Mi ha schiaffeggiata davanti a tutti al matrimonio, ma quello che ho fatto dopo ha cambiato ogni cosa

Lorenzo ed io ci fermammo vicino alla fontana, a ricevere gli auguri.
I piedi mi facevano male nei tacchi, ma sorridevo.
La mano di lui era sulla mia schiena, calda, rassicurante.

«Mi allontano solo un attimo» mi disse, baciandomi la tempia. «Vado a parlare con papà.»

Lo seguii con lo sguardo mentre si avvicinava a suo padre, in fondo al prato.
Fu allora che vidi Giulia.

Gli si avvicinò, gli toccò il gomito, lo attirò un po’ in disparte, verso un cespuglio di rose.
Le sue labbra si muovevano veloci.
Aprì la borsa, tirò fuori un foglio piegato in quattro.

Glielo mise in mano.

Lorenzo lo aprì.
Lessi il cambiamento sul suo viso come si legge il cielo prima di un temporale.

Fu come vedere il ghiaccio formarsi sull’acqua.
Il suo sguardo si fece duro, la mascella tesa.
Le mani, quelle stesse mani che poche ore prima mi avevano sfiorata con tanta dolcezza, accartocciarono il foglio in una palla.

Alzò lo sguardo.
I suoi occhi cercarono i miei dall’altra parte del giardino.
E in quegli occhi non riconobbi più nessuno.

Cominciò a camminare verso di me.
La folla si apriva spontaneamente al suo passaggio.
C’era qualcosa nella sua espressione che faceva istintivamente indietreggiare le persone.

Il cuore mi batteva all’impazzata.
Non sapevo cosa stesse succedendo, ma sapevo che non era niente di buono.

«Lorenzo?»
La mia voce mi uscì più piccola di quanto volessi.

Si fermò davanti a me.
Così vicino che potevo sentire il profumo del suo dopobarba, lo spumante nel suo respiro.

«È vero?» chiese, con un tono basso e pericoloso.

«È vera cosa? Non capisco…»

La sua mano si mosse.
Veloce. Brutale.

Lo schiocco dello schiaffo rimbalzò nel giardino come un colpo di pistola.

Il dolore esplose sul lato sinistro del mio viso.
Barcollai, quasi caddi.
Il velo scivolò, il bouquet mi sfuggì di mano.

Il mondo si sfocò per un attimo.
Sentii la bocca riempirsi di sangue.
L’intero ricevimento cadde in un silenzio irreale.

Portai una mano sulla guancia in fiamme.
Alzai lo sguardo verso l’uomo che avevo appena sposato.

Non vidi mio marito.
Vidi uno sconosciuto.

«Come hai potuto?» La sua voce si spezzò. «Come hai potuto farmi questo?»

Non avevo idea di cosa stesse parlando.
La mente mi girava, cercando di afferrare almeno un pensiero lucido.

Mi aveva colpita.
In pubblico.
Il giorno del nostro matrimonio.

Alle sue spalle, Giulia si teneva una mano davanti alla bocca, gli occhi spalancati.
Ma dietro quello sguardo sconvolto c’era qualcos’altro.

Soddisfazione.

Gli invitati erano immobili.
Duecento persone pietrificate.

E allora capii.
Qualunque cosa fosse scritta su quel foglio, qualunque cosa Giulia gli avesse detto, era una menzogna.

Doveva esserlo.
Era per questo che mi teneva d’occhio da mesi.
Per questo sussurrava a suo fratello ogni volta che poteva.

Aveva orchestrato questo momento.

La rabbia che mi travolse fu più pulita di qualunque altro sentimento avessi mai provato.
Bruciò via il dolore, la confusione, la vergogna.

Lasciò solo chiarezza.

Mi raddrizzai.
Alzai il mento.
Guardai mio marito dritto negli occhi.

«Chiedimi cosa pensi che abbia fatto» dissi, con una voce che non sembrava neanche la mia, tanto era ferma.
«Dillo. Davanti a tutti.»

Il viso di Lorenzo era deformato dal furore.

«Lo sai benissimo cos’hai fatto.»

«Dillo.»

«I soldi. I conti all’estero. Hai rubato dalla mia azienda per un anno intero» sputò.
«Giulia mi ha mostrato le prove. Estratti conto, bonifici. Tutto a tuo nome.»

«Hai dirottato quasi mezzo milione di euro.»

Le parole rimasero sospese nell’aria, tossiche.

Mezzo milione.
Furto.
Conti in paradisi fiscali.

Per un attimo ebbi quasi voglia di ridere.
Era talmente assurdo da sembrare una cattiva fiction.

«Fammi vedere» dissi.

«Cosa?»

«Le prove. Davanti a tutti. Falle vedere.»

Lorenzo esitò.
Guardò Giulia.
Lei fece un passo avanti subito.

«Non è il caso…» cominciò.

«Fammi vedere» ripetei.
Allungai la mano.

Lorenzo tirò fuori dalla tasca interna della giacca il foglio accartocciato.
Lo spiegò con gesto rigido.

Era la stampa di una serie di estratti conto, numeri di conti, movimenti bancari.
Il mio nome era evidenziato a marca testo.
Decine di bonifici, tutti di somme importanti, diretti a un conto all’estero.

Lo esaminai.
La falsificazione era fatta bene. Professionale.
Qualcuno aveva speso tempo e soldi per costruire quella storia.

«Sono falsi» dissi.

«Non mentire» urlò Lorenzo. «Basta bugie.»

«Il mio consulente li ha controllati. Il conto esiste. I soldi ci sono. E c’è la tua firma sui mandati di pagamento.»

«Allora il tuo consulente è incapace. O d’accordo con qualcuno.»

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