La notte in cui quarantatré vecchi soccorritori hanno fermato uno sfratto disumano e cambiato un intero quartiere

Avevamo appena finito la nostra raccolta annuale di giocattoli quando il telefono di Tommaso iniziò a vibrare nel taschino del suo giubbotto arancione. Era la nipote, piangendo così forte che quasi non si capiva cosa dicesse.

La piccola chiesa dove faceva volontariato stava per essere svuotata dall’ufficiale giudiziario.
Il pastore, un ex militare senza gambe, veniva trascinato fuori sulla sedia a rotelle mentre la moglie teneva in braccio il loro neonato.

Il proprietario del palazzo era lì davanti, con il foglio di sfratto in mano e un sorrisetto che mi fece ribollire il sangue.

«Prima di far dormire quei barboni nella mia proprietà, doveva pensare alla sua famiglia» disse. «Questo è un quartiere perbene.»

Quando arrivammo noi, il suo sorriso cambiò.


Mi chiamo Marco Rinaldi. Sessantasei anni, ex vigile del fuoco, due missioni all’estero con l’esercito quando ero giovane. Ho visto incendi, crolli, terremoti. Pensavo di averle viste tutte.

Mi sbagliavo.

Oggi faccio parte di un gruppo di volontari, quasi tutti ex pompieri, ex militari, ex soccorritori. Ci chiamano, con un po’ di ironia, i Vecchi Leoni. Siamo quarantatré. Alcuni arrivano coi loro vecchi fuoristrada, altri ancora girano in moto grosse e rumorose, qualcuno con un furgone scassato pieno di attrezzi.

Quella mattina avevamo appena consegnato tre furgoni di giocattoli al reparto di pediatria dell’ospedale. Eravamo stanchi, infreddoliti, ma soddisfatti. Poi il telefono di Tommaso squillò.

Sua nipote Sara, diciannove anni, voce che tremava:
«Zio, lo stanno buttando fuori. Adesso. Proprio adesso, la Vigilia di Natale. La moglie ha partorito da tre giorni…»

Tommaso impallidì. Da cinque anni frequentava quella piccola chiesa del quartiere, da quando aveva smesso di bere. Diceva sempre che il pastore Luca gli aveva salvato la vita.

«Come, buttando fuori?» chiese lui.

«C’è il padrone di casa, il signor Gori. È arrivato con l’ufficiale giudiziario e due carabinieri. Stanno tirando fuori tutto. Il pastore è sulla sedia a rotelle che prova a fermarli, ma…»

Tommaso non la lasciò finire. Era già salito sul suo vecchio scooter.
«Ragazzi, abbiamo una situazione» disse solo.

Per noi bastava quella frase.

Motori accesi. Furgoni, moto, vecchie Panda da cantiere. Ci muovemmo in fila, attraversando le strade bagnate e fredde della periferia. La parte dimenticata della città. Quella dove i palazzi sono scrostati e le luci dei lampioni tremolano.

La Comunità Sorgente di Speranza non era niente di speciale. Un ex negozio al piano terra, incastrato fra una fabbrica abbandonata e un magazzino sfitto. Una cinquantina di sedie di plastica, un’insegna dipinta a mano:
“Qui nessuno entra da solo”.

Ma quello che trovammo davanti alla porta… quello non lo dimenticherò mai.


Il pastore Luca Moretti, trentacinque anni, seduto in sedia a rotelle nella neve mista a pioggia. Nessuna gamba sotto le ginocchia. Afghanistan, avrei saputo poi. Una bomba gli aveva portato via le gambe e tre compagni.

Sua moglie, che non sembrava avere più di venticinque anni, teneva in braccio un bambino di tre giorni, avvolto in una copertina troppo sottile per quel freddo. Tutto attorno a loro, scatoloni, sacchi, mobili buttati giù dai gradini del portone, mezzi immersi nella fanghiglia.

Un uomo grasso, con il cappotto costoso e la sciarpa perfettamente annodata, stava in piedi sopra di loro. Non aveva nemmeno la decenza di abbassare la voce.

«Doveva pagare l’affitto in tempo» diceva. «E non trasformare questo buco in un dormitorio per disperati.»

«Abbiamo pagato» rispose il pastore, la voce ferma nonostante tutto. «Ho le ricevute.»

«Con tre giorni di ritardo. Il contratto parla chiaro: pagamento entro il primo. Oggi è il quattro. Fuori.»

Accanto a lui c’erano due carabinieri e un impiegato dell’ufficio esecuzioni. Uno dei carabinieri, un ragazzo di forse vent’anni, sembrava a disagio.

«Signor Gori, è la Vigilia di Natale… forse possiamo…»

«Potete fare il vostro lavoro» lo interruppe il proprietario. «Voglio questo locale vuoto. Ho già trovato inquilini seri, che pagano tre volte tanto quello che paga questo… sedicente pastore.»

Fu in quel momento che siamo arrivati noi.


Quarantatré mezzi che si fermano insieme fanno rumore.
Quarantatré sportelli che si chiudono nello stesso istante fanno più effetto delle sirene.

Spengemmo i motori quasi in contemporanea. Il silenzio dopo il rombo sembrò ancora più forte.

