Il motociclista prese la banconota stropicciata da venti euro dalla mano scheletrica del bambino di dieci anni e cercò di non piangere.

Nelle settimane successive facemmo i turni. C’era sempre almeno uno di noi con lui. Lo aiutavamo a registrare video. Piccole costruzioni che riusciva ancora a fare a letto. Il numero degli iscritti esplose. Cinquecentomila. Poi un milione.

Martina, Kevin e Brick provarono a venire in ospedale. Dissero di essere amici. Portarono fiori. E un fotografo con il telefono pronto.

Marco li fermò alla porta del reparto.

«Tommaso sta riposando.»

«Siamo suoi amici…» protestò Martina.

«No. Non lo siete. E se venite al suo funerale, meglio che veniate con il rispetto vero. Niente telefoni. Niente foto. Niente lacrime di plastica. Oppure lo sapremo.»

Se ne andarono in fretta.

Tommaso non morì domenica. L’attenzione, lo scopo, gli diedero forza. Resistette un’altra settimana. Poi un’altra ancora. Costruì. Raccontò storie. Rispose ai commenti.

Ma il corpo ha dei limiti. Anche quello di un guerriero.

Tommaso Chen morì di martedì. Alle tre del pomeriggio. Sua madre gli stringeva una mano. Io l’altra. Le sue ultime parole furono:

«Dite loro di costruire qualcosa di bello per me.»

Il funerale fu di giovedì. Ci aspettavamo forse cinquanta persone. La famiglia. Alcune infermiere.

Ne arrivarono ottocento.

Motociclisti da sette regioni diverse. Ragazzi e genitori. Insegnanti. Medici. Tutti iscritti a “TommyCostruisce” che avevano guidato ore per onorarlo.

Martina, Kevin e Brick comparvero. Vestiti firmati. Telefoni in mano.

Vedendo la folla, provarono ad andarsene.

«Oh no» disse Marco. «Volevate venire al funerale di Tommaso. Adesso restate.»

Non facemmo rombare i motori. Non li spaventammo. Facemmo qualcosa di peggiore.

Dicemmo la verità.

Mi misi al leggio. Proiettai sullo schermo in fondo alla chiesa alcuni dei video che avevano pubblicato loro. La crisi in classe. Il vomito in mensa. Il pianto quando gli cadevano i capelli. I loro commenti che ridevano ben visibili.

«Questi tre ragazzi» dissi, indicando la panca dove sedevano rigidi, «hanno tormentato Tommaso per due anni. Lo hanno chiamato Ragazzo Cancro. Topo nudo. Morto che cammina. Hanno scommesso su quando sarebbe morto. Oggi sono venuti qui per avere foto da mettere sui social. Per avere compassione. Per avere attenzione.»

La chiesa intera si voltò verso di loro. Ottocento persone che li guardavano in silenzio.

«Ma Tommaso ha vinto» continuai. «Perché mentre loro creavano contenuti crudeli, lui costruiva razzi. Mentre loro giocavano sulla sua morte, lui ispirava migliaia di persone. Mentre loro erano piccoli, lui era grande.»

Misi sullo schermo la pagina del suo canale. Due milioni e passa di iscritti.

«Tommaso ha costruito finché le mani non gli tremavano troppo. Ha creato fino all’ultimo respiro. Ha spinto bambini di tutto il mondo a costruire, creare, immaginare. Questa è la sua eredità. Qual è la vostra, Martina? Kevin? Brick?»

Scapparono. Letteralmente. Uscirono dalla chiesa di corsa. Chiusero i loro account il giorno stesso, dopo che migliaia di persone li avevano richiamati nei commenti per quello che avevano fatto.

Sepellimmo Tommaso con onore. Corteo di moto davanti al carro funebre. Ottocento persone. La sua bara coperta da fiori fatti con i mattoncini. Razzi in miniatura lungo il bordo della fossa. Piccole figure di mostriciattoli del suo videogioco preferito a “fare la guardia”.

Sua madre parlò per ultima.

«Mio figlio ha ingaggiato dodici motociclisti per venire al suo funerale» disse, con la voce rotta. «Gli ha dato gli ultimi venti euro. Ha chiesto loro di spaventare i suoi bulli. Invece gli hanno regalato due settimane di vita in più. Due settimane di scopo. Due settimane in cui ha saputo di contare. Questo non è un affare. È un miracolo.»

