La telefonata di una bambina trasforma un dirigente freddo in padre: il segreto che nessuno doveva sapere

Rachele, appoggiata allo stipite della porta, li guardava con un’espressione che Luca non dimenticò più: un misto di incredulità, felicità e paura che tutto finisse.

Più tardi, quando i piatti erano di nuovo al loro posto e il profumo di burro e zucchero impregnava ancora l’aria, le bambine andarono a letto con la pancia piena e le dita ancora un po’ appiccicose.

Luca e Rachele rimasero in cucina con due tazze di caffè e qualche biscotto spezzato.

«Ti rendi conto che hai appena dichiarato guerra al mio modo di vedere la vita?» disse lei, mordendo un pezzo di biscotto.

«Sì,» rispose lui. «E penso di avere intenzione di vincerla.»

Lei lo guardò a lungo, in silenzio.

«Ho pensato a quello che mi hai detto al telefono,» iniziò poi, con voce più seria. «Ai documenti, ai tribunali, agli assistenti sociali. A tutto questo.»

Inspirò piano. «Voglio fare le cose per bene. Non solo per le bambine, anche per me. Non voglio vivere nell’attesa che qualcuno venga a dirci che dobbiamo andarcene.»

«Neanche io,» disse Luca.

«Perciò…» Rachele posò la tazza. «Sono disposta a passare da tutto quel percorso complicato, test del DNA, ricorsi, visite dei servizi sociali, tutto. Voglio che sia chiaro, ovunque, che tu sei il padre di Maddalena. Che ti occupi anche di Zoe e Mia. Che non siamo qui per caso.»

Lo guardò negli occhi. «E voglio restare qui anch’io. Non solo come ospite. Come… parte di questa cosa.»

«Di questa famiglia,» completò lui.

«Sì,» sussurrò. «Di questa famiglia.»

Fece un mezzo sorriso, incerto. «E un’altra cosa. Credo di essermi rimessa a innamorarmi di te. Non del ragazzo pieno di ambizione di undici anni fa. Dell’uomo che oggi lascia che tre bambine distruggano la sua cucina e ride lo stesso.»

Luca sentì il cuore accelerare.

«Rachele, io…» iniziò.

Lei lo bloccò con un gesto. «Non fraintendermi. Non è una dichiarazione romantica da film. È una confessione di paura. Perché se ci buttiamo in questa cosa e va male, non si spezzerà solo il mio cuore. Si spezzeranno anche i loro.»

«Lo so,» disse lui, serio.

«Ho bisogno di sapere che capisci cosa significa davvero,» continuò. «Significa esserci quando Maddalena entrerà nell’adolescenza e ti urlerà che ti odia. Significa non scappare quando Zoe tornerà da scuola con un brutto voto o quando Mia combinerà qualche disastro. Significa che non potrai dire “era più semplice quando vivevo da solo” e girarti dall’altra parte.»

«E io ho bisogno che tu capisca qualcosa di me,» rispose Luca, con la stessa onestà. «Ci saranno momenti in cui il lavoro esploderà, in cui sarò costretto a restare in ufficio fino a tardi. Farò errori. Reagirò male, a volte. Ma non sarà perché rimpiango la vecchia vita.»

La guardò fisso. «Sarà perché sto imparando a fare il padre a quarant’anni, tutto in una volta.»

Restarono così, a studiarsi, come due persone che firmano un contratto senza carta né penna, ma con qualcosa di più serio in gioco.

«Allora che facciamo?» chiese Rachele, a bassa voce.

«Viviamo un giorno alla volta,» disse Luca. «Parliamo di tutto, anche delle cose che fanno male. E ricordiamo che non siamo due nemici, ma due adulti dalla stessa parte, a cercare di proteggere tre bambine.»

Lei annuì lentamente.

«Luca?»

«Sì?»

«Ti ho sempre voluto bene,» disse lei. «E adesso… sì. Ti amo. Al presente, non al passato.»