Gori si voltò. Ci vide. La sua faccia fece un percorso interessante: da sicuro di sé, a nervoso, a irritato.

«Perfetto. Mancavate solo voi» sbuffò. «La solita gentaglia. Questo è proprio il motivo per cui non voglio questa chiesa nel mio stabile.»

Scese Tommaso per primo. Io gli andai dietro, lento, volutamente lento. Gli altri si disposero in semicerchio. Non stavamo minacciando nessuno. Ma nessuno poteva far finta di non vederci.

«C’è un problema?» chiesi.

Il carabiniere giovane portò istintivamente la mano vicino alla fondina. «Signori, vi chiedo di…»

«Di cosa?» intervenne Giulio, che tutti chiamano Orso. Un metro e novanta, spalle da armadio, barba bianca che arrivava quasi al petto. «Di stare a guardare un ex militare italiano buttato in strada con la moglie e un neonato, la Vigilia di Natale? È questo che ci chiedete?»

Il proprietario trovò la voce.
«Questi… volontari non c’entrano niente. È uno sfratto regolare.»

Tommaso non lo stava nemmeno ascoltando. Si avvicinò al pastore Luca, si inginocchiò nella neve accanto alla sua sedia.

«Come va, fratello?» sussurrò.

Il pastore provò a sorridere. «Ho visto giorni migliori. Ma ne ho visti anche di peggiori.»

«E il piccolo?» chiese Tommaso, guardando la giovane madre.

«Tre giorni» rispose lei piano. «Taglio cesareo. Non dovrei neanche stare in piedi.»

Tommaso si rialzò. Si voltò verso il proprietario.
«Lei sta sfrattando un ex militare invalido e sua moglie che ha partorito da tre giorni. La Vigilia di Natale» disse, scandendo ogni parola.

«Sto sfrattando inquilini che non rispettano il contratto» ribatté Gori. «Sono in ritardo con l’affitto e hanno riempito il locale di senzatetto. Mi rovinano il valore dell’immobile.»

«Senzatetto?» dissi io. «Intende persone che sarebbero morte di freddo se non avessero trovato una porta aperta?»

«Intendo violazioni del contratto» sbottò lui. «Niente ospiti notturni senza autorizzazione. Sono passato la settimana scorsa, c’erano dieci persone che dormivano sul pavimento. Questo è un locale commerciale, non un dormitorio.»

Il pastore Luca provò a intervenire:
«Erano persone che vivevano in macchina. Non potevamo…»

«Non è un mio problema» lo interruppe di nuovo Gori. Tirò fuori il cellulare. «Avete due minuti per andarvene, altrimenti chiamo rinforzi. Passerete il Natale in caserma.»

Fu allora che Sara, la nipote di Tommaso, uscì di corsa dalla chiesa.

«Stanno buttando tutto via!» gridò. «Il presepe, i disegni dei bambini, le sedie… tutto nel cassonetto!»

Guardai dentro dal portone socchiuso. Due operai stavano portando fuori banchi, un piccolo altare, un crocifisso di legno fatto a mano, spezzato in due e buttato da parte come fosse spazzatura.

«Basta» dissi.

Il proprietario rise. «E che fa? Mi picchia? Così è più facile per me denunciarla. Avanti, faccia il duro.»

Aveva ragione su una cosa: non potevamo mettergli le mani addosso. La legge, almeno sulla carta, era dalla sua parte.
Fu allora che parlò Tempesta.

Tempesta si chiama in realtà Ernesto. Settantun anni. Parla poco. Ma quando apre bocca, di solito succede qualcosa.

«Quanto?» chiese, guardando fisso il proprietario.

«Cosa?» fece Gori.

«Quanto devono? Affitto, arretrati, quello che vuole.»

Gori sogghignò. «Tremila per questo mese. Più penali. Più cinquemila di cauzione che ovviamente trattengo per i danni. Più il mese prossimo in anticipo, se vogliono restare.»

«Quindi undicimila in tutto?» domandò Tempesta.

«Tanto non ce li hanno» rise Gori. «Vivono di offerte di altre persone povere. Non riusciranno mai…»

Tempesta tirò fuori il suo smartphone, con calma. «Mi dà l’IBAN?» chiese.

Gori scoppiò in una risata. «Lei pensa di avere undicimila euro sul conto? Lei?»

Tempesta gli girò lo schermo. L’app della banca era chiara. Il numero di zeri era sufficiente a far sbiancare Gori.

«Ho avuto un’impresa edile per quarant’anni» disse Ernesto piano. «L’ho venduta l’anno scorso. Posso pagare undicimila. E molto di più, se serve.»

Il proprietario si riprese. «Non cambia niente. Il contratto è stato violato. Senzatetto, ospiti non autorizzati…»

«Mi faccia vedere il contratto» dissi.

Esitò, poi tirò fuori una copia spiegazzata. L’ho letto con calma. Dopo vent’anni a gestire la mia piccola officina, qualche contratto l’avevo imparato a capirlo.

«Qui c’è scritto: nessun ospite notturno per più di tre notti consecutive, senza autorizzazione scritta» lessi. «Le persone che dormivano qui erano sempre le stesse?»

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