Il pastore scosse la testa. «No. Ogni notte qualcuno diverso. Chi dormiva per strada, chi usciva da un pronto soccorso, chi scappava da una situazione brutta. Nessuno stava qui tre notti di fila.»
«Allora il contratto non è stato violato» dissi. «È scritto così.»
Il volto di Gori divenne rosso. «Non è quello che intendevo!»
«Ma è quello che c’è scritto» ribattei.
Il carabiniere più anziano, che finora aveva taciuto, fece un passo avanti. «Se riescono a pagare l’affitto, signor Gori…»
«Qui siamo circondati da criminali!» urlò il proprietario. «Tossici, matti, sfaccendati!»
«Per lo più ex militari» disse piano il pastore. «Alcuni con traumi seri. Alcuni con dipendenze. Tutti esseri umani che avevano bisogno di una porta aperta.»
«Non m’importa se sono…»
«Io ero uno di loro» lo interruppe Tommaso.
Tutti si girarono verso di lui. Se ne stava lì, alto, con gli occhi lucidi.
«Cinque anni fa, ero uno di quei casi disperati che dormivano su quel pavimento» continuò. «Ubriaco, senza casa, pronto a farla finita. Il pastore Luca mi ha fatto entrare. Non mi ha interrogato, non mi ha giudicato. Mi ha dato un letto da campo, una coperta e un motivo per rialzarmi.»
«Anch’io» disse una voce dietro.
Era Nando.
«Anch’io» disse poi Paolo.
«E io» aggiunse Gigi.
Uno dopo l’altro, dodici dei nostri fecero un passo avanti. Tutti avevano passato almeno una notte su quel pavimento, in quel piccolo ex negozio.
Gori arretrò di un passo. «Vedete? È esattamente quello che dico! Questo posto attira solo…»
Non finì la frase.
Non perché qualcuno l’avesse interrotto con un pugno.
Ma perché una nuova voce arrivò alle nostre spalle.
«C’è un problema qui?» chiese una donna.
Si avvicinò con passo deciso. Tailleur scuro, cartella in pelle, sguardo che non avevo voglia di avere puntato contro di me. Sembrava – ed era – un avvocato.
«Chi è lei?» sbottò Gori.
«Avvocata Francesca Lodi» rispose lei. «Rappresento la Comunità Sorgente di Speranza.» Guardò l’ufficiale giudiziario. «Ha verificato la regolarità di questo sfratto?»
L’uomo si aggiustò gli occhiali. «Il proprietario ci ha mostrato…»
«Avete verificato in tribunale?» lo interruppe lei. «Perché io ho controllato dieci minuti fa. Non risulta nessuna pratica di sfratto depositata a nome di questa comunità.»
Gori sbiancò. «Erano in ritardo…»
«La legge italiana prevede un provvedimento del giudice, notificato per iscritto, con i tempi stabiliti» disse l’avvocata. «Non può svegliarsi la Vigilia di Natale e buttare fuori un inquilino così, senza un’ordinanza. Questo si chiama sfratto illegale.»
Guardò i carabinieri. «E chi partecipa a uno sfratto illegale, la Vigilia di Natale, ai danni di un ex militare invalido, si espone a responsabilità non solo morali, ma anche legali. Le testate giornalistiche si divertirebbero parecchio.»
Il carabiniere più anziano guardò il collega.
«Ce ne andiamo» disse piano.
«Ma…» provò a protestare il giovane.
«Adesso» ripeté il più anziano.
Si avvicinò al pastore e gli mise in mano un biglietto. «Se ha bisogno, chiami qui. Mio fratello ha perso la gamba in missione. So cosa significa.»
Se ne andarono. L’ufficiale giudiziario li seguì, scuotendo la testa.
All’improvviso, il proprietario si ritrovò da solo davanti a quarantatré Vecchi Leoni e a un’avvocata molto determinata.
«Non è finita qui» disse, cercando di recuperare autorità. «Presenterò sfratto regolare. Avrete trenta giorni, poi fuori.»
Fu allora che Francesca sorrise. Non un sorriso gentile.
«Le conviene dare un’occhiata ai registri catastali, signor Gori.»
«Che vuol dire?»
«Vuol dire che da…» controllò il telefono, «dieci minuti lei non è più proprietario di questo immobile.»
