La giovane sposa cambiava le lenzuola ogni giorno… finché la suocera alzò la coperta e vide il sangue sotto
Quando mio figlio Marco sposò Elisa, pensai davvero che le mie preghiere fossero state ascoltate. Lei era tutto ciò che una madre può desiderare per suo figlio: gentile, educata, paziente fino all’incredibile.
Si erano conosciuti all’università a Bologna e, dopo circa un anno insieme, Marco la portò a casa per presentarmela. Vivo in Emilia-Romagna, in una casa un po’ fuori dal centro, con un giardino grande e una piccola dependance sul retro. Dal primo momento, Elisa colpì tutti: parenti, vicini, persino la signora anziana della porta accanto che non era mai contenta di nessuno.
“Sei fortunata, Paola,” mi dicevano. “È una ragazza che terrà tuo figlio felice.” E io ci credevo.
Dopo il matrimonio, decisero di vivere nella dependance dietro casa mia: abbastanza vicini da potermi chiedere una mano, ma con la loro privacy. Sembrava tutto perfetto… tranne una cosa strana.
Ogni mattina, senza eccezioni, Elisa disfaceva il letto completamente. Lenzuola, federe, coperta: tutto finiva in lavatrice. A volte, ripeteva anche la sera. All’inizio pensai fosse solo molto fissata con la pulizia. Poi, con il passare delle settimane, iniziò a mettermi ansia.
Un giorno le chiesi con delicatezza:
“Elisa, cara… perché lavi la biancheria tutti i giorni? Ti stanchi così.”
Lei sorrise, mentre stendeva i panni con le mani ancora umide.
“Ma no, mamma Paola. È niente. Sono sensibile alla polvere. Con le lenzuola fresche dormo meglio.”
La voce era calma, ma nei suoi occhi passò un lampo… fragile, quasi spaventato. Volevo crederle. Però dentro di me sentivo che non era tutta la verità. Le lenzuola erano nuove, e nessuno in famiglia aveva allergie. Eppure, rimasi in silenzio.
Le settimane andavano avanti e la sua abitudine non cambiava mai.
Poi, un sabato mattina, feci finta di andare al mercato. Mi feci vedere mentre uscivo, salutai anche con un cenno dalla macchina. Ma invece di allontanarmi, parcheggiai dietro l’angolo e rientrai a piedi, passando dal cancelletto laterale.
Quando entrai nella dependance, mi bloccai. Nell’aria c’era un odore forte, metallico, difficile da spiegare. Mi avvicinai al letto e sollevai un lembo del lenzuolo.
Quello che vidi mi fece girare lo stomaco: macchie scure, profonde, come vecchie, penetrate nel materasso.
Sangue.
Mi scappò un respiro corto. Indietreggiai, con il cuore che batteva all’impazzata. Perché c’era così tanto sangue? La testa mi riempì di pensieri terribili. In cucina sentii Elisa che canticchiava piano, ignara di tutto. Le mani mi tremavano.
“Ma che cosa sta succedendo qui…?” sussurrai.
In quel momento capii una cosa: la mia nuora perfetta stava nascondendo qualcosa. E io dovevo scoprirlo.
Non la affrontai subito. Aspettai. Osservai.
E iniziai a notare dettagli che prima mi erano sfuggiti: Marco era più pallido, si muoveva più lentamente, e ogni tanto vedevo piccoli lividi sulle braccia. Elisa gli stava sempre vicino: premurosa, attenta, dolce in modo quasi disperato. Marco scherzava, provava a fare il normale, ma dietro il sorriso c’era qualcosa di vuoto… come se recitasse.
La settimana dopo non ce la feci più.
Entrai nella loro cucina una mattina e dissi, con la voce che mi tremava:
“Elisa, dobbiamo parlare. Adesso.”
Lei sgranò gli occhi, ma annuì. La portai in camera, aprii il cassetto del comodino e le mostrai ciò che avevo visto tempo prima: bende, flaconi di disinfettante, garze… e una maglietta irrigidita da macchie secche.
Il suo viso diventò bianco.
“Elisa,” le dissi piano, “dimmi la verità. Marco ti sta facendo del male? Sei tu che sei ferita?”
Lei rimase ferma un istante, poi le lacrime le scesero senza controllo.
“No, mamma Paola… non è come pensi.” La voce le si spezzò. “Marco è malato.”
Sentii l’aria uscirmi dai polmoni.
“Malato… in che senso?”
Lei abbassò lo sguardo e sussurrò:
“Leucemia. Combatte da mesi. I medici hanno detto che… non gli resta molto. Lui non voleva che lo sapessi. Diceva che ti saresti consumata dalla paura.”
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