Mi ha schiaffeggiata davanti a tutti al matrimonio, ma quello che ho fatto dopo ha cambiato ogni cosa

Giulia insistette per fare da mia testimone.

«Diventeremo sorelle» disse stringendomi la mano con una forza inattesa.
«È giusto che siamo vicine.»

Volevo crederle.
Ci provai davvero.
Ma a ogni prova dell’abito, a ogni assaggio di torta, a ogni incontro con un fornitore, la sorprendevo a guardarmi con quegli occhi freddi.

E a volte, quando pensava che non la vedessi, si chinava verso Lorenzo e gli sussurrava qualcosa all’orecchio.
La sua espressione si scuriva per un istante, poi tornava il sorriso di sempre.

«Che cosa ti dice continuamente?» gli chiesi un giorno, dopo una riunione particolarmente tesa con il fiorista.

«Niente di importante» rispose. «È solo stressata per la sua vita. Non darle peso.»

Ma io gliene davo.
Quelle parole invisibili mi entravano sotto pelle, come una scheggia che non riesci ad estrarre.


Tre mesi prima del matrimonio scoprii di essere incinta.

Feci il test nel bagno dell’ufficio, le mani che tremavano così tanto da malapena riuscire a tenere il bastoncino fermo.
Due linee rosa. Inconfondibili.

Portavo dentro di me il figlio di Lorenzo.

Il momento non era quello “giusto”.
Avevamo detto che avremmo aspettato almeno un anno dopo le nozze.
Che avremmo sistemato prima la casa, il lavoro, i progetti.

Ma la vita, a quanto pare, non legge mai i nostri programmi.

Decisi di dirglielo quella sera a cena.
Avevo comprato una minuscola tutina bianca, con sopra scritto “Vale l’attesa”, l’avevo avvolta nella carta velina.
Ero nervosa, ma felice.
Dentro di me cresceva il nostro futuro.

Quel bambino era la prova che qualcosa di buono poteva nascere anche da una storia costruita sul dolore.

Arrivai a casa sua in anticipo, usando la copia delle chiavi che lui mi aveva dato.
Le luci erano spente, ma dalla camera da letto venivano delle voci.

La sua. E un’altra femminile.

Il cuore mi andò in gola.
Per un attimo terribile pensai…
Ma poi riconobbi la seconda voce.

Giulia.

Mi avvicinai piano, senza voler davvero origliare, ma incapace di fermarmi.
La porta della camera era socchiusa.
Attraverso la fessura li vidi seduti sul bordo del letto, di spalle.

«Devi dirglielo prima del matrimonio» stava dicendo Giulia.
«Non è giusto farla entrare in questa storia al buio.»

«Non ce la faccio» rispose Lorenzo, con la voce impastata. Di colpa? Di paura?
«Se lo scopre, se ne andrà.»

«Forse è quello che dovrebbe fare. È un disastro annunciato e lo sai.»

«Io la amo.»

«Davvero?» La voce di Giulia era acida.
«O ami l’idea che ti sei fatto di lei? La povera orfanella spezzata che ti guarda come se fossi il suo salvatore.»

Trattenni il respiro.

«Ma io ho controllato, Lorenzo. Ho visto i suoi trascorsi.»
Fece una pausa che mi sembrò lunga un’eternità.
«Vecchi debiti di carte di credito, prestiti mai saldati, un piccolo fallimento quando aveva ventidue anni.»

«Non è più quella persona.»

«Ne sei sicuro? Sveglia. Ha visto in te una via d’uscita. Stabilità. Sicurezza. Tu vedi amore, io vedo convenienza.»

«Non osare paragonarla a mamma» esplose lui.

Silenzio.
Poi la voce di Giulia, più bassa, più tagliente.

«Cerco solo di proteggerti. Sai cos’è successo a papà dopo che mamma è morta. Come quella donna è entrata nella sua vita fingendo di amarlo e se n’è andata con metà di quello che aveva.»
Sospirò. «Non permetterò che succeda anche a te.»

Avevo una mano sulla bocca, a tenere dentro un suono che era metà singhiozzo, metà gemito.

Sì, in gioventù avevo avuto problemi di soldi.
Conti in rosso, scelte sbagliate, fiducia data alle persone sbagliate.
Ma ne ero uscita, lentamente e con fatica.

E non avevo mai, mai guardato Lorenzo come un bancomat.

O almeno credevo di no.

Il dubbio mi scivolò dentro come gas velenoso.
E se, sotto sotto, una parte di me fosse stata attratta anche dalla sicurezza che lui rappresentava?
Dal fatto che con lui non avrei più dovuto contare ogni centesimo?

Amavo Lorenzo.
Lo amavo per chi era, non per quello che possedeva.
Ma lì, nel buio del corridoio, mentre li sentivo sezionare la mia vita come un bilancio da controllare, qualcosa dentro di me si spezzò.

Qualcosa che non sapevo nemmeno fosse fragile, finché non andò in frantumi.

Mi allontanai in silenzio.
Uscì dall’appartamento.
La tutina restò nella mia borsa, il nostro segreto chiuso nel mio ventre e nella mia gola.

Non gli dissi mai quello che avevo sentito.
Mi ripetevo che ero troppo sensibile, che avevo frainteso.
Ma le parole mi rimbalzavano in testa per settimane.

«Ti sta usando.»
«La sua vita patetica.»
«Proprio come mamma.»


I preparativi del matrimonio entrarono in una fase di frenesia.

Le nausee mattutine peggioravano, ma le attribuivo ai nervi davanti a tutti.
Sorridevo alle prove generali, alla cena con i parenti arrivati da fuori, ai mille dettagli da sistemare.

Lorenzo era sempre più distratto.
Lavorava fino a tardi, rispondeva a telefonate in un’altra stanza.
A volte lo sorprendevo a fissarmi con un’espressione che non capivo, come se stesse cercando di risolvere un enigma.

«Sei felice?» gli chiesi una notte, una settimana prima del matrimonio.

Eravamo a letto, al buio, la città che brillava dietro le finestre.

Si voltò verso di me.
«Che razza di domanda è?»

«Una domanda sincera. Sei felice? Di noi. Di sposarmi.»

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