«Impossibile!»
«La società Tempesta Costruzioni s.r.l. ha appena acquistato l’intero stabile. Pagamento immediato. Il vecchio proprietario, quello vero, era piuttosto stanco di non ricevere da mesi l’affitto che lei incassava.»
Gori si voltò di scatto verso Ernesto.
«Lei non possiede…»
«Io no» rispose lui tranquillo. «Ma la mia società sì. E in quanto rappresentante legale, le comunico che al momento si trova su proprietà privata senza titolo. Le chiedo di allontanarsi.»
«Non può…»
«Se ne vada» dissero quarantatré voci nello stesso momento.
Gori guardò intorno, calcolando. Poi si afflosciò. «State facendo un errore. Questo edificio ha bisogno di lavori enormi. Tetto che perde, impianto vecchio, fondamenta che cedono. Avete comprato un disastro.»
Salì sulla sua macchina, una berlina lucida, e sgommò via, alzando schizzi di neve sporca.
Rimanemmo lì, nel freddo. Il pastore sulla sedia a rotelle, la moglie con il neonato in braccio, Tempesta con una copia digitale del rogito sul telefono.
«Perché?» chiese il pastore, la voce spezzata. «Lei non ci conosce nemmeno.»
Ernesto lo guardò serio. «Lei ha servito questo Paese. E adesso serve chi è rimasto indietro. A me basta questo.»
«Ma l’edificio… ha ragione lui, è messo male.»
Tempesta si voltò verso di noi.
«Ragazzi, mi sa che abbiamo trovato il nostro prossimo cantiere.»
Orso sorrise. «Io conosco uno che fa tetti a metà prezzo. E per lei li fa pure gratis.»
«Io posso sistemare il riscaldamento» disse Paolo.
«Fondazioni e crepe sono il mio pane» alzò la mano Nando.
Tommaso spinse piano la sedia a rotelle del pastore. «Prima però li portiamo dentro» disse. «Fa troppo freddo qui fuori.»
Passammo il resto della Vigilia di Natale in quella chiesa spoglia.
Qualcuno chiamò la moglie. La moglie chiamò altre persone. Nel giro di un’ora arrivarono pentole di pasta al forno, termos di caffè, torte improvvisate, coperte. Qualcuno portò persino un piccolo albero di Natale, mezzo storto, ma con le lucine funzionanti.
Il pastore provò a ringraziarci mille volte. Non riusciva a finire una frase senza che la voce gli si spezzasse.
«Saremmo finiti in strada» ripeteva la moglie. «Il neonato… non so nemmeno dove saremmo andati.»
«Non succederà» dissi. «Non sotto i nostri occhi.»
Verso mezzanotte avevamo già un piano. Ognuno di noi avrebbe messo qualcosa: tempo, materiali, competenze, un po’ di soldi.
Avremmo iniziato il 27 dicembre.
«Ma perché?» chiese ancora una volta il pastore. «La maggior parte di voi non viene nemmeno in chiesa.»
Rispose Tommaso. «Perché tu c’eri, quando noi avevamo bisogno. Non hai chiesto documenti, non hai chiesto curriculum. Ci hai visto come persone, non come problemi.»
«E perché» aggiunse Tempesta «sei un uomo che ha perso tanto e non ha smesso di servire. Per noi, questo basta.»
Il 27 dicembre iniziammo i lavori.
La prima cosa che scoprimmo fu che Gori prendeva l’affitto regolarmente, ma non lo versava al vero proprietario, un anziano signore che viveva in un altro comune. Da sei mesi pensava che i locali fossero vuoti. Per questo aveva accettato volentieri la proposta di Tempesta.
La seconda cosa fu che i problemi dell’edificio non erano poi così disastrosi. Il tetto perdeva, sì, ma niente che un buon muratore e qualche fine settimana non potessero sistemare. L’impianto di riscaldamento era vecchio, ma riparabile. Le crepe nei muri erano brutte a vedersi, ma non pericolose.
La terza cosa fu che la voce si diffuse.
A Capodanno eravamo in settanta a lavorare. Non solo Vecchi Leoni. Parrocchiani, vicini di casa, persone che anni prima avevano ricevuto una busta di alimenti da quella comunità. Un ex senzatetto tornato apposta da un’altra città per portare una carriola.
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