Mi hanno mandato via dalla polizia per aver aiutato un padre a tornare a casa la vigilia di Natale, invece di rovinargli le feste per una stupida lampadina bruciata.
Ventitré anni di servizio senza una macchia, buttati via perché ho regalato a un tifoso con la macchina scassata una lampadina di scorta della pattuglia, invece di sequestrargli l’auto come voleva il regolamento.
Il comandante l’ha chiamato “favoreggiamento a un gruppo violento organizzato”, anche se l’unica colpa di quell’uomo era la povertà e una luce posteriore fulminata.
Ma quando quel tifoso ha saputo del mio licenziamento, ha fatto qualcosa per me che ha fatto piangere un uomo come me, uno che pensava di aver visto tutto, e mi ha fatto capire cosa significa davvero la parola “fratellanza” per certa gente che noi etichettiamo solo come “ultras”.
Il suo nome era Luca “Lupo” Ferri, e nonostante il soprannome da duro e la sciarpa della curva nord sempre al collo, era solo un operaio di magazzino distrutto da un turno di sedici ore, che cercava di tornare a casa dai figli prima di mezzanotte.
L’ho fermato alle 23:00 del 24 dicembre, sulla tangenziale che porta ai quartieri popolari della nostra città, San Corrado. In centrale avevamo circolari tutti i giorni: tolleranza zero con la curva, attenzione a “Lupo” e al suo gruppo, risse, fumogeni, problemi.
Onestamente, mi aspettavo di trovare droga, coltelli, bottiglie. Invece ho trovato un portapranzo di plastica, un panino avvolto nella stagnola, e un disegno di bambino attaccato con lo scotch al cruscotto: una figura con la giacca blu e un mantello, con scritto in stampatello storto: “PAPÀ SUPEREROE”.
Quando gli ho fatto segno di accostare, ha tenuto subito le mani sul volante, le dita che tremavano.
«Agente, lo so che non sembro proprio uno stinco di santo» ha detto, senza guardarmi. «Ma ho appena finito il doppio turno al deposito. I miei bambini sono a casa che mi aspettano. Sono tre giorni che li vedo solo mentre dormono.»
La luce posteriore destra era completamente morta. Per legge, avrei dovuto fargli la multa, segnalarlo e far portare via l’auto col carro attrezzi. Il comandante era stato chiarissimo: nessuna eccezione per “quelli della curva”, in nessuna circostanza.
Però quel disegno sul cruscotto mi ha colpito allo stomaco. Mia figlia, quando era piccola, attaccava i suoi disegni sul frigorifero con la stessa testardaggine. E io ho fatto tanti turni doppi, negli anni.
«Apri il bagagliaio» gli ho detto.
Mi ha guardato come se stessi per ribaltargli la vita. Ma ha obbedito, rassegnato. Nel baule c’erano solo cassette di plastica vuote e una busta con un panettone da offerta speciale del supermercato.
Sono andato alla pattuglia, ho preso una delle lampadine di scorta dal kit di riparazione d’emergenza e in cinque minuti gli ho sistemato la luce.
«Buon Natale» gli ho detto, chiudendo il bagagliaio. «Vai piano e torna a casa dai tuoi.»
Il sospiro di sollievo che ha tirato valeva qualunque richiamo mi sarei preso il giorno dopo. O almeno così pensavo.
Tre giorni dopo, ero nell’ufficio del comandante.
«Ispettore Rinaldi, vuole spiegarmi questo?» Il comandante Serra ha lanciato sul tavolo una fotografia stampata – fotogrammi delle telecamere di sorveglianza stradale: io, in uniforme, chinato sulla macchina di Luca mentre cambiavo la lampadina.
«Comandante, era la vigilia di Natale. L’uomo non aveva precedenti, veniva da lavoro…»
«L’uomo è uno dei capi dei tifosi della curva! Lei ha letto le disposizioni?»
«È un padre che lavora in magazzino, non un criminale organizzato.»
«Non mi interessa se alla domenica va a messa o se salva i gattini dagli alberi. Lei ha ceduto materiale di proprietà comunale a un soggetto schedato come appartenente a gruppo violento. Questo è favoreggiamento.»
«Era una lampadina da tre euro!» ho sbottato.
«Era un tradimento del suo giuramento. È sospeso in via cautelare, in attesa di indagine disciplinare.»
L’indagine è stata una farsa. Avevano già deciso. Ventitré anni di servizio, encomi, notti passate a parlare con persone salite sui ponti con l’intenzione di buttarsi, donne protette da mariti che le picchiavano, ragazzini riportati a casa invece che in questura… cancellato tutto per una lampadina.
La lettera di licenziamento è arrivata il 15 gennaio. Motivo ufficiale: “appropriazione indebita di beni comunali e comportamento non consono, con specifico riferimento a supporto materiale a soggetto appartenente ad ambiente violento”.
Nel giro di un mese mi sono ritrovato sulla lista nera di tutti i comandi nel raggio di centocinquanta chilometri. Cinquantadue anni, un mutuo sulle spalle, due figli all’università. L’unico mestiere che sapevo fare, cancellato con una firma.
È lì che le cose hanno preso una piega che non avrei mai immaginato.
Ero seduto da solo al bancone di un bar di periferia, il “Tre Scalini”, al terzo whisky che guardavo senza davvero berlo, chiedendomi come avrei detto a mia moglie che forse avremmo perso la casa.
La porta si è aperta e l’aria fredda è entrata insieme a un mare di sciarpe e giacconi imbottiti. Una ventina di uomini sono entrati in fila, alcuni col cappuccio, altri con i cappelli di lana della curva. Davanti a tutti, Luca “Lupo”.
La mano mi è andata d’istinto verso il fianco. Non avevo più la pistola, ma è un gesto che non ti togli di dosso.
«Tranquillo, Ispettore» ha detto Luca, alzando le mani in segno di pace. «Siamo venuti per darti una mano, non per cercare guai.»
«Non ho bisogno del vostro aiuto» ho risposto secco.
«No? E come va la ricerca di lavoro?» ha chiesto, senza aggressività, solo con quella sincerità spietata di chi vive in quartiere.
Si è seduto senza chiedere permesso e mi ha fatto scivolare davanti un tablet.
Sul display c’era un articolo di un giornale locale: “Ispettore licenziato per un gesto di gentilezza la vigilia di Natale”. Sotto, centinaia di commenti.
«Non siamo stati noi a far uscire la storia» ha detto Luca. «Ma qualcuno l’ha fatto. Il problema è che adesso il comandante Serra sta raccontando in giro che eri corrotto. Che prendevi soldi da noi.»
Mi si è accesa una rabbia antica nello stomaco. «Non ho mai preso un centesimo da nessuno. Mai.»
«Lo so» ha risposto Luca. «E loro lo sanno. È per questo che siamo qui.»
Ha fatto un cenno agli altri. Alcuni hanno tirato fuori delle cartelline di cartone consumate.
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