Madre single ospita 25 motociclisti infreddoliti. Tre giorni dopo 1.500 moto si fermano davanti a casa sua…

— Non è solo un po’ di febbre. Così l’ho visto solo in missione, quando qualcuno aveva infezioni brutte…

Per la prima volta, Keisha vide la paura nei loro occhi.
Uomini abituati alle emergenze, improvvisamente impotenti.

Fece un passo avanti.

— Posso provare ad aiutarlo io.

Ventiquattro sguardi si girarono verso di lei, tutti insieme.

— Davvero sai cosa fare? — chiese Mike, con una speranza quasi evidente.
— Mia madre mi ha insegnato come gestire febbri alte, come raffreddare il corpo, come evitare che peggiori — spiegò Keisha. — Non sono un medico, ma è sempre stato il mio “lavoro” quando qualcuno stava male in casa.

Tommaso deglutì.

— Ti prego, prova. Non sappiamo da che parte cominciare.

Keisha non perse tempo.
Prese una bacinella, la riempì di acqua tiepida, cercò tutti gli asciugamani e i panni puliti che aveva. Iniziò a bagnare la fronte di Daniele, il collo, i polsi.

— Daniele, mi senti? — chiese, con quella voce dolce che usava con Marco quando aveva la febbre. — Sei al sicuro. Sei a casa mia. I tuoi amici sono qui.

Lui aprì appena gli occhi.

— Mamma…? — mormorò, confuso.

Keisha, senza pensarci, gli prese la mano.

— Sono qui, tesoro. Riposa. Ci penso io.

Passarono ore così.
Lei cambiava panni, gli dava piccoli sorsi d’acqua, controllava il respiro, la temperatura. I motociclisti la guardavano quasi con reverenza, facendo silenzio, passando ciò che chiedeva.

Verso le tre del mattino, la febbre cominciò a scendere.
Il respiro di Daniele si fece più regolare, il colore tornò un po’ sulle guance.

Keisha gli toccò la fronte un’ultima volta e sorrise, stremata.

— Sta andando meglio — annunciò. — Adesso deve solo dormire.

Un sospiro di sollievo attraversò la stanza, come un’onda.

Mike la guardò come se la vedesse davvero per la prima volta.

— Gli hai salvato la vita — disse piano. — Non lo diciamo per dire. Non avremmo saputo cosa fare.

Keisha scosse la testa.

— Voi avete salvato la mia — rispose. — Non lo sapete, ma prima che arrivaste mi sentivo… finita. Invece stasera mi sono sentita utile. Dentro e fuori.

All’alba, la bufera cominciò finalmente a calmarsi.
Il vento diminuì, la neve cadde più leggera.

I Fratelli della Strada iniziarono a organizzarsi per ripartire. Rimettere in moto 25 moto dopo una notte così non era cosa da poco, ma la disciplina che avevano mostrato in casa si ripeté fuori: ognuno sapeva cosa fare.

Keisha preparò del caffè con l’acqua rimasta, qualche uovo strapazzato, pezzi di pane tostato. Un’ultima colazione improvvisata.

Quando uscivano, uno per uno, si fermavano da lei: una stretta di mano, un abbraccio, un “grazie”, uno sguardo che diceva molto più delle parole.

Marco stava in braccio a Tommaso, che faticava a staccarsene.

— Torno a trovarti, ometto — gli promise. — Vedrai che ti porto un caschetto finto, così fai finta di guidare anche tu.

Marco rise, aggrappato alla pelle della sua giacca.

L’ultimo, naturalmente, fu Mike.

Le si avvicinò con un’espressione seria, tirò fuori una busta dalla tasca della giacca e gliela porse.

— Questo è per te.

Keisha scosse la testa, immediatamente.

— Non posso accettare. Vi ho solo dato un tetto e un po’ di aiuto.
— Non è carità — disse lui, piano ma fermo. — È pagamento per lavoro. Hai curato il nostro amico, ci hai fatto mangiare, ci hai salvato la vita in una bufera. Noi non lasciamo debiti in sospeso.

Lei cercò di restituire la busta.
Mike incrociò le braccia.

— Accettala, Keisha. Un ristorante non si apre con l’aria. E tu devi aprirlo. Il tuo cibo… e il tuo cuore… non possono restare nascosti qui dentro.

Si guardarono un ultimo istante.

— Non ci dimenticheremo di te — aggiunse, mettendole una mano sulla spalla. — E tu non dimenticarti che, ovunque vedi il nostro simbolo, hai dei fratelli.

Poi indossò il casco, montò sulla moto, fece cenno agli altri.

Venticinque motori si accesero insieme.
Il rombo riempì la strada, poi si allontanò lentamente, fino a diventare un brusio lontano, poi nulla.

Keisha rimase sulla soglia, con Marco in braccio e la busta in mano, a guardare il punto dove le moto erano scomparse.

Dentro la busta, più tardi, trovò più soldi di quanti ne avesse visti insieme negli ultimi mesi.
Abbastanza per pagare l’affitto in arretrato, riempire il frigorifero, forse aggiustare la caldaia.

Ma quello che la colpì di più fu il biglietto, scritto con una calligrafia sorprendentemente ordinata:

“Per Mamma Keisha,
che ci ha fatto sentire a casa quando eravamo in mezzo alla tempesta.
I Fratelli della Strada non dimenticano.
— Mike”

Per la prima volta dopo tanto tempo, Keisha andò a dormire pensando che forse, davvero, il giorno dopo poteva essere meglio di quello appena passato.


I giorni seguenti furono strani.

La casa, senza quei corpi grandi e le loro voci profonde, sembrava enorme. Vuota. Il silenzio pesava quasi quanto il freddo.

Keisha usò parte dei soldi per riaccendere la luce, comprare medicine, riempire la dispensa.
Riappese il cartello “Cucina di Mamma Keisha” alla finestra.

Ma nessuno entrava.

Il profumo del pollo fritto tornò a girare per la cucina.
Girava solo lì, però. Nessuno lo seguiva fino alla porta.

Marco, nel frattempo, si beccò un raffreddore. Tossiva, aveva il naso che colava e poca voglia di mangiare.

Un pranzo, due, tre, in cui spingeva via il piattino quasi pieno.

Keisha iniziò a preoccuparsi.
Non tanto per la malattia in sé, ma perché, ancora una volta, i soldi non bastavano per tutto.

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