Lessi qualche notifica, quasi come se fossero messaggi di un’altra persona.
«Sei egoista. Pensa alla famiglia.» – da Anna.
«Ti distruggerò in tribunale, non vedrai un euro.» – da Valeria.
«Possiamo ancora sistemare tutto. Parliamone.» – da Giovanni.
«La nonna non è lucida. Aiutaci a farla visitare.» – da Marco.
Posai il telefono sul comodino e mi avvicinai alla finestra.
La villa di nonna Teresa si stendeva su un grande terreno affacciato sul lago, circondata da alberi e da un giardino curato. Il sole del mattino si rifletteva sull’acqua calma. Quella, un giorno non lontano, sarebbe stata casa mia.
Un bussare leggero alla porta interruppe i miei pensieri.
«Signorina Elisa? La colazione è pronta. La signora Teresa la aspetta nello studio.»
Trovai nonna seduta dietro una grande scrivania in legno, sorprendentemente energica nonostante la sera precedente. Accanto a lei c’erano Lorenzo e un uomo distinto in giacca e cravatta.
«Elisa, ti presento l’avvocato Ricci,» disse nonna. «Segue le mie cose da anni. Oggi ti spiegherà qualche dettaglio.»
L’uomo si alzò, stringendomi la mano con decisione. «È un piacere conoscerla, signorina Elisa. Sua nonna mi ha parlato molto di lei.»
Mi sedetti, ancora frastornata. L’avvocato aprì una cartella e iniziò a illustrarmi la situazione: il trust, le società, gli investimenti. Le cifre che pronunciava mi sembravano irreali.
«Al momento,» disse con calma professionale, «il patrimonio liquido ammonta a circa tre miliardi di euro, più altri miliardi in immobili, partecipazioni e investimenti. Abbiamo predisposto un accesso immediato per lei a una somma di cinque milioni di euro, così non dovrà preoccuparsi di nulla per le spese correnti mentre sistemiamo il resto.»
Cinque. Milioni. Subito disponibili.
Mi girava la testa.
«Ma c’è un altro punto importante,» intervenne nonna Teresa, gli occhi più seri. «La tua famiglia cercherà di contestare il testamento. Diranno che ti ho messo contro di loro, che mi stai manipolando. Dobbiamo essere pronti.»
«Cosa possono fare davvero?» chiesi piano.
«Dal punto di vista legale, non molto,» rispose l’avvocato. «Abbiamo tre certificazioni mediche che attestano la piena capacità della signora Teresa, il testamento è stato firmato in presenza di testimoni, tutto è in regola. Tuttavia, possono trascinare la questione in tribunale, fare rumore, cercare di infangare il suo nome.»
«E potrebbero provarci con i media,» aggiunse nonna. «Negli ultimi anni ho annotato molte cose. Ho chiesto a persone di fiducia di osservare. Ogni volta che ti prendevano in giro, ogni volta che ti escludevano, ogni volta che ti mettevano in difficoltà. Ho una documentazione più completa di quanto immagini.»
Il telefono vibrò di nuovo. Mio padre. Lo schermo lampeggiava insistente.
«Rispondi,» mi disse nonna. «Metti il vivavoce. Vediamo cosa dice.»
Con le mani leggermente sudate, accettai la chiamata.
«Elisa?» La voce di Giovanni era carica di tensione. «Dobbiamo parlare. La nonna non è lucida. Non capisce quello che sta facendo.»
«A me sembra molto lucida,» risposi. La mia voce uscì più ferma di quanto mi aspettassi.
«Questa storia dell’eredità è impazzita. Non puoi davvero pensare di meritare tutto quello che tua nonna ha costruito. Sei con noi da 22 anni e alla prima occasione ci pugnali alle spalle per soldi?»
«Alla prima occasione?» ripetei incredula. «Parli di soldi? Come i 750.000 euro che avete preso quando mi avete adottata?»
Dall’altro lato della linea, silenzio.
«Non so che bugie ti sta raccontando,» disse infine.
«Le bugie non lasciano tracce nei conti bancari,» dissi piano. «L’avvocato ha tutte le carte. Quei soldi erano destinati al mio mantenimento, alla mia istruzione. Erano dei miei genitori biologici. Voi li avete usati per altro.»
Sentii mia madre in sottofondo, agitata. «Questi soldi erano per la famiglia. Casa, bollette, cibo…»
«Casa e cibo che avreste pagato comunque,» ribattei. «Nel frattempo Valeria aveva scuole private, Marco un’auto nuova a 18 anni… e io dovevo farmi prestare i soldi per l’università serale.»
«Sei ingrata,» tagliò corto mio padre. «Ti abbiamo dato un tetto.»
«Mi avete dato un posto dove dormire,» dissi. «Ma non avete mai voluto che fosse casa mia.»
Ci fu un attimo di vuoto. Poi mia madre alzò la voce: «Ti porteremo in tribunale. Vedremo cosa dirà un giudice.»
«Benissimo,» intervenne la voce calma di nonna Teresa, chinandosi verso il telefono. «Così potremo mostrare tutti i documenti. E spiegare come avete speso i soldi di una bambina rimasta orfana per i vostri capricci.»
La chiamata si interruppe all’improvviso. Avevano riattaccato.
L’avvocato Ricci posò una mano leggera sulla cartella. «Signorina Elisa, so che è molto da digerire. Ma dal punto di vista legale siete voi ad avere in mano tutte le carte. Loro hanno fatto scelte molto gravi.»
«E tu?» chiesi alla nonna, guardandola. «Perché non mi hai detto prima di quei soldi?»
Lei sbuffò piano. «Ho scoperto tutto solo due anni fa. Ho avuto bisogno di tempo per verificare ogni cosa. E perché sapevo che, una volta saputa la verità, per te sarebbe cambiato tutto. Non ci sarebbe stato più spazio per illusioni. Ero certa che si sarebbe arrivati allo scontro. Volevo che tu fossi pronta.»
Aveva ragione.
Qualcosa dentro di me si ruppe definitivamente. Non era solo cattiveria, non erano “battute pesanti”. Era furto. Era abuso.
«Cosa farai adesso?» chiese l’avvocato.
Inspirai profondamente, cercando di mettere ordine ai pensieri.
«Non lo so ancora,» ammisi. «Ma so una cosa: non voglio più essere quella che subisce in silenzio.»
Nonna sorrise piano. «Ecco la mia Elisa.»
Fu in quel momento che capii che la mia vita non era solo “cambiata”. Era stata capovolta. E che nulla, da quel giorno in poi, sarebbe mai tornato com’era prima.
Nei giorni successivi mi sembrò di vivere dentro un sogno strano.
Mi trasferii temporaneamente nella villa di nonna Teresa. Non avevo il coraggio di tornare nel mio piccolo bilocale a Milano, dove la mia “famiglia” sapeva benissimo dove trovarmi. Lorenzo andò a prendere le mie cose, io restai sul lago, in una bolla irreale fatta di silenzio e di viste meravigliose.
La bolla però durò pochissimo.
Tre giorni dopo, la notizia era ovunque:
«Imprenditrice anziana cambia testamento e lascia il patrimonio alla nipote adottiva.»
I giornali non facevano nomi, ma bastava poco a collegare i puntini. I siti di gossip si scatenarono.
Le chiamate aumentarono. Non solo da parte della mia famiglia, ma anche da numeri sconosciuti.
Una mattina il telefono squillò di nuovo. Numero privato.
Risposi senza pensarci. «Pronto?»
«Elisa, buongiorno. Sono Giorgia Conti, di Cronache di Città. Posso rubarle solo due minuti?»
«No, mi scusi. Non ho nulla da dichiarare.»
«Capisco,» insistette lei con voce gentile, «ma volevo solo chiederle una cosa: ci sono delle voci sul capitale iniziale della sua agenzia di grafica. Alcuni sostengono che le sia stato dato da sua nonna molti anni fa, e che tutto questo fosse pianificato da tempo. Vuole commentare?»
Mi si gelò il sangue. «Non è vero. Mi sono pagata tutto da sola. Ho i contratti e i prestiti firmati da me.»
«Perfetto,» rispose lei rapida. «Quindi può dimostrarlo? Possiamo vederli?»
«Non devo dimostrare nulla a nessuno,» dissi, e chiusi la chiamata con la mano che tremava.
L’avvocato Ricci, quando glielo raccontai, annuì come se se lo aspettasse. «Vogliono costruire una storia: quella della “furba ragazza adottata” che per anni avrebbe preparato il terreno. Non importa se è falsa. L’importante per loro è far rumore.»
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