La telefonata di una bambina trasforma un dirigente freddo in padre: il segreto che nessuno doveva sapere

In salotto, Zoe stava mettendo un cuscino in equilibrio precario sulla “tettoia” della loro casetta. Mia rideva, Maddalena le ammoniva di non rompersi l’osso del collo, Rachele scuoteva la testa ma sorridendo.

«Quando verranno?» chiese lui.

«Lunedì mattina,» rispose l’avvocata. «Si chiama Sarah Conti, è un’assistente sociale seria. Non è vostra nemica. Ma dovrà fare il suo lavoro.»

«Va bene,» disse Luca, lentamente. «Grazie di avermi avvisato.»

Quando rientrò, Rachele se ne accorse subito.

«Cosa c’è?» domandò, posando la rivista. «Hai quella faccia da “riunione disastrosa”.»

Luca guardò le bambine. «Ragazze, venite un attimo sul divano?» disse. «Dobbiamo parlare tutti insieme.»

Le gemelle sbucarono da sotto i cuscini come due gattini, Maddalena si sedette composta ma con lo sguardo vigile.

Luca si sedette di fronte a loro. «Vi devo dire una cosa importante. Lunedì verrà a trovarci una signora dei servizi sociali.»

Tre facce piccole si irrigidirono.

«Cos’è?» chiese Zoe. «È… come la polizia dei bambini?»

«Non proprio,» intervenne Rachele, cercando di mantenere la voce calma. «È una persona che controlla che i bambini stiano bene, che siano curati, che siano al sicuro.»

«Qualcuno pensa che noi non stiamo bene?» domandò Mia, con gli occhi spalancati.

«Qualcuno che non conosce la nostra vita ha fatto una segnalazione,» spiegò Luca, scegliendo le parole con cura. «Ha detto che forse qui non è il posto giusto per voi. La signora verrà a parlare con tutti, a vedere come viviamo.»

«Ma noi stiamo meglio che mai!» intervenne Zoe. «Non ho più paura dei rumori di notte. E c’è sempre la cena. E tu ci aiuti col pianoforte.»

«Lo so,» disse Luca. «E sono sicuro che la signora se ne accorgerà. Ma voglio che sappiate cosa succede, per non spaventarvi lunedì.»

Maddalena, che era rimasta in silenzio, guardò Luca dritto negli occhi. «È per colpa del lavoro, vero?» chiese. «Qualcuno pensa che tu non puoi essere papà e capo insieme.»

Luca fu colpito – di nuovo – dalla lucidità di quella bambina.

«Forse sì,» ammise. «Forse qualcuno pensa che se un dirigente si occupa della famiglia, lavora meno. Ma i numeri diranno la verità.»

«E se decidono che non possiamo restare?» chiese Maddalena, con la voce bassa.

«Non succederà,» disse Luca, quasi brusco. Poi si corresse, ammorbidendo il tono. «Parleremo con calma, risponderemo a tutte le domande. Non abbiamo niente da nascondere. Questa casa è piena di vita e di cura. Lo vedranno.»

Rachele si schiarì la voce. «Vi chiederanno come vi sentite qui, se vi sentite ascoltate, se qualcuno vi tratta male,» spiegò. «Voi rispondete la verità. Nient’altro.»

«Possiamo dire che fai i biscotti?» chiese Mia a Luca. «Così capiscono che sei bravo.»

«Penso che dovreste dirlo,» rise lui. «È un ottimo argomento.»

Lunedì mattina, l’assistente sociale arrivò puntuale, con una collega più giovane e una psicologa dell’età di Rachele, incaricata di valutare il clima familiare.

Si presentarono con calma, mostrarono i tesserini, si sedettero a tavola con taccuini e penne.

«Signor Moretti, signora Martino,» iniziò la dottoressa Conti, «siamo qui per verificare che le bambine si trovino in un contesto adeguato. Non è un processo, non è un tribunale. È una valutazione.»

Luca annuì. «Capisco. Non ho nulla da nascondervi.»

Osservarono la casa, le camere delle bambine, i disegni appesi alle pareti, la dispensa piena, i vestiti ordinati negli armadi.

Poi cominciarono i colloqui separati.

Mia fu la prima. Uscì dalla stanza ridendo, perché aveva raccontato all’assistente sociale la storia dell’elefantino di peluche e di come Luca lo aveva messo “sul ripiano più importante della casa”.

Zoe parlò dei suoi incubi nel vecchio appartamento e di come, adesso, finalmente dormisse senza svegliarsi spaventata dai rumori del pianerottolo.

Maddalena restò dentro più a lungo.

Quando uscì, aveva gli occhi un po’ lucidi ma il mento alto. «Ho detto che voglio restare qui,» annunciò.

«Hai fatto bene,» disse Rachele, stringendole la mano.

La psicologa osservò a lungo anche i piccoli gesti: come le gemelle si aggrappavano a Luca quando ridevano, come correvano dalla madre quando litigavano tra loro, la naturalezza con cui Maddalena si muoveva nella cucina, apriva il frigo, prendeva i bicchieri senza chiedere permesso.

Dopo alcune ore, la dottoressa Conti chiuse il taccuino.

«Per oggi abbiamo finito,» disse. «Dovremo scrivere una relazione, confrontarci tra noi, e poi inviare tutto al tribunale per i minorenni. Ci vorrà qualche giorno.»

«Fino ad allora…?» chiese Rachele.

«Fino ad allora, tutto resta com’è,» rispose l’assistente sociale. «Non c’è nessun provvedimento restrittivo.»

Guardò le bambine che giocavano sul tappeto. «Posso dirvi una cosa, anche se non è ancora nei documenti?» aggiunse, con un mezzo sorriso.

«Certo,» disse Luca.

«È raro vedere, in poche settimane, un cambiamento così evidente nei bambini,» disse. «Le loro paure ci sono ancora, ma sono meno… vischiose. Si vede che si sentono al sicuro. E questo non si compra con i soldi.»

Quando le tre donne uscirono, la casa sembrò improvvisamente enorme e silenziosa.

«Come pensi che sia andata?» chiese Rachele, sedendosi sul divano.

«Penso che abbiamo mostrato chi siamo davvero,» rispose Luca. «Adesso tocca a loro capire se riescono a vederlo.»

Due giorni dopo, arrivò un’altra convocazione: questa volta dal consiglio di amministrazione.

«Luca,» disse il presidente, il signor Bianchi, seduto all’estremità del lungo tavolo, «abbiamo qualche preoccupazione sulla tua… concentrazione.»

Una delle consigliere, la signora Serra, incrociò le braccia, con un sorriso freddo.

«Da quando hai preso in casa questa famiglia,» disse, «hai saltato diverse riunioni, hai rimandato una trattativa importante, hai cambiato orari senza avvisare. Alcuni azionisti sono inquieti.»

Luca inspirò lentamente.

«Avete letto gli ultimi bilanci?» chiese, calmo.

«Li abbiamo letti, sì,» rispose Serra. «Sono buoni. Ma la domanda è: per quanto?»

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