Stette zitto troppo a lungo.
«Ti amo» disse finalmente.
Che non era la stessa cosa che «sì».
Avrei voluto incalzarlo, pretendere una risposta vera.
Ma avevo paura di quello che avrei potuto sentirmi dire.
Così ingoiai quella domanda, insieme a tutte le altre che non avevo il coraggio di pronunciare.
La festa di addio al nubilato organizzata da Giulia sembrava più un interrogatorio che una celebrazione.
Le zie, le cugine, le amiche di famiglia di Lorenzo mi tempestavano di domande sul mio passato, sulla mia famiglia, sul mio lavoro, sui miei “progetti futuri”.
A un certo punto, qualcuno fece scivolare la domanda:
«Avete scelto la separazione dei beni, vero? È la cosa più saggia, al giorno d’oggi.»
Quando risposi che non ne avevamo parlato, nella stanza calò un silenzio imbarazzato.
Giulia sorrise.
«Che moderni che siete» disse.
Ma i suoi occhi dicevano tutt’altro.
Quella sera chiesi a Lorenzo dell’argomento.
«Giulia ha accennato a un accordo… non so, qualcosa tipo un contratto patrimoniale prima del matrimonio» dissi con cautela.
«Vuoi che ne parliamo?»
Si irrigidì.
«L’avvocato di famiglia l’ha suggerito» ammise. «Ma ho detto di no. Non voglio iniziare un matrimonio dando per scontato che finirà.»
«Se ti farebbe sentire più tranquillo…»
«Ho detto di no.»
La sua voce fu tagliente. Poi, più piano: «Mi fido di te.»
Ma era vero?
O cercava solo di convincersi?
Il dubbio ormai era una creatura viva nel mio stomaco, avvolta intorno al bambino che cresceva dentro di me.
La mattina del matrimonio fu un caos avvolto in seta e pizzo.
Le mie amiche correvano avanti e indietro, la parrucchiera e la truccatrice mi giravano intorno come api.
L’abito, un lungo modello avorio con strascico e ricami delicati, pendeva dalla porta come il fantasma di una vita che non avevo ancora.
Mi svegliai nauseata, più del solito.
Riuscii appena ad arrivare in bagno prima di rimettere quel poco che avevo mangiato.
«Sono i nervi» disse una delle damigelle.
Non erano i nervi.
Era nostro figlio che faceva sentire la sua presenza.
E io ancora non avevo trovato il coraggio di dirlo a Lorenzo.
La cerimonia si sarebbe tenuta alle tre del pomeriggio, nel giardino della villa di famiglia dei Rinaldi, sulle colline fuori città.
Prato curato, alberi secolari, vista sulla valle: sembrava uscita da una cartolina.
Duecento invitati.
Un quartetto d’archi.
Fiori ovunque.
Era tutto ciò che avevo sognato da ragazzina.
E in qualche modo tutto ciò che, da adulta, non desideravo più.
Giulia venne a trovarmi in camera circa un’ora prima della cerimonia.
Indossava il suo abito da testimone, di un bordeaux profondo che le faceva risaltare la pelle chiarissima.
«Sei bellissima» disse.
Ma il complimento suonò vuoto.
«Grazie.»
Si avvicinò allo specchio, guardando il nostro riflesso.
«Posso dirti una cosa? Da sorella a sorella» disse, posando le mani sulle mie spalle.
Lo stomaco mi si strinse.
«Certo.»
«Lorenzo ha passato tanto» iniziò. «La morte di nostra madre ha quasi distrutto nostro padre. È diventato sospettoso, convinto che ogni donna volesse solo i suoi soldi.»
Fece una pausa. «Quella paranoia lo ha avvelenato. Lo ha reso duro, cattivo.»
I nostri sguardi si incrociarono nello specchio.
«Lorenzo ha il terrore di diventare come lui. Di essere usato.»
«Io non lo sto usando» dissi piano.
«Io lo so. E tu lo sai.»
Sorrise, stringendomi un po’ le spalle.
«Ma Lorenzo… è complicato. Abbi pazienza con lui. E capisci che se a volte sembro dura è solo perché cerco di proteggerlo.»
«Questo è quello che fa la famiglia.»
Un’ultima stretta, un profumo costoso, freddo come rose d’inverno.
Poi uscì, lasciandomi sola con il riflesso di una sposa che non sapeva più se stava andando incontro a un sogno o a una trappola.
La musica iniziò.
Le porte si aprirono.
Scesi verso il giardino al braccio di mio zio Paolo, il fratello di mia madre, l’ultima famiglia che mi restava.
Lorenzo mi aspettava in fondo al corridoio di sedie bianche, in smoking nero, bello come tutte le immagini che una ragazza può farsi dell’uomo che sposerà.
La luce del tardo pomeriggio gli accendeva i capelli di riflessi dorati.
I suoi occhi erano fissi nei miei.
Per un momento, solo per un momento, tutto il resto scomparve.
Questo è reale, pensai.
Lo stiamo facendo davvero.
La cerimonia fu tradizionale.
Si parlò di amore, di fedeltà, di sostegno reciproco.
Scambiammo gli anelli.
Lui sollevò il velo.
«Vi dichiaro marito e moglie.»
Mi baciò.
Gli invitati applaudirono.
Nella mia bocca sentii il gusto salato delle lacrime. Non sapevo se erano le sue o le mie.
Tornammo giù lungo il corridoio insieme, mano nella mano, mentre i petali di rosa cadevano come neve leggera.
Tutti sorridevano.
I flash dei telefoni lampeggiavano.
Era tutto “perfetto”.
Per gli altri.
Il ricevimento in giardino iniziò con l’ora dell’aperitivo.
La luce dorata della sera colorava tutto di ambra.
I camerieri giravano con vassoi di spumante e stuzzichini.
Gruppi di persone ridevano, chiacchieravano, brindavano.
Clicca il pulsante qui sotto per leggere la prossima parte della storia. ⏬⏬






