La domestica disperata, il testamento segreto e la clinica per donne: la notte che cambiò tutto

La domestica disperata, il testamento segreto e la clinica per donne: la notte che cambiò tutto

«Non voglio i suoi soldi,» disse infine Miriam, con la voce che le tremava. «Voglio solo la mia vita indietro.»

Lui annuì lentamente, come se si aspettasse proprio quella risposta. Poi disse qualcosa che le gelò il sangue.

«La tua vita ce l’hai già. E presto avrai anche la mia.»

Tre mesi dopo, Lorenzo Ferri morì.

Quando la notizia uscì al telegiornale, Miriam non pianse. Rimase seduta sul divano, lo sguardo fisso sullo schermo mentre il giornalista diceva: «L’imprenditore milanese Lorenzo Ferri, 57 anni, è deceduto nella sua abitazione. Secondo alcune indiscrezioni, nel testamento avrebbe inserito una ex dipendente, Miriam Conti, tra i beneficiari.»

Il telefono non smise più di squillare. Giornalisti, avvocati, perfino vecchi colleghi. Tutti volevano sapere chi fosse, cosa avesse fatto per meritarsi quella fortuna.

Miriam non rispose a nessuno. Raccolse le poche cose che possedeva e si trasferì con la madre in una piccola casa in affitto in un paese tranquillo vicino al mare, nel Sud Italia. Ma il mondo non dimentica in fretta.

Cominciarono a circolare voci. Voci cattive. Che lo avesse sedotto. Che lo avesse ricattato. Che aspettasse un figlio da lui.

Qualche settimana dopo arrivò una lettera. Sul retro c’era il timbro di uno studio legale: “Studio Rinaldi & Associati”. Le mani di Miriam tremavano mentre la apriva. Dentro c’era un foglio piegato in due, scritto a mano. La grafia era senza dubbio quella di Lorenzo.

Miriam,
se stai leggendo questa lettera, vuol dire che non ci sono più. Devo dirti che quello che ho fatto non è stato solo per senso di colpa, ma per scelta.

Tu pensi che quella notte ti abbia rovinata. Forse è vero. Ma ha salvato qualcosa in me che credevo morto da tempo. Mi hai ricordato cosa vuol dire preoccuparsi di qualcuno senza aspettarsi nulla in cambio.

Una volta mi hai raccontato che volevi studiare infermieristica, ma hai dovuto lasciare l’università. Il fondo che ti ho lasciato non è carità. È un’occasione. Usalo per ricostruirti, per guarire.
Forse non mi perdonerai mai, ma spero che un giorno tu possa capire.

— Lorenzo

Miriam stringse il foglio al petto e scoppiò a piangere. Per la prima volta da quella notte, pianse non per la vergogna, ma per il dolore — per un uomo che aveva provato a odiare, e per la ragazza che era stata prima di tutto questo.

Il fondo esisteva davvero. Era sufficiente per cambiarle la vita. Lo usò per tornare all’università, finire gli studi e diventare infermiera professionale. Anni dopo, aprì una piccola clinica nel suo paese d’origine, offrendo visite e cure gratuite alle donne in difficoltà — a quelle come la sua versione più giovane, intrappolate dalla paura e dalle circostanze.

Il giorno dell’inaugurazione, accanto alla porta fu apposta una targa di bronzo. C’era scritto semplicemente:

«Per chi ha dovuto fare scelte impossibili.»

Ogni mattina, quando Miriam apriva quella porta, sussurrava il suo nome a bassa voce —
non per amore,
né per rimpianto,
ma per memoria.

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