Fu così che l’assistente sociale, alcune associazioni locali e gli stessi volontari che avevano accompagnato Stella quella notte si misero in moto.
Trovarono per la ragazza – che si chiamava Laura – una stanza in un piccolo appartamento condiviso con altre mamme sole.
Le procurarono un lavoro part-time in una mensa scolastica.
La aiutarono a iscriversi a un corso per diventare operatrice socio-sanitaria.
Bruno andava a trovarle quasi ogni giorno.
Portava pannolini, qualche giocattolo semplice, a volte solo un sacchetto di mandarini.
«Nonno Bruno» lo chiamava Laura, ridendo tra le lacrime, quando Stella cominciò a dire le prime parole.
Tre anni dopo, il mondo di Stella era cambiato.
Il suo petto portava una cicatrice sottile, come un sorriso rovesciato, che correva tra le piccole coste.
E lei ci andava fiera, come di una medaglia.
Correva nei corridoi delle visite di controllo, salutando infermieri e medici per nome.
Per tutti, era “la nostra Stella”.
Una volta all’anno, nel giorno dell’anniversario di quella corsa nella bufera, succedeva qualcosa di speciale.
Centinaia di motocicli, automobili, furgoni, bici con i seggiolini per bambini si radunavano davanti al San Luca.
Volontari di ogni età, ex pompieri, camionisti, infermieri, gente comune.
Era il “Giro di Stella”.
Una lunga colonna colorata attraversava le strade, portando peluche e piccoli doni ai reparti pediatrici di vari ospedali, raccogliendo fondi per il Fondo Stella.
In prima fila, su una moto con un grande sidecar, c’era Bruno.
Settantacinque anni, la barba ancora più bianca, le mani un po’ più rigide… ma lo sguardo vivo.
Nel sidecar, con un casco minuscolo e una tuta imbottita, c’era Stella.
«Pronta, comandante?» chiedeva Bruno, ogni volta.
«Pronta, nonno!» gridava lei, con un sorriso che faceva dimenticare cicatrici, tubi di ieri e paure di domani.
Laura camminava al loro fianco, con una pettorina della sua nuova professione.
Aveva finito il corso, lavorava in un reparto di geriatria e, la sera, tornava a casa stanca ma fiera.
«Sono state le infermiere che hanno salvato mia figlia a mostrarmi la strada,» diceva a chi le chiedeva perché avesse scelto proprio quel lavoro. «Adesso tocca a me passarla avanti.»
Bruno spesso, guardandole entrambe, scuoteva la testa come per scacciare un pensiero troppo grande.
«Sai cosa mi ha insegnato tutto questo?» chiese un giorno a Stella, mentre la teneva in braccio nel cortile dell’ospedale, in attesa dell’ennesimo controllo di routine.
«Che non bisogna avere paura dei dottori?» azzardò lei, seria.
«Anche,» rise lui. «Ma soprattutto che non è mai troppo tardi per rimediare a qualcosa che ti porti nel cuore.
Non ho potuto salvare mia figlia, tanti anni fa.
Ma tu mi hai dato la possibilità di non scappare più davanti alla paura.
Mi hai insegnato che, a volte, basta non voltarsi dall’altra parte.»
Lei appoggiò la testa sulla sua spalla.
«E tu mi hai dato un passaggio nella neve,» disse. «Se no, io qui non ci sarei.»
Oggi, il Fondo Stella ha aiutato decine di bambini con il cuore fragile a ottenere interventi e cure che le loro famiglie da sole non avrebbero potuto pagare.
Ogni volta che una nuova cartella clinica viene aperta grazie a quel fondo, qualcuno scrive in piccolo, in fondo alla pagina: “Grazie, Stella”.
Bruno continua a girare con la sua vecchia moto, quando il tempo lo permette.
Non corre più come una volta, rispetta i limiti, si ferma spesso per un caffè.
Ma ogni volta che indossa il giaccone imbottito, sorride tra sé e sé.
«Questo giubbotto ha portato il tesoro più grande della mia vita,» pensa. «Non male, per un vecchio pompiere.»
E quando, nelle sere d’inverno, alla televisione o sul giornale si parla di storie dure, di egoismi, di porte chiuse, qualcuno tira fuori ancora quella foto: un uomo anziano, una giacca arancione, la neve che gli copre le spalle, una neonata nascosta contro il suo cuore.
C’è chi dice che la speranza abbia l’aspetto di una preghiera, di una lettera, di una notizia buona.
Quella notte, sulla nostra autostrada, la speranza aveva l’aspetto di un vecchio pompiere in pensione, una moto che sfidava la tempesta, e una bambina minuscola protetta dentro un giubbotto stanco, tenuta al caldo contro un cuore che, nonostante tutto, non aveva smesso di battere insieme al suo.