Dopo il funerale le consegnammo qualcosa. La banconota da venti euro che Tommaso aveva cercato di darci. Incorniciata. Con una foto scattata quel giorno all’area di servizio. Lui, con la testa calva e lo sguardo di fuoco. Vivo.

Ma non era tutto.

La raccolta fondi online che avevamo aperto aveva superato il mezzo milione di euro. Per Giulia. Per altri bambini malati di tumore. Per progetti contro il bullismo. Tutto a nome di Tommaso.

I genitori di Martina mi chiamarono. Volevano chiedere scusa. Volevano che lo facesse anche lei.

«È in terapia adesso» dissero. «Non capiva…»

«Capiva. Non le importava. Finché non ci sono state conseguenze.»

«La prego. Deve chiedere scusa a qualcuno.»

«Tommaso è morto. Non c’è più nessuno a cui chiedere scusa.»

«Allora cosa può fare?»

«Costruire qualcosa. Creare qualcosa. Mettere un po’ di bene nel mondo invece di portarglielo via. È quello che direbbe lui.»

L’ultima volta che ho sentito parlare di lei, Martina faceva volontariato in un reparto pediatrico. Leggeva ai bambini malati. Li aiutava a costruire con i mattoncini. Non pubblicava foto. Non scriveva post. Lo faceva e basta.

La famiglia di Kevin si è trasferita. Brick è stato espulso per altri episodi di bullismo. La scuola ha approvato un nuovo regolamento, che tutti chiamano “Regola di Tommi”: tolleranza zero verso il bullismo contro i bambini malati.

Il canale di Tommaso è ancora attivo. Giulia pubblica i video di altri bambini che costruiscono. Che affrontano le cure. Che creano in mezzo al dolore. Cinque milioni di iscritti. Tutti ispirati da un bambino morente che ha guidato una macchina rubata fino a un’area di servizio per assumere dei motociclisti con i suoi ultimi venti euro.

Continuiamo ancora ad accompagnare cortei funebri. Troppi. Ma adesso andiamo anche negli ospedali. Andiamo a trovare i bambini malati. Li aiutiamo a costruire. A creare. A capire che contano.

Tutto perché Tommaso Chen, dieci anni, ventisette chili, malato di cancro, ha avuto il coraggio di chiedere aiuto.

Non ha avuto la vendetta che voleva.

Ha avuto qualcosa di meglio.

È stato ricordato per quello che era, non per quello che il tumore gli ha fatto.

Ha avuto giustizia attraverso la verità, non la paura.

Ha avuto dodici motociclisti che sono diventati centinaia, poi migliaia, tutti uniti da un messaggio semplice:

Costruisci qualcosa di bello.

È quello che facciamo adesso. Costruiamo. Creiamo. Ispiriamo. Proteggiamo i bambini che non possono proteggersi da soli. Ci mettiamo contro i bulli, non con la violenza ma con la verità.

Tutto perché un bambino morente ci ha dato venti euro e una missione.

I soldi non li abbiamo mai presi.

La missione non la lasceremo mai.

Tommaso Chen è morto a dieci anni.

Ma “TommyCostruisce”? Quello è immortale.

E Martina, Kevin e Brick? Hanno imparato ciò che ottocento motociclisti sapevano già:

Non ti metti contro un bambino che lotta per la vita.

E di certo non ti metti contro chi decide di proteggerlo.

Tommaso aveva ragione su una cosa. Sapeva esattamente che il tempo gli stava finendo. Si era solo sbagliato sulla data. Si è regalato due settimane in più.

Due settimane per costruire. Per creare. Per contare.

Non è poco.

È tutto.

Costruite qualcosa di bello per Tommi oggi.

È tutto quello che voleva.

È tutto quello che, in fondo, vogliamo tutti.

Contare.

Essere ricordati.

Lasciare dietro di noi qualcosa di buono.

Tommaso ce l’ha fatta.

A dieci anni.

Lottando contro il cancro.

Affrontando i bulli.

Alla fine, è stato lui a vincere.

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