Il motociclista prese la banconota stropicciata da venti euro dalla mano scheletrica del bambino di dieci anni e cercò di non piangere.

«Davvero. Ma non per spaventarli. Non è quello che facciamo.»

Il viso di Tommaso si spense un po’.

«Faremo di meglio» continuai. «Ti onoreremo. Il vero te. Non il malato. Non la vittima. Il guerriero che ha combattuto per due anni. Che ha guidato una macchina che a malapena riusciva a controllare per chiedere aiuto a degli sconosciuti. Serve coraggio, per questo.»

«Non voglio onore. Li voglio lontani.»

«Fidati. Quello che stiamo pensando sarà meglio.»

Arrivò l’ambulanza. Mentre lo caricavano, Tommaso mi afferrò la mano.

«Promettete che verrete?»

«Promesso.»

«Anche se muoio prima di domenica?»

«Quando succederà, noi ci saremo.»

Quando l’ambulanza se ne andò, Tomas disse quello che pensavamo tutti.

«Non possiamo lasciarlo morire così rassegnato.»

«No» dissi. «Non possiamo.»

Passai i tre giorni successivi a fare ricerche. Trovai il profilo di Giulia Chen su un social. Madre single. Infermiera pediatrica, ironia della sorte. Centinaia di post sul percorso di Tommaso. I commenti raccontavano la storia.

All’inizio, messaggi dei compagni di classe. «Forza Tommi!» «Tommi è un guerriero!»

Poi, improvvisamente, silenzio. Proprio nel periodo in cui iniziarono ad apparire dei video su una piattaforma di video brevi. Tommaso che aveva una crisi in classe di matematica. Tommaso che vomitava in mensa. Tommaso che piangeva quando perse i capelli. Tutto pubblicato dagli account con nickname tipo @MartinaRegina e @KevinSkates.

I commenti sotto quei video mi fecero venire la nausea. Faccine che ridono. Battute su «morto che cammina». Meme creati sulla sua sofferenza.

Ma trovai anche qualcos’altro. Un piccolo canale di video online. Si chiamava “TommyCostruisce”. Quarantasette iscritti. Video in cui costruiva castelli di mattoncini colorati. Razzi in miniatura. Mondi in un videogioco di costruzione. Sempre attaccato alle flebo. Sempre in lotta contro il cancro.

L’ultimo video era di tre giorni prima. Prima che rubasse la macchina per venire da noi.

«Ciao a tutti, sono Tommi» diceva nel video. «Questo probabilmente è il mio ultimo video. Il tumore è ovunque ormai. Non riesco più a costruire bene quando le mani tremano. Ma volevo dirvi grazie. Alle quarantasette persone che hanno guardato. Che hanno messo un ‘mi piace’. Che hanno scritto un commento. Mi avete fatto sentire importante. Come se fossi qualcosa di più di ‘Ragazzo Cancro’. Quindi… sì. Grazie. Costruite qualcosa di bello per me, ok?»

Chiamai i fratelli. Avevamo lavoro da fare.

Per prima cosa andai in ospedale. Tommaso era sedato ma sveglio. Sua madre era accanto a lui, gli teneva la mano.

«Signora Chen? Sono Jax. Suo figlio ci ha… assunti.»

Mi guardò confusa finché non le spiegai tutto. Poi scoppiò a piangere.

«Ha guidato? Non arriva neanche ai pedali!»

«Ha usato un bastone per l’acceleratore. Il controllo di velocità per la marcia. È un genio, suo figlio.»

«Sta morendo.»

«Ma non è ancora morto. E noi vogliamo aiutarvi. Non con la vendetta. Con qualcosa di meglio.»

Le spiegai il nostro piano. Pianse ancora di più. Ma annuì.

«Il bullismo l’ha distrutto» sussurrò. «Forse più del cancro. Era un bambino felice. Creativo. Poi hanno iniziato loro e lui… ha smesso di crederci.»

«Non ha smesso. Sta ancora progettando. È diverso.»

Andai da Tommaso quando si svegliò.

«Sei venuto» disse.

«Te l’avevo promesso. Tommi, ho visto i tuoi video.»

Il suo viso arrossì. «Sono stupidi…»

«Sono meravigliosi. Sei brillante, ragazzo. Creativo. Divertente. Queste costruzioni sono incredibili.»

«Quarantasette iscritti non sono proprio la fama.»

«Vuoi scommettere?»

Tirai fuori il telefono. Gli mostrai un video che Marco aveva pubblicato sulla pagina del nostro gruppo di motociclisti. Un suo video in cui costruiva un razzo. Ma con il nostro commento sopra. Dodici uomini barbuti in giubbotto di pelle che guardavano un bambino costruire e ne restavano a bocca aperta.

Centomila visualizzazioni. Cinquantamila ‘mi piace’. Diecimila nuove iscrizioni al canale “TommyCostruisce”.

«Ma… come?»

«A quanto pare i motociclisti amano i bambini intelligenti. Chi l’avrebbe detto? E odiano i bulli.»

I commenti erano tutto. Motociclisti da tutta Italia, e anche dall’estero. Ex militari. Genitori. Ragazzi. Tutti che tifavano per Tommaso. Tutti che si iscrivevano. Tutti che chiedevano nuovi video.

«Ma io sto morendo» mormorò.

«E allora? Non sei morto adesso. E nemmeno il tuo canale.»

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