Lui sentì qualcosa sciogliersi dentro. Si sporse e la baciò, piano, come se il tempo tra loro non si fosse mai davvero fermato, ma solo messo in pausa.

Il bacio fu interrotto da passi leggeri nel corridoio.

Mia apparve sulla porta, con i capelli arruffati e un peluche in mano. «Vi state sposando?» chiese con naturalezza spiazzante.

Rachele diventò color fragola. Luca rise piano.

«Che cosa ti fa pensare una cosa del genere?» chiese lui.

«Perché nei cartoni, quando il signore e la signora si baciano in cucina, poi si sposano e vivono tutti insieme,» spiegò lei con logica ferrea. «E tu sei già il nostro papà che porta il cibo e fa i biscotti. Manca solo il matrimonio.»

«Sono già il vostro papà,» disse Luca, dolcemente. «Per il resto… vedremo. Una cosa alla volta.»

Mia sembrò riflettere, poi annuì. «Allora va bene. Però, se vi sposate, voglio l’abito con i brillantini. E voglio lanciare tanti fiori.»

«Ne parleremo,» promise Luca.

Quando la bambina tornò a letto, Rachele appoggiò la fronte sulla spalla di Luca e rimase così qualche secondo, respirando piano.

«Sai che lei non scherza,» mormorò. «Se le prometti i brillantini, prima o poi li vorrà davvero.»

«Allora dovrò mantenerle la promessa,» rispose lui.

Quella notte, mentre la casa finalmente taceva, Luca si addormentò con una certezza nuova: non era più un uomo solo con una carriera brillante.
Era un padre al principio di una strada lunga, complicata e bellissima.

E sapeva, con una chiarezza quasi dolorosa, che non avrebbe più rinunciato a quella strada per nessun contratto del mondo.

Due mesi dopo, una telefonata ruppe la quiete che Luca aveva faticato così tanto a costruire.

Era sabato pomeriggio, le gemelle stavano costruendo una “casa di cuscini” in salotto, Maddalena correggeva i compiti di italiano seduta al tavolo, e Rachele leggeva una rivista in cucina, con lo sguardo ogni tanto perso fuori dalla finestra.

Il cellulare di Luca vibrò sul ripiano.

«Moretti,» rispose, aspettandosi l’ennesima questione aziendale.

«Ingegner Moretti, sono l’avvocata Giordano,» disse la voce all’altro capo, più tesa del solito. «Dobbiamo parlarci con urgenza. C’è un problema.»

Luca uscì sul balcone, chiudendo la porta scorrevole alle sue spalle. «Cosa è successo?»

«Qualcuno ha presentato una segnalazione ai servizi sociali,» disse lei, senza giri di parole. «Una segnalazione anonima sulla “idoneità” dell’ambiente in cui vivono le bambine.»

Per un attimo, Luca non capì. «In che senso? Qui non manca nulla. Hanno una camera ciascuna, cibo, scuola, medici…»

«La segnalazione non parla di povertà,» spiegò l’avvocata. «Parla di “instabilità”. Menziona il suo ruolo di dirigente molto impegnato, il fatto che Rachele al momento non lavori, la convivenza iniziata da poco. Qualcuno sta cercando di dipingere la situazione come precaria.»

Luca si sentì gelare. «E cosa comporta?»

«I servizi sociali sono obbligati a verificare,» rispose lei. «Verrà un’assistente sociale a casa vostra, vorrà parlare con le bambine, con lei, con Rachele, vedere dove vivono, come vivono.»

«Possono portarmele via?» chiese lui, più piano di quanto avrebbe voluto.

L’avvocata esitò un secondo. «È improbabile, da quello che so di voi,» disse onestamente. «Ma la legge guarda prima di tutto al bene dei minori. Se qualcuno volesse usare questa situazione contro di lei… potrebbe creare problemi, soprattutto perché, ufficialmente, lei non è ancora padre legale di Maddalena e non ha legami giuridici con le gemelle.»

Luca guardò attraverso il vetro del balcone.

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