Madre single ospita 25 motociclisti infreddoliti. Tre giorni dopo 1.500 moto si fermano davanti a casa sua…

— Grazie, davvero.

Keisha corse in bagno, prese la scatola di pronto soccorso: disinfettante, garze, cerotti, qualche benda. Tornò da Daniele, che tremava sia per il freddo che per il dolore.

Si inginocchiò accanto a lui.

— Sarà un po’ doloroso — disse piano. — Ma dobbiamo pulire bene.

Lui annuì, serrando i denti.

Mentre Keisha lavorava sulla ferita, la casa si riempì di movimenti misurati. Alcuni uomini andarono in cucina, guardarono ciò che c’era in dispensa.

— Signora… ehm, Keisha, giusto? — chiese uno con accento del Sud. — Se lei è d’accordo, possiamo cucinare qualcosa per tutti. Abbiamo scorte nei borsoni. E vedo che qui non manca il talento.

Lui annusò l’aria, sorridendo.

Keisha, senza alzare la testa dal ginocchio di Daniele, fece un cenno.

— Sì… Ho ingredienti per cucinare. Stavo provando ad aprire un piccolo ristorante in casa. Ma… non è andata benissimo.

Mike, che osservava la scena, inarcò le sopracciglia.

— Ristorante? Che tipo di cucina?
— Cucina di mia madre. Pollo fritto, piatti caldi. Cibo che sa di casa.

Il volto di un altro motociclista, un uomo sui sessant’anni con i capelli grigi e gli occhi dolci, si illuminò.

— Allora siamo nel posto giusto — disse. — Io sono Tommaso. Ho tre nipotini. E ti dico già che il pollo fritto è la mia specialità… nel mangiarlo.

Risero in molti, e quella risata ruppe qualcosa nell’aria: una tensione sottile, la paura.

Keisha finì di fasciare la gamba di Daniele con cura.

— Sei bravo in queste cose — mormorò lui, con un filo di voce.
— Mia madre era infermiera prima di aprire la trattoria — spiegò Keisha. — Mi ha insegnato un po’ di tutto.

Quando si rialzò, trovò Marco che la fissava dal suo castello di coperte, con occhi enormi. Uno dei motociclisti gli faceva una buffa smorfia, e il bambino, invece che piangere, rideva.

Il contrasto tra quei giganti in pelle nera e il suo bambino piccolo faceva un certo effetto. Ma niente, in quel momento, sembrava pericoloso. Solo… improvvisamente umano.

In cucina, intanto, era scoppiata un’attività febbrile.
Due uomini stavano tagliando verdure, un altro mescolava in una pentola, altri prendevano pane e scatolame dalle loro borse.

Il profumo tornò a riempire la casa.
Non era più solo quello del pollo di Keisha, ma un miscuglio di spezie, soffritto, carne che sfrigolava.

Quando finalmente si sedettero per mangiare, il salotto era pieno: alcuni per terra con piatti sulle ginocchia, altri appoggiati alle pareti, qualcuno su una sedia pieghevole. Marco, sul seggiolone, guardava tutti come se fosse lo spettacolo più bello del mondo.

Mike si schiarì la voce.

— Keisha, credo che sia giusto che sappia chi siamo — disse. — Così, per tranquillità.

Lei annuì, stringendo tra le mani una tazza di brodo caldo.

— Molti di noi sono ex militari — spiegò Mike. — Siamo stati in missione all’estero. Tornare alla vita “normale” non è stato facile. Così abbiamo creato questo gruppo. Non una banda, non una cosa criminale. Una fratellanza.

Tommaso aggiunse:

— Ci chiamiamo “Fratelli della Strada”. Giriamo l’Italia, ci aiutiamo tra noi e facciamo un po’ di bene dove possiamo: raccolte di cibo, giocattoli per i bambini, lavori di volontariato.

Un altro motociclista, Giacomo, annuì:

— La gente ci vede in moto, con le giacche di pelle, e pensa subito al peggio. Ma noi abbiamo solo trovato una famiglia nuova, dopo quella che abbiamo perso in altri modi.

Mentre parlavano, Keisha sentiva dentro di sé una strana sensazione di riconoscimento.
Capiva quel sentirsi giudicati al primo sguardo.

— So cosa significa — disse piano, quando fu il suo turno. — La gente mi vede, vede mio figlio, vede questa casa… e crede di sapere già tutto. Una madre single, problemi, forse è “sbagliata”. Nessuno si chiede cosa c’è dietro.

Nessuno parlò per qualche secondo.
Si sentiva solo il rumore delle posate e il vento lontano.

Gli occhi di Mike si fecero lucidi.

— Avevo una figlia — disse, all’improvviso. — Si chiamava Emma. Sei anni, trecce bionde, un sorriso che ti toglieva il respiro.

Si fermò un istante, la voce rotta.

— La leucemia se l’è portata via, tre anni fa. Abbiamo lottato per diciotto mesi. Cure, ospedali, speranze. Poi… basta.

Alcuni uomini abbassarono lo sguardo.
Non era una storia che sentivano spesso da lui.

— Mia moglie non ha retto — continuò Mike. — Mi ha accusato di non aver fatto abbastanza, di non aver guadagnato abbastanza, di non aver trovato le cure giuste. Alla fine se n’è andata. Quando guardava me, vedeva solo la mancanza di nostra figlia.

Si passò una mano sul volto.

— La casa era vuota. Il silenzio faceva più rumore di qualsiasi moto. Allora ho ricominciato a girare. Ho trovato questi uomini. Loro… sono l’unica famiglia che mi è rimasta.

Keisha sentì un nodo alla gola.

— Mi dispiace — disse, sinceramente. — Io… non ho perso un figlio. Ma il padre di Marco se n’è andato così. Un giorno c’era, il giorno dopo era sparito. E di colpo tutto era sulle mie spalle.

Si guardarono per un lungo attimo.
Due persone molto diverse, ma con ferite simili.

Il tempo passò così, tra piatti caldi, storie di vita, qualche risata inaspettata.
Fuori la bufera continuava, ma dentro la casa, per la prima volta dopo molto tempo, Keisha non si sentiva sola.

Più tardi, quando la notte si fece profonda, qualcosa cambiò.

Daniele cominciò a muoversi inquieto sul divano.
Sudava, nonostante il freddo. La fronte gli bruciava.

Mike gli toccò la pelle, preoccupato.

— È bollente — disse forte, e la stanza si zittì all’istante. — Ragazzi, sveglia. Non va bene.

Tutti si avvicinarono. Quelle stesse persone che non avevano avuto paura della neve, della strada ghiacciata, di kilometri in moto, improvvisamente sembravano smarrite davanti a una febbre alta.

— Lo portiamo in ospedale? — propose Giacomo.
— Le strade sono bloccate — rispose un altro. — Non arriviamo da nessuna parte.

Tommaso si chinò, preoccupato.

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