilio.»

Dario si strinse nelle spalle, appoggiandosi al cofano del furgone. «Tu hai rischiato il lavoro per me due anni fa. E stanotte lo hai rischiato per lei. È questo che facciamo, no? Noi del turno di notte.»

Tirò fuori due caffè caldi da un thermos che aveva nel furgone e me ne porse uno.

«Sai,» disse guardando l’insegna del supermercato che si spegneva. «La mia ditta sta andando bene. Stiamo cercando un responsabile del magazzino. Qualcuno che sappia gestire l’inventario, che sia preciso, e che sappia… beh, guardare le persone, non solo le scatole.»

Mi voltai verso di lui. «Mi stai offrendo un lavoro, figliolo?»

«Ti sto offrendo una via d’uscita, nonno. Non devi più stare qui a combattere contro i mulini a vento e i direttori con il foglio Excel. Vieni a lavorare con me. Turno di giorno. Sabato e domenica liberi. E ti prometto che se troviamo qualcuno con un cestino vuoto, gli offriamo il pranzo.»

Guardai le mie mani rugose strette attorno al bicchiere di caffè. Poi guardai il supermercato. Per anni era stato la mia zattera di salvataggio. Ma le zattere servono per arrivare a terra, non per viverci sopra per sempre.

«Ho 74 anni, Dario. Sono lento.»

«Sei l’unica persona che ha visto me quando ero invisibile,» rispose lui. «Ho bisogno di quegli occhi nella mia azienda.»

Bevvi un sorso di caffè. Era caldo, dolce, perfetto.

«Devo dare due settimane di preavviso,» dissi. «Per correttezza.»

Dario sorrise, un sorriso largo che illuminò quel parcheggio grigio più del sole che stava sorgendo.

«Aspetterò,» disse.

Mentre tornavo dentro per timbrare l’uscita, incrociai la mia immagine nel vetro delle porte scorrevoli. Non vedevo più un vecchio stanco pronto per la panchina. Vedevo un uomo che aveva appena finito il suo turno più lungo… ed era pronto per iniziarne uno nuovo.

A volte, salvare qualcuno significa solo aspettare che quel qualcuno torni abbastanza forte da salvare te.

«Tutto bene, Antonio?» mi chiese la guardia giurata del turno di giorno, vedendomi sorridere mentre timbravo.

Guardai il cartellino. Antonio Rossi. Addetto Scaffali. Presto sarebbe stato solo un ricordo.

«Tutto bene,» risposi. «Anzi. Tutto benissimo.»

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