Le luci tiepide della caffetteria si riflettevano sui vetri mentre Marco Conti sedeva da solo a un tavolino d’angolo, vicino alla finestra, guardando l’orologio per la terza volta in dieci minuti. A 34 anni aveva già fatto abbastanza appuntamenti al buio per capire quando stava per essere piantato in asso. E quella sera, purtroppo, sembrava proprio una di quelle.
Era stato il suo socio a insistere per organizzare l’incontro, ripetendo che Marco doveva smetterla di lavorare ottanta ore alla settimana e ricominciare a conoscere qualcuno. La donna, secondo il socio, era gentile, sincera, “proprio quello che ti serve”. Ma ormai erano passati venti minuti dall’orario concordato e la sedia di fronte a lui era ancora vuota.
Marco stava per chiamare il cameriere per pagare e andarsene, quando notò una piccola figura avvicinarsi al suo tavolo. Una bambina di tre o quattro anni, con i riccioli biondi raccolti da un fiocco rosa e un vestitino rosa. Camminava con la determinazione di chi ha una missione da compiere, zigzagando tra i tavoli finché non si fermò proprio accanto a lui.
«Mi scusi,» disse con una cortesia perfetta. «Lei è il signor Marco?»
Marco rimase interdetto. «Sì, sono io. E tu chi sei?»
«Io sono Emma,» rispose seria. «La mia mamma mi ha mandato a dirle che chiede scusa per il ritardo. Sta parcheggiando la macchina e arriva subito. Mi ha detto di dirle che è davvero, davvero dispiaciuta e spera che lei non sia andato via.»
Il fastidio di Marco svanì all’istante, sostituito da un sorriso e da una certa curiosità. «La tua mamma ti ha mandato qui da sola a cercarmi?»
Emma annuì. «Mi ha fatto vedere la sua foto sul telefono così io sapevo com’era la sua faccia. Mi ha detto che sarebbe stato seduto vicino alla finestra, con la candela sul tavolo, e infatti eccola qui.» Sembrava molto orgogliosa del suo lavoro da detective.
«Be’, mi hai trovato,» disse Marco, divertito. «Vuoi sederti un attimo mentre aspettiamo la tua mamma?»
Emma si arrampicò con qualche difficoltà sulla sedia di fronte a lui, e Marco trattenne l’istinto di aiutarla: capiva che lei voleva farcela da sola. Una volta sistemata, intrecciò le mani sul tavolo e lo fissò con occhi seri.
«La mamma dice che non devo parlare con gli sconosciuti,» disse. «Però ha detto che lei non è uno sconosciuto. Lei è il suo amico, signor Marco, quindi va bene.»
«Tua mamma è molto saggia,» rispose lui. «E ha ragione. Se ti ha mandato lei, allora non sono proprio uno sconosciuto.»
«Lei si deve sposare con la mia mamma?» chiese Emma, con quella franchezza che solo i bambini hanno.
Marco quasi si strozzò con l’acqua che aveva appena bevuto. «Come, scusa?»
«Si deve sposare con la mia mamma?» ripeté paziente. «Perché la signora Rinaldi, la nostra vicina, ha detto che la mamma deve trovare un marito, e la mamma ha detto che ci sta provando, ma è difficile con una bambina perché certi uomini non amano i bambini. A lei piacciono i bambini?»
Marco fu salvato dal dover rispondere dall’arrivo di una donna che si avvicinò al tavolo quasi di corsa, leggermente senza fiato e visibilmente imbarazzata. Era molto carina, probabilmente sui trent’anni, con gli stessi capelli biondi della figlia e un’espressione di sincero orrore.
«Emma, ti avevo detto di aspettarmi vicino alla porta, non di venire a cercarlo da sola!» La donna si voltò verso Marco, le guance arrossate. «Mi scusi tantissimo. Io sono Chiara. E questa è mia figlia Emma, che evidentemente non ascolta le istruzioni. Le ho detto di aspettare mentre la cercavo, ma è molto indipendente.»
«L’ho trovato io, mamma,» disse Emma orgogliosa. «E gli ho detto che tu sei dispiaciuta per il ritardo.»
«Sì, tesoro, sei stata molto brava. Ma non dovevi venire da sola.» Chiara guardò Marco con occhi pieni di scuse. «Mi dispiace davvero. Trovare parcheggio è stato un incubo e poi non capivo come funzionava il parchimetro e, quando sono entrata, Emma aveva già deciso di arrangiarsi da sola.»
«Va benissimo,» disse Marco, rendendosi conto che lo pensava davvero. «Emma è stata molto educata. Ha portato il messaggio alla perfezione. Si sieda, per favore.»
Chiara si sedette, facendo spostare Emma accanto a sé invece che di fronte a Marco. «Avrei dovuto dirle che ho una figlia quando abbiamo accettato di vederci. È stato poco onesto da parte mia. Capisco benissimo se lei adesso preferisce andare via.»
«Perché dovrei voler andare via?» chiese Marco.
«Perché la maggior parte degli uomini lo fa quando scopre di Emma,» rispose piano. «Ho imparato a dirlo subito ormai, ma il suo socio era così entusiasta di presentarci, e io volevo solo una sera in cui non venissi giudicata come “mamma sola” ancora prima che qualcuno mi conoscesse.»
Marco guardò Emma, che osservava la scena con attenzione, poi guardò Chiara, che sembrava pronta a essere rifiutata. Pensò a come quella bambina aveva attraversato da sola una caffetteria piena di sconosciuti per trovarlo, a quanto era stata educata e sicura di sé, e a come Chiara aveva cresciuto una figlia capace di fare tutto questo.
«Penso che chi la giudica per il fatto che è madre si perde qualcosa di davvero speciale,» disse Marco. «Emma è chiaramente una bambina meravigliosa, e questo parla molto bene di lei.»
Gli occhi di Chiara si velarono di lacrime. «È la cosa più gentile che qualcuno mi abbia detto da molto tempo.»
Ordinarono la cena e quello che poteva essere un incontro imbarazzante diventò, piano piano, una serata bellissima. Emma chiacchierava felice del suo asilo, dei suoi giochi, dei cartoni animati che le piacevano, ogni tanto facendo a Marco domande che facevano ridere entrambi gli adulti. Chiara si rilassò man mano che il tempo passava, vedendo che Marco era davvero interessato a conoscere tutte e due.
«Emma prima mi ha chiesto se avevo intenzione di sposarti,» disse Marco durante il dolce, mentre la bambina era tutta concentrata a colorare il foglio che le aveva dato la cameriera.
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