«Allora proviamoci,» disse Luca. «Non perché tu hai bisogno di essere “salvata” e io di sentirmi un eroe. Ma perché ci sono tre bambine che meritano il meglio di noi due, insieme.»
«E noi?» chiese lei. «Cosa siamo noi, Luca?»
Lui le prese la mano. Rachele non la ritrasse.
«Vorrei scoprirlo,» disse. «Con calma. Senza fretta. Ma… insieme.»
«Non sarà facile,» avvertì lei. «Siamo persone diverse da quelle di allora.»
«Diversi in meglio o in peggio?» provò lui, cercando di alleggerire.
Rachele fece un mezzo sorriso, il primo vero sorriso della giornata. «Diversi in modo complicato.»
«Con il complicato me la cavo abbastanza bene,» rispose lui.
Ci fu un silenzio tranquillo, rotto solo dal rumore lontano della città.
«Ho delle condizioni,» disse Rachele, alla fine.
«Dimmi.»
«Voglio contribuire. Non posso vivere qui come se fossi… mantenuta. Devo lavorare, in qualche modo. Devo poter dire alle bambine che la mamma si guadagna quello che ha.»
«D’accordo. Lo troveremo un modo.»
«Voglio che le bambine capiscano che niente è definitivo finché non lo decidiamo tutti insieme. Non voglio che si facciano castelli in aria e poi crolli tutto.»
«È giusto.»
«E voglio che fra noi si vada piano. Come coppia, intendo. Loro hanno bisogno di stabilità, non di due adulti che si innamorano, litigano e si lasciano.»
Lo guardò negli occhi. «E voglio un test di paternità. Non perché ho dubbi su Maddalena, ma perché se dobbiamo fare tutto questo, dev’essere fatto bene. Documentato, legale, chiaro.»
«Già organizzato,» rispose Luca. «Il dottore che è venuto stasera se ne occuperà in modo discreto.»
Rachele sollevò le sopracciglia. «Ti muovi in fretta.»
«Ho perso abbastanza tempo,» disse lui. «Non voglio perderne altro.»
Come se fosse stata chiamata dai loro pensieri, la porta del balcone si aprì piano.
Maddalena comparve sulla soglia, in pigiama, con l’aria smarrita.
«Non riesco a dormire,» disse piano. «Il letto è troppo grande, è troppo silenzioso, e ho paura di svegliarmi e scoprire che è stato solo un sogno.»
Rachele le fece spazio sul divanetto.
«Vieni qui, amore.»
Maddalena si infilò in mezzo a loro due, appoggiando la testa sulla spalla della madre e le gambe sulle ginocchia di Luca.
Per lui, il gesto fu naturale e completamente nuovo allo stesso tempo.
Rimasero così, in tre, a guardare le luci di Milano.
«Maddalena,» disse Luca, «voglio che tu sappia una cosa. Domani sarete ancora qui. E dopodomani. E finché lo vorrete.»
«Anche se litigate?» chiese lei, con la concretezza di chi ha già visto il mondo cambiare da un giorno all’altro.
«Anche se litighiamo,» rispose lui. «Perché le famiglie non si abbandonano solo perché le cose diventano complicate.»
Lei rimase in silenzio per alcuni istanti.
Poi, a bassa voce: «Allora… siamo una famiglia adesso?»
La domanda si sospese nell’aria fresca della sera.
Luca guardò Rachele. Lei lo guardò, con gli occhi ancora lucidi, e fece un piccolo cenno di assenso.
«Sì,» disse lui, piano ma fermo. «Siamo una famiglia adesso.»
E per la prima volta dopo undici anni, Luca Moretti ebbe la netta sensazione di trovarsi esattamente nel posto giusto.
Tre settimane dopo, Luca Moretti era nel suo ufficio alle sei del mattino, circondato da fascicoli che non avevano nulla a che vedere con bilanci o piani industriali.
Sul tavolo c’erano i risultati del test del DNA, le prime relazioni degli assistenti sociali, appunti di diritto di famiglia che non avrebbe mai pensato di dover leggere nella sua vita.
Il test genetico non lo aveva sorpreso, ma vederlo nero su bianco gli aveva tolto il fiato:
99,97% di compatibilità.
Maddalena era sua figlia. Ufficialmente, scientificamente, senza più spazio per dubbi.
Ma insieme al sollievo era arrivata una consapevolezza nuova: non si trattava più solo di aiutare una famiglia in difficoltà.
Si trattava di prendersi la responsabilità, piena e intera, di una bambina che avrebbe dovuto conoscere da undici anni. E di due sorelle che, pur non avendo il suo sangue, facevano ormai parte di lui.
L’adattamento non era stato semplice come aveva ingenuamente sperato.
Maddalena era matura oltre la sua età, ma la notte si svegliava ancora di soprassalto, convinta di sentire urla dal pianerottolo o lo scricchiolio minaccioso delle assi nel vecchio palazzo.
Le gemelle vivevano oscillando tra un entusiasmo quasi euforico per ogni cosa nuova e improvvisi silenzi pieni di paura, come se temessero che tutto potesse sparire da un momento all’altro.
E Rachele…
Rachele sembrava combattere ogni giorno contro un nemico invisibile: la sensazione di non avere il diritto di essere lì.
Si ostinava a pulire superfici già pulite, a sistemare in ordine maniacale ogni oggetto, a dire alle bambine di non toccare nulla di “troppo caro”.
Se Mia prendeva un libro dalla libreria, Rachele glielo faceva rimettere subito a posto.
Se Zoe si sedeva troppo comoda sul divano chiaro, veniva subito richiamata.
Luca vedeva tutto questo e ne soffriva, ma sapeva che non bastavano poche parole per sciogliere anni di paura.
Il citofono interno si illuminò. «Ingegner Moretti, è arrivata l’avvocata per l’appuntamento delle sette,» annunciò l’assistente.
«La faccia accomodare,» rispose lui.
Pochi minuti dopo, l’avvocata Giordano, una donna sulla cinquantina, dallo sguardo lucido e l’espressione abituata alle storie complicate, si sedette davanti a lui.
«Iniziamo dalle buone notizie,» disse, aprendo una cartellina. «Il test di paternità è chiaro. Nessuno potrà mai contestare che la signorina Maddalena è sua figlia biologica.»
Luca annuì. «E le cattive?»
«Le cattive,» sospirò lei, «sono che il diritto di famiglia non segue sempre la logica del cuore. Legalmente, la situazione è più complessa di quanto sembri.»
«Spieghi.»
«Maddalena è stata adottata da suo marito, il signor Davide Martino. Il suo nome è sulla carta d’identità e sugli atti ufficiali. Questo significa che, per lo Stato, il padre è lui. Non lei.»
«Ma lui è morto,» obiettò Luca, serrando la mascella.
«Sì, ma l’adozione non svanisce con la morte del genitore,» spiegò calma l’avvocata. «È un legame giuridico forte. Lei è il padre biologico, ma non è ancora riconosciuto come padre legale.»
«Quindi, adesso, che diritti ho su mia figlia?» chiese Luca, e fu duro pronunciare “mia figlia” sapendo che, sulla carta, non era così.
«A oggi?» rispose la Giordano, incrociando le dita. «Nessuno. Senza un provvedimento del tribunale per i minorenni, lei è soltanto… un adulto che vive con loro e le mantiene.»
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