La sera in cui la nonna miliardaria ha distrutto la mia famiglia e salvato per sempre l’adottata

Nonna Teresa fu ancora più diretta. «Vogliono farti passare per approfittatrice. Più ti difendi, più alimenti il circo. Per questo servirà qualcosa di chiaro, pubblico, con i fatti in mano. Ma a tempo debito.»

Nel frattempo, i social erano impazziti. Quello che all’inizio era solo un pettegolezzo diventò discussione nazionale.

C’erano commenti terribili:

«Sicuramente l’ha raggirata. La nonna non poteva essere lucida.»
«Classica storia: la figlia adottiva si prende tutto e i veri figli restano a bocca asciutta.»
«Brava la nonna, il sangue non basta. Conta come tratti le persone.»

Provai a non leggere, ma era come guardare un incidente in autostrada: sapevo che mi avrebbe fatto male, eppure continuavo.

Una sera, nonna mi trovò in biblioteca, curva sul portatile, gli occhi lucidi.

«Basta,» disse fermandosi accanto a me. «Smetti di leggere cosa pensano gli sconosciuti. Quando ho aperto la mia prima azienda dicevano che ero troppo donna, troppo ambiziosa, troppo “dura”. Se li avessi ascoltati, oggi non avresti nemmeno questa villa.»

Chiuse delicatamente il portatile. «Non devi convincere il mondo. Devi solo essere coerente con te stessa.»

Quella stessa sera arrivò la notizia che l’avvocato Ricci si aspettava.

«Hanno ufficialmente impugnato il testamento,» disse entrando nello studio con una cartella in mano. «Sostengono incapacità naturale e influenza indebita. È il copione classico.»

«C’è dell’altro,» aggiunse poi, con un’espressione tesa. «Valeria ha assunto un investigatore privato. Stanno scavando in ogni aspetto della vita di Elisa. Vogliono trovare qualsiasi cosa da distorcere.»

Mi sentii improvvisamente stanca. «Non c’è nulla da trovare.»

«Lo sappiamo. Ma useranno anche quello che non c’è. Trasformeranno un prestito in favore, un amico in amante, un ritardo in irresponsabilità.»

Passarono pochi giorni e la macchina del fango partì davvero.

Articoli anonimi sui siti minori, commenti “casuali” sotto i post, profili falsi sui social:

«Ho studiato con lei, era sempre a caccia di uomini ricchi.»
«La sua agenzia è in perdita, lo sanno tutti.»
«Ha abbandonato l’università, adesso fa finta di essere un genio.»

Ogni frase era una bugia, ma letta mille volte finiva per graffiarti dentro.

Quella notte non riuscii a dormire. Alle due del mattino, il telefono vibrò ancora.

Numero sconosciuto. Messaggio.

«Ti pentirai. Ti rovineremo. – V.»

Valeria.

Feci uno screenshot e lo girai subito all’avvocato Ricci e a nonna.

«Conservalo bene,» rispose l’avvocato. «Ogni minaccia è una prova.»

Il giorno dopo, la villa fu circondata dai giornalisti. Furgoni con telecamere, microfoni, gente con il telefono alzato davanti al cancello. Thomas – pardon, Lorenzo – venne a cercarmi preoccupato.

«Signorina, ci sono troupe televisive che vogliono parlare con lei. Alcuni stanno suonando alla portineria dei vicini.»

Guardai la scena dalla finestra. Mi sembrava di vedere la mia vita diventare un programma tv.

«Questo è ciò che vogliono,» dissi piano. «Che io esca di corsa, piangendo, o che urli. Qualsiasi reazione vada bene per fare ascolti.»

«Appunto,» disse nonna alle mie spalle. «Quindi non gli daremo niente, finché non saremo noi a scegliere come e quando parlare.»


Qualche giorno dopo, fu la volta di Marco.

Riuscì a farsi intervistare in una trasmissione pomeridiana molto seguita. Si presentò in studio con la faccia stanca, la giacca stropicciata, l’aria da “fratello ferito”.

«So che abbiamo commesso degli errori con Elisa,» disse guardando dritto in camera. «Forse potevamo essere più affettuosi. Ma da qui a cancellare tutta la famiglia è un passo enorme. Stiamo parlando di una donna anziana malata che ha preso decisioni drastiche in poco tempo.»

La conduttrice, esperta nel mettere ago nella piaga, chiese: «È vero che i suoi genitori hanno ricevuto una somma importante legata all’adozione di Elisa?»

Marco esitò. «Era una somma per la famiglia. Per le spese. Non è stato un furto, è stato… vivere.»

«Ma i documenti parlano di un trust destinato specificamente alla bambina,» insistette lei. «Eppure Elisa ha dovuto pagarsi gli studi da sola.»

Marco tradì una crepa nella maschera. «Non è così semplice,» mormorò.

L’intervista fu un mezzo disastro. Sui social lo massacrarono: chi lo accusava di ipocrisia, chi di finta bontà.

Poi toccò a mio padre. Lui scelse l’arma del vittimismo.

In un altro programma, seduto su una poltrona chiara, raccontò con voce rotta: «Per noi Elisa è sempre stata una figlia. Abbiamo fatto del nostro meglio. Certo, non siamo stati perfetti. Ma chi lo è? Vederla girarsi contro di noi, appoggiata ai miliardi di mia madre, è devastante.»

La giornalista tirò fuori la solita domanda: «E per quanto riguarda i soldi destinati all’adozione?»

«Rendere conto di ogni euro speso per una figlia è disumano,» rispose lui. «Abbiamo pagato affitto, luce, gas, cibo, vacanze… Quella bambina non è mai mancata di nulla.»

Spegnemmo la tv. Nonna sospirò.

«Sono bravi a cambiare la storia,» disse. «Ma le carte raccontano un’altra versione.»

Il colpo più “pericoloso”, però, arrivò da mia madre.

Assunse un’agenzia di comunicazione, si vestì in modo semplice, con poco trucco, e rilasciò una lunga intervista a un settimanale.

Le foto la ritraevano in cucina, con una tazza in mano, lo sguardo dolce.

«Ho amato Elisa dal primo giorno,» diceva nell’intervista. «Era una bambina fragile, impaurita. Forse siamo stati severi, ma volevamo che fosse forte. Il mondo non è gentile con chi non è “figlio naturale”.»

Quando il giornalista chiese dei soldi, lei sorrise tristemente. «Quel denaro è servito per crescerla. Non abbiamo tenuto registri, eravamo una famiglia, non una società. Se tornassi indietro, scriverei tutto su un quaderno, così oggi non dovrei difendermi. Ma l’intenzione è sempre stata buona.»

E poi, la frase finale: «Elisa, se leggi queste righe: ti prego, parliamone. Senza avvocati, senza telecamere. Solo madre e figlia.»

Chiusi il giornale con le mani strette.

«È brava,» ammise l’avvocato Ricci. «Per chi non conosce la storia, può sembrare sincera.»

«Ma tu lo sai che è recita,» disse nonna. «La domanda è: ti importa ancora convincere chi non ti crederà mai?»

Ci pensai davvero, per la prima volta.

E la risposta fu semplice.

«No,» dissi. «Non più.»


Un pomeriggio, l’avvocato Ricci arrivò con un’espressione ancora più seria del solito.

«Hanno cambiato tattica,» disse sedendosi. «Ora sostengono che alcuni documenti dei tuoi contratti di lavoro siano stati falsificati. Dicono che tu abbia “gonfiato” il giro d’affari per sembrare più meritevole agli occhi di tua nonna. È una manovra per rallentare tutto.»

«Non è vero!» scattai. «Ho tutte le mail, le fatture, i bonifici.»

«Lo so,» rispose lui calmo. «Ma intanto hanno depositato un’istanza per aprire un’indagine su questo. Se il giudice la accoglie, i tempi si allungano.»

Nonna, che fino a quel momento era rimasta zitta, batté la mano sul bracciolo della poltrona.

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