La notte in cui volevo perdere tutto e il mio cane mi ha salvato

Mi dicono che là fuori la gente condivide la foto di un vecchio con il torace fasciato e di un cane con le zampe bendate, scrivendo “miracolo sulla neve”; io vedo solo un debito che non riuscirò mai a restituire.

Perché se questa è la seconda parte della nostra storia, è Bino che l’ha scritta col suo respiro sul mio collo.

In ospedale il tempo non passa.

Di giorno sono i passi delle infermiere, di notte il bip delle macchine.

Io conto le ore in base alle visite del fisioterapista e a quelle dell’agente della Stradale, che ormai chiama Bino “il collega a quattro zampe”.

Il primo che me lo riporta è il veterinario.

Entra in stanza con una pettorina nuova, rossa, un po’ troppo vistosa per i miei gusti.

«Gliel’hanno regalata le ragazze dell’ambulatorio,» dice. «Dicevano che un eroe non può andare in giro con il collare vecchio.»

Dietro di lui, Bino cammina piano, le zampe fasciate come piccoli stivali, le orecchie rasate in parte, ma la coda… la coda è un metronomo impazzito.

Io tendo le braccia.

Faccio una smorfia per il dolore al torace, ma lui se ne infischia.

Appoggia le zampe sul bordo del letto, si tira su con uno sforzo e mi infila il muso sotto il mento, proprio nel punto in cui quella mattina credevo di sentirlo per l’ultima volta.

Odora di disinfettante e di neve vecchia.

«Ti avevo portato a morire,» gli sussurro nell’orecchio. «E tu mi hai riportato indietro.»

Lui sospira, chiude gli occhi.

Per lui la cosa è semplice: io sono casa, non importa dove siamo.

Il veterinario mi spiega delle cure, dei farmaci, delle visite di controllo.

Ogni parola pesa come una moneta: controllo del cuore, antidolorifici, integratori per le articolazioni.

Quando accenna ai costi, abbassa la voce.

Io penso al mio portafoglio, alla pensione, al fatto che fino a ieri non avevo nemmeno una stanza dove mettermi.

«La raccolta fondi sta andando bene,» interviene l’agente, come se mi leggesse la testa. «La gente non sta donando solo per lei, sa? Molti scrivono: “per Bino, perché ci ha ricordato che i vecchi non sono da buttare”.»

Quella frase mi colpisce più forte del ghiaccio.

Il giorno dopo viene l’assistente sociale.

È la stessa che mi ha proposto l’alloggio per anziani in montagna.

Tiene in mano una cartellina diversa, ma lo stesso sguardo tirato.

«Signor Elio,» comincia, sedendosi ai piedi del letto. «Ho saputo dell’incidente. Mi dispiace davvero tanto.»

Io annuisco.

Non ho voglia di fare la guerra a nessuno. So benissimo che non è stata lei a inventare i regolamenti.

«Ho letto della raccolta fondi,» continua. «E… ho ricevuto parecchie telefonate. Persone che chiedevano perché un uomo con un cane anziano non potesse avere un’altra soluzione.»

Si liscia la gonna, imbarazzata.

«Le regole del residence non cambiano, purtroppo. Ma il Comune, con l’aiuto delle donazioni, può aiutarla diversamente.»

Apro e chiudo le mani sulle lenzuola.

La paura è sempre la stessa: e se è troppo bello per essere vero?

«C’è un piccolo appartamento al piano terra, in un edificio vecchio ma tenuto bene,» spiega. «Un locale unico, angolo cottura, bagno con doccia, un cortiletto chiuso. Il proprietario è disposto ad affittarlo a un prezzo più basso della media, a patto che lei accetti che ogni tanto venga a bere un caffè con… il cane.»

Sorride.

Per la prima volta la vedo non come “l’assistente sociale”, ma come una donna che, forse, ha un cane a casa e non potrebbe mai separarsene.

«E la cauzione? E le spese?» chiedo.

«La raccolta copre i primi mesi.»

Si morde il labbro. «Il resto… beh, lo costruiremo un passo alla volta. Ma almeno non dovrà più scegliere tra un tetto e il suo compagno di viaggio.»

Chiudo gli occhi.

Rivedo la scarpata, il volante sul petto, il parabrezza rotto e quella testa dorata che torna indietro invece di scappare.

Quando li riapro, ho la risposta.

«Io senza di lui non ci vado, da nessuna parte,» dico. «Se è un posto dove lui può entrare, accetto.»

Bino, sdraiato sul tappetino accanto al letto, alza piano la coda e la fa battere una volta.

I giorni passano.

Imparo a camminare di nuovo con il bastone, lui impara a muoversi con le zampe ferite.

Una fisioterapista giovane, con i capelli raccolti in una coda disordinata, ogni tanto si ferma a grattargli la testa.

«Sa, mio nonno ha dovuto lasciare il cane quando è entrato in casa di riposo,» mi confessa un giorno. «Non è mai stato più lo stesso. Voi due… mi fate pensare che le cose possono essere diverse.»

Il giorno delle dimissioni arriva con la neve che si è trasformata in quella poltiglia grigia che solo l’inverno conosce.

L’agente della Stradale si presenta con il suo amico proprietario dell’alloggio.

È un uomo robusto, con la barba bianca e un giubbotto che sembra aver visto mille inverni.

«Così tu saresti Bino,» dice, accovacciandosi per farsi annusare. «Dicono che senza di te questo testardo sarebbe ancora là a fare il ghiacciolo.»

Bino lo valuta con serietà, poi sbatte la coda.

«Prometto di non lamentarmi se mi rovinerai il pratino nel cortile,» aggiunge. «Ma niente giornali mangiati, d’accordo?»

Quando arriviamo nel nuovo appartamento, il cuore mi batte forte.

La porta si apre su un pavimento di piastrelle consumate e pareti che avrebbero bisogno di una mano di vernice.

Ma c’è una finestra grande che guarda su un cortile con due vasi vuoti e una sedia di plastica.

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