La notte in cui volevo perdere tutto e il mio cane mi ha salvato

E, soprattutto, non ci sono cartelli con scritto È VIETATO TENERE ANIMALI DOMESTICI.

Bino gira per la stanza, annusa ogni angolo, controlla il bagno, torna da me.

Appoggia il muso sulla mia mano come per dire: «Possiamo fermarci?»

«Sì, vecchio mio,» rispondo. «Per un po’, possiamo fermarci.»

La sera, quando finalmente restiamo soli, tiro fuori dal sacchetto dell’ospedale la camicia di flanella.

È ancora sporca di sangue secco e di vetro, ma la stendo comunque sulla sedia.

Lucia diceva sempre che le cose aggiustate hanno più storia di quelle nuove.

Mi siedo sul letto nuovo, un po’ troppo rigido, e guardo il telefono che l’assistente sociale ha insistito per farmi avere.

C’è una notifica di un messaggio: una foto di me e Bino in ospedale, e una frase scritta da qualcuno che non conosco.

“Non lasciamo soli quelli che ci hanno portato i pacchi, la posta, il pane, per una vita intera. A volte hanno solo bisogno che qualcuno li veda.”

Mi brucia il naso.

Non sono abituato a essere visto.

Prendo il guinzaglio.

«Vieni, collega,» dico a Bino. «Andiamo a vedere se in questo cortile c’è posto per due vecchi camionisti.»

Lui si alza con un lieve lamento, poi mi segue fino alla porta.

Fuori l’aria punge, ma non come quella della scarpata.

Sopra di noi, al balcone, una signora scuote una tovaglia.

«Buonasera,» mi saluta. «È il nuovo inquilino? Che bel cane. Come si chiama?»

«Bino,» rispondo. «È lui che ha trovato casa per tutti e due.»

Lei ride.

«Allora è lui il capo famiglia. Se domani passa, ho qualche avanzo di arrosto per lui.»

Bino scuote la coda.

Io sento qualcosa sciogliersi nel petto.

Quella notte, nel silenzio del nuovo appartamento, il rumore che mi tiene sveglio non è più il bip delle macchine, ma il respiro regolare del cane ai piedi del letto.

Ogni tanto lui si alza, fa un giro, controlla la porta, poi torna al suo posto.

Penso al regolamento che non si piega, alla lettera di sfratto strappata, alle firme che pesano come pietre.

Poi penso alle mani che hanno donato cinque euro, dieci, quello che potevano.

Alle persone che hanno condiviso la nostra storia, non per curiosità morbosa, ma perché per un attimo si sono viste in un vecchio con una gamba di metallo e in un cane con le zampe fasciate.

Chiudo gli occhi e lascio che il sonno arrivi.

So che il futuro non sarà facile: bollette, visite veterinarie, l’anca che scricchiola, l’inverno che ritorna.

Ma stavolta so anche un’altra cosa.

Finché avrò fiato, non sceglierò mai più di perdere qualcuno per paura dei numeri.

Finché Bino avrà fiato, il suo posto sarà qui, accanto al mio letto, pronto a ricordarmi che nessun vecchio, umano o cane, dovrebbe mai essere costretto a viaggiare da solo.

Scroll to Top