La promessa che non ho mantenuto e il cane che mi ha salvato la vita

Una bambina con i capelli ricci gli ha posato una mano sulla schiena.

«Quanti anni ha?»

«Abbastanza da saperne più di me», ho detto.

La bimba ha sorriso seria. «Allora è saggio. I cani vecchi sanno custodire i segreti.»

In quel momento ho capito che Marco, in qualche modo, era lì.

Nelle domande dei bambini, negli sguardi dei volontari, nel modo in cui Buddy annusava l’aria senza paura, come se sentisse di essere nel posto giusto, anche solo per un pomeriggio.

Tornando a casa, il tramonto tingeva di rosa e arancio i campi.

Ho sentito un improvviso bisogno di parlare ad alta voce, come quando si telefona a qualcuno che non può rispondere.

«Marco, hai visto? Il tuo cane fa ancora servizio attivo. È un ambasciatore dei vecchietti come noi.»

Buddy ha girato la testa verso di me, poi verso il finestrino, come se stesse cercando anche lui un’ombra seduta dietro.

Nei mesi successivi, la nostra routine ha continuato a cambiare piano.

Una volta al mese tornavamo al rifugio: non per lasciare Buddy, ma per portare coperte, crocchette, qualche sacchetto di pane secco che il panificio ci metteva da parte.

I volontari avevano iniziato a chiamarci «la coppia storica».

Io ridevo, ma dentro mi sentivo meno inutile di quanto mi fossi sentito da anni.

Un giorno, il veterinario mi ha detto che il cuore di Buddy era stanco.

«Non oggi, non domani. Ma cominci a prepararsi. Ha avuto una vita lunga. Non gli neghi adesso il regalo più grande: il tempo fatto di presenza, non di paura.»

La sera, seduto sul divano, gli ho accarezzato il petto che si alzava e abbassava piano.

«Senti, vecchio amico», ho mormorato. «Io non so quando sarà, e non voglio pensarci troppo. Ma ti prometto una cosa: non ti lascerò mai solo. Né qui, né… dove andremo dopo, qualunque cosa ci sia.»

Lui ha aperto un occhio, poi l’altro, e ha fatto quel verso strano che non è proprio un abbaio, ma nemmeno un sospiro.

Sembrava un “va bene” detto sottovoce.

Adesso, quando camminiamo lungo l’argine del fiume, mi capita spesso di sentire i passi di un terzo che non c’è.

Non è tristezza, non è paura.

È come se la nostra amicizia, quella tra me e Marco, non fosse finita davvero, ma si fosse sdoppiata: una parte cammina con me, l’altra con Buddy.

Ho capito che la promessa che credevo di aver rotto, in realtà, l’abbiamo riscritta insieme.

Marco voleva che Buddy fosse al sicuro.

Io volevo non affondare nel silenzio.                                                     

Buddy voleva soltanto qualcuno da seguire, senza fare domande.

Alla fine, è andata così: un cane vecchio ha trovato un’altra casa, un vecchio uomo ha ritrovato un motivo per alzarsi la mattina, e un amico che non c’è più continua a camminare con noi nei gesti più piccoli.

Se questa è una promessa spezzata, allora spero di romperne ancora tante, così.

Quelle che, sulla carta, sembrano errori.

Ma che, nella vita di tutti i giorni, profumano di caffè alla moka, di passeggiate lente e di respiro caldo sotto il tavolo.